GIURISPRUDENZA
Autore: Bianca Pascotto
ASSINEWS 380– Dicembre 2025
Quando termina la funzione previdenziale della polizza vita il giudice penale può procedere al sequestro delle somme al fine della confisca
Pregevolissima per la sua articolata chiarezza e completezza è la pronuncia della Corte di Cassazione penale1 su una materia che non l’attinge, ma che forse proprio per tal motivo viene esaminata e decisa con logica efficace quanto efficiente.
Il tema dibattuto attiene al sequestro preventivo finalizzato alla confisca (per equivalente) di una somma oggetto di riscatto di una polizza vita, sequestro resosi necessario a seguito del reato di riciclaggio perpetrato dall’assicurato.
La Corte di Cassazione è intervenuta in merito ad argomento per certo noto, ovvero l’impignorabilità “delle somme dovute dall’assicuratore al contraente” ai sensi dell’art. 1923 c.c., ma ha affrontato una peculiarità di detta fattispecie che, ad eccezione di una pronuncia, non era mai stata oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza di legittimità.
Infatti, se è vero come è vero che la rendita o il capitale che viene erogato al beneficiario di una polizza vita è insequestrabile e impignorabile ai sensi dell’art. 1923 c.c., uguale tutela viene garantita alla somma che l’assicurato incassa in caso di riscatto della polizza?
La Corte ce ne fornisce risposta.
Il caso
Tizio è indagato per il reato di ricettazione per un totale di € 394.606,23 per aver compiuto operazioni di distrazione e trasferimenti di denaro su plurimi conti correnti con causali false e riscatta la sua polizza vita, riversandone l’importo per un ammontare di € 8.792,02 nel proprio conto corrente con assegno circolare.
Il tribunale sottopone a sequestro cautelare detta somma per poi procederne alla sua confisca per equivalente.
Il sequestro viene annullato dalla Corte di Cassazione che cassa con rinvio al medesimo Tribunale, il quale in sede di riesame conferma l’ordinanza di sequestro alla quale Tizio si oppone chiedendo nuovamente alla Corte di Cassazione il suo annullamento.
Il Tribunale, pur riconoscendo la sua natura previdenziale, sostiene la pignorabilità della somma, perché il divieto di cui all’art. 1923 c.c. si riferisce solo ai casi oggetto di responsabilità civile e non ai casi attinenti alla responsabilità penale.
Tizio, che già si era difeso con successo dinnanzi al primo sequestro, sostenendo l’impignorabilità dell’indicata somma ai sensi dell’art. 545 cpc e affermando l’equiparazione del credito assicurativo ai crediti da stipendio o da indennità comunque retributiva, eccepisce il vulnus in cui sarebbe incappato il tribunale, il quale avrebbe erroneamente applicato la misura cautelare (il sequestro ai fini di confisca) specificatamente prevista per i reati tributari che esulano dall’ipotesi della ricettazione a lui contestata.
La soluzione della Corte
Il ricorso non viene accolto, ma il Collegio affronta e chiarisce quale sia il nocciolo della problematica e del tema devoluto al Tribunale che, in realtà, è stato da quest’ultimo travisato in sede di rinvio.
La domanda che il Tribunale avrebbe dovuto porsi a seguito del giudizio di rinvio è la seguente: la somma derivante dal riscatto di una polizza vita a seguito di recesso dell’assicurato dal contratto assicurativo può essere sottoposta a pignoramento? La risposta del Supremo Collegio è positiva.
Partendo dall’esegesi della sentenza a sezioni unite del Supremo Collegio (sentenza n. 26252/2022), la Corte ricorda che la funzione primaria di una polizza vita è quella previdenziale, ovvero quella di garantire ai beneficiari un sostegno economico alla dipartita del soggetto assicurato, oppure di offrire pari garanzia all’assicurato in caso di sua sopravvivenza; in ogni caso la sua funzione è diretta a tutelare una forma di risparmio ai fini previdenziali alla medesima stregua di una pensione.
Altra funzione che da tempo ha assunto la polizza vita è quella a contenuto finanziario, la cui finalità è ben diversa ed è diretta alla gestione di denaro a scopo di investimento.
Recuperare il concetto di finalità previdenziale è fondamentale per risolvere il caso concreto.
Ove trattasi di classica polizza vita, le somme erogate dall’assicuratore devono essere parificate agli emolumenti retributivi perché come essi assolvono alla funzione di tutela del lavoratore e della sua famiglia, garantiscono i mezzi indispensabili alla sopravvivenza della famiglia; del pari le medesime somme devono essere ugualmente parificate ai trattamenti pensionistici che garantiscono ai pensionati i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita.
Trattasi, pertanto, di somme che tutelano diritti garantiti dalla Costituzione all’art. 2, diritti inalienabili della persona e che per tal ragione non possono essere assoggettati a sequestro o pignoramento come prevede l’art. 545 cpc2 o possono essere pignorabili nei limiti di cui al medesimo articolo.
Già la pronuncia della Corte a sezioni unite aveva ben espresso e risolto il problema dell’applicabilità dell’art. 545 cpc al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente di stipendi e/ pensioni, giungendo alla conclusione della sua ristretta e limitata applicazione, attraverso il richiamo ai principi di ordine costituzionale, e di un tanto la Corte ne sposta integralmente il contenuto.
Ma se dunque è possibile il sequestro ai fini di confisca degli emolumenti retributivi – pur entro i limitati minimi dell’art. 545 cpc – e conseguentemente anche “delle somme dovute dall’assicurazione” che a quest’ultimi sono equiparate, come è possibile conciliare la loro assoluta impignorabilità che invece l’articolo 1923 c.c. prevede?
Anche in questo caso la Corte parte dall’analisi dell’articolo in questione e dalla funzione unanimemente riconosciuta alla polizza vita dalla giurisprudenza costante.
La polizza vita è definita come “il Terzo Pilastro” della previdenza e detta funzione, in uno con l’articolo 1923 c.c., consente di legittimare il sacrificio che viene imposto al diritto dei creditori di potersi soddisfare aggredendo esecutivamente dette somme.
Nel bilanciamento tra il diritto di credito ed il diritto costituzionalmente garantito di poter godere di importi che soddisfano i bisogni primari dell’individuo, il primo gode di minor fortuna.
E ciò vale non solo per quanto attiene ai crediti che traggono la loro origine da vicende privatistiche e da responsabilità civile, ma anche quando ci si imbatte nella responsabilità penale.
Alla luce delle conclusioni raggiunte sull’applicabilità dell’art. 545 cpc in materia di sequestro penale finalizzato alla confisca dalle sezioni unite e dalla lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni sopra ricordate, anche il capitale o la rendita proveniente da polizza vita è soggetto ai limiti di impignorabilità previsti ex art. 545 cpc per le pensioni o stipendi, ma nulla di più.
Tizio non ha però ricevuto il capitale assicurato per il caso di sua sopravvivenza, ma a seguito del riscatto della polizza in essere.
Tizio ha esercitato il diritto di recesso dal contratto assicurativo come previsto dalle condizioni di polizza e ha incassato l’importo capitale, recuperando nel suo patrimonio quanto versato a titolo di premio.
La polizza, in questo caso, non ha svolto la funzione che le era propria, non ha garantito all’assicurato alcuna funzione né previdenziale, né assistenziale.
“Il recesso dal contratto assicurativo con il riscatto della polizza ha dato luogo ad un disinvestimento secco dal quale è derivato un reddito che non assolve alla finalità previdenziale descritta al punto 10 del Considerato in diritto (paragrafo della motivazione della sentenza ndr) – reddito che in quanto tale è rientrato nel patrimonio dell’assicurato deprivato di quella connotazione finalistica”.
Se nella logica del bilanciamento tra i contrapposti interessi (i) quello penale di contrasto e repressione delle condotte penalmente perseguibili anche attraverso gli strumenti di natura cautelare tra i quali il sequestro ai fini di confisca e quello (ii) pubblicistico di tutela dei diritti inalienabili dell’individuo a godere dei mezzi adeguati e necessari ad una esistenza dignitosa, il sacrifico imposto dai limiti di cui agli artt. 1923 c.c e 545 cpc ha la sua logica e ragione di esistere, perché impedisce il pignoramento totale di somme assicurative di “natura previdenziale”, non altrettanto può sostenersi per le somme erogate a titolo di riscatto della polizza vita, che di previdenziale nulla possiedono.
In tal caso non è giustificata l’impignorabilità, o, più correttamente la parziale pignorabilità, perché la funzione previdenziale “non ha trovato e non può più trovare attuazione dal momento che le somme così conseguite non sono state reinvestite in funzione previdenziale ma destinate al conto corrente bancario che è uno strumento di gestione semplificata del denaro e non una strumento di risparmio”.
Motivazione chiara e convincente, ma un magro bottino per lo Stato, considerati gli importi in contesto… Siamo poi certi che la polizza non abbia assunto la forma del sus roseo salvadanaio e che in futuro non si possa sostenere che anche questa può considerarsi una forma di risparmio previdenziale meritevole di tutela?
1 Corte di Cassazione sezione penale sentenza del 21 ottobre 2025 n. 34306
2 Art. 545 cpc (Crediti impignorabili). Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto. Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità’ relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre alla metà dell’ammontare delle somme predette. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge. Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonché’ dalle speciali disposizioni di legge. Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché’ a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quintoesettimo comma, nonché’ dalle speciali disposizioni di legge. (148) Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio.
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