L’attenzione verso la sostenibilità è sempre più diffusa anche tra i piani previdenziali. Nel 2025 gli operatori che includono i criteri ESG nelle scelte di investimento passano da 79 a 95, con un patrimonio pari al 96% di quello gestito dai 105 rispondenti all’indagine (in crescita rispetto ai 99 dello scorso anno). Rispetto al 2024, aumenta anche il tasso di copertura degli investimenti sostenibili: sono 66 i piani che li estendono a una quota compresa tra il 75% e il 100%, contro i 53 del 2024, secondo quanto emerge dalla ricerca “Gli investimenti sostenibili degli investitori previdenziali italiani”, condotta dal Forum per la Finanza Sostenibile in collaborazione con Mefop e MondoInstitutional, presentata nell’ambito delle Settimane SRI, è stata realizzata con il supporto di Axa Investment Managers, Fondo Italiano d’Investimento e Swisscanto.

Passano da 38 a 45 i piani che includono i criteri ESG nella quasi totalità del patrimonio in gestione (quota compresa tra il 75% e il 99%) e altri 21 piani li estendono al 100% del patrimonio (erano 15 nel 2024). È importante sottolineare che i piani che investono almeno il 75% del patrimonio secondo criteri ESG gestiscono circa €170 miliardi, pari al 61% del patrimonio complessivo dei piani attivi nell’ambito degli investimenti sostenibili.

Per quanto concerne gli approcci ESG, in linea con i risultati delle precedenti edizioni, i piani previdenziali si concentrano sulle esclusioni, soprattutto rispetto ai settori delle armi, del carbone e del tabacco e, nel caso di titoli di Stato, relativamente ai Paesi con misure antiriciclaggio e antiterrorismo inadeguate o che non rispettano i diritti umani. Il secondo approccio più utilizzato resta il best in class, seguito da engagement, convezioni internazionali e investimenti tematici. Tra le convenzioni internazionali maggiormente adottate figurano l’UN Global Compact, la Convenzione di Ottawa sulle mine antipersona e le Linee Guide OCSE sulle multinazionali.

È sempre più diffuso il riferimento agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite e alla neutralità climatica nelle politiche di investimento: i piani che li citano passano, rispettivamente, da 35 a 49 e da 19 a 28. Di pari passo, cresce il numero di rispondenti che misurano l’impronta di carbonio del portafoglio di investimento (da 43 a 66, con un patrimonio pari all’83% delle masse gestite dai piani attivi nell’ambito della finanza sostenibile). La maggioranza di questi piani (35) misura anche le emissioni Scope 3, ossia quelle prodotte lungo tutta la catena del valore delle aziende investite, cruciali nel settore finanziario.

Il 21% dei rispondenti identifica specifiche responsabilità in materia ESG all’interno del Consiglio di Amministrazione (CdA), in maggioranza tramite la costituzione di un comitato endoconsiliare. Aumenta, inoltre, il numero di rispondenti che ha istituito sistemi di presidio esterni al CdA, principalmente con il ricorso ad advisor e alla Funzione Finanza. Riguardo alle politiche di remunerazione, passano da 26 a 34 i piani che utilizzano indicatori specifici per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Sono in aumento, da 21 a 32, anche i piani che raccolgono le preferenze degli iscritti in merito all’inclusione degli aspetti ESG nelle politiche di investimento.