GIURISPRUDENZA
Autori: Laura Opilio e Carlotta Paton
 ASSINEWS 379 – Novembre 2025
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ridefinisce, ampliandola, la portata dell’obbligo di salvataggio dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore, nell’ambito della garanzia per la responsabilità civile.
In particolare, la Suprema Corte, chiamata a dirimere una questione interpretativa di particolare rilievo nella prassi assicurativa, ossia l’ampiezza e la portata dell’obbligo di salvataggio imposto all’assicurato ai sensi dell’art. 1914 c.c, statuisce che tale obbligo non riguarda solo il dovere di evitare il danno nella sua dimensione “materiale”, ma si estende anche all’obbligo di ridurre il danno nella fase successiva del giudizio, volta ad accertarne la sussistenza e l’entità.
L’ordinanza in commento, nel cassare con rinvio la decisione impugnata, in accoglimento del ricorso dell’assicuratore, afferma il seguente principio di diritto: “L’obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c. incombe sul danneggiante assicurato per la responsabilità civile anche nella conduzione della controversia promossa nei suoi confronti dal danneggiato (volta proprio a determinare l’an e il quantum del pregiudizio da risarcire) e l’adempimento del dovere di compiere quanto è possibile per evitare o diminuire il danno dev’essere esaminato in base al canone della diligenza del buon padre di famiglia in relazione alla difesa svolta rispetto alla pretesa risarcitoria, anche se l’attività di salvataggio non ha sortito buon esito” .
Fondamento e disciplina dell’obbligo di salvataggio
L’obbligo di salvataggio, che costituisce espressione del principio generale di autoresponsabilità di cui all’art. 1227 c.c. e, più in generale, del dovere di solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione, e disciplinato dall’art. 1914 c.c. e, quanto alle conseguenze in caso di inadempimento, dall’art. 1915 c.c. Nello specifico, la norma impone all’assicurato di “fare quanto gli e possibile per evitare o ridurre il danno”, riconoscendogli diritto al rimborso delle spese sostenute a tal fine, anche oltre la somma assicurata (art. 1914 co. 2 c.c.). Ai sensi dell’art. 1915 c.c., la violazione dell’obbligo determina, se dolosa, la perdita del diritto all’indennità, se colposa, invece, la riduzione proporzionale dell’indennizzo in ragione del pregiudizio sofferto dall’assicuratore. Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che, affinché l’assicurato possa ritenersi dolosamente inadempiente, con conseguente perdita del diritto all’indennizzo, non occorre lo specifico e fraudolento intento di creare danno all’assicuratore, essendo sufficiente la cosciente volontà di non osservare l’obbligo (Cass. Civ. n. 17088/2014).
Il caso
La vicenda trae origine da un caso di malpractice medica, conclusosi con la condanna di un medico ad un ingente risarcimento per avere cagionato, con la propria condotta, un pregiudizio ai danni di un neonato.
Nel corso del giudizio di merito, il medico aveva sostenuto di aver dissentito dalla prosecuzione dell’intervento chirurgico che aveva causato il grave danno al paziente, ma tale dissenso non risultava dalla cartella clinica, che, in quanto atto pubblico assistito da fede privilegiata, avrebbe dovuto essere contestato mediante apposito procedimento di querela di falso. L’assicurato non aveva proposto tale azione e la propria responsabilità civile era stata definitivamente accertata con conseguente condanna al risarcimento dei danni.
Successivamente, il sanitario aveva agito nei confronti della propria compagnia assicurativa, al fine di ottenere l’accertamento dell’operatività della polizza, con conseguente manleva da parte della compagnia. Quest’ultima, tuttavia, aveva negato la copertura eccependo, per quanto qui di interesse, la violazione dell’obbligo di salvataggio da parte dell’assicurato, nella misura in cui questi non aveva efficacemente fatto valere la propria posizione nella controversia instaurata dal danneggiato, mediante proposizione della querela di falso che, se correttamente presentata, avrebbe determinato l’esenzione di responsabilità e, di conseguenza, impedito l’esito condannatorio.
In primo e in secondo grado, il giudice aveva accolto la domanda di manleva del sanitario assicurato, ritenendo che il “danno” cui si riferisce il dettato di cui all’art. 1914 c.c., fosse da intendersi quale evento dannoso cagionato dall’assicurato al terzo. Pertanto, la violazione dell’obbligo di salvataggio sarebbe ravvisabile solo in quei comportamenti dell’assicurato idonee ad impedire, in tutto o in parte, la produzione dell’evento lesivo in danno del terzo. Viceversa, sempre secondo i giudici di merito, eventuali asseriti errori di difesa tecnica commessi nel successivo giudizio risarcitorio instaurato dal danneggiato nei confronti del danneggiante-assicurato, non collocandosi nel rapporto causale con il danno ormai subito e cristallizzato, non assumono rilievo ai sensi dell’art. 1914 c.c. e non possono essere invocati quali fatti giustificativi della perdita del diritto all’indennizzo. Avverso la pronuncia della Corte di Appello di Milano, la compagnia assicurativa ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che l’errata strategia difensiva assunta dall’assicurato rilevasse ai fini della esclusione del diritto all’indennizzo per violazione dell’obbligo di salvataggio (artt. 1914 c.c. e 1915 c.c.).
La decisione della Corte di Cassazione
Accogliendo il ricorso proposto dalla compagnia assicurativa, la Cassazione afferma il principio secondo cui l’assicurato, anche nell’ambito dell’azione promossa nei suoi confronti dal danneggiato, e tenuto ex art. 1914 c.c. a compiere tutto quanto sia possibile per evitare o ridurre il danno, venendo quest’ultimo determinato nell’an e nel quantum, proprio all’esito di tale controversia. In altri termini, la Corte sottolinea come l’obbligo di salvataggio non si esaurisca nella fase genetica del danno, ma riguarda anche ogni condotta successiva, volte a impedirne l’aggravamento. In tale ottica, anche l’omessa proposizione della querela di falso rileva come violazione dell’obbligo, laddove abbia inciso sull’esito della controversia. La Suprema Corte sembra dunque discostarsi dall’interpretazione tradizionale, secondo cui l’intervento di salvataggio avrebbe una connotazione meramente materiale, volta unicamente a ridurre o eliminare l’idoneità della cosa (o della condotta, nelle ipotesi di assicurazione della responsabilità civile) a produrre il danno, nell’ ottica di responsabilizzare ulteriormente l’assicurato anche nella conduzione della controversia instaurata nei suoi confronti dal terzo danneggiato. Una volta stabilito che l’obbligo ex art. 1914 c.c. incombe sull’assicurato anche nella conduzione della controversia, occorre verificare se, in concreto, la difesa svolta rispetto alla pretesa risarcitoria sia stata conforme al canone della diligenza del buon padre di famiglia, anche se l’attività di salvataggio non ha sortito buon esito (Cass. Civ. n. 1749/2005).
Conclusioni
L’orientamento in questione e destinato ad incidere nella prassi assicurativa, nella misura in cui valorizza il principio di autoresponsabilità dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore, ampliando la valutazione della condotta dell’assicurato – rilevante ai fini dell’esclusione o della riduzione della manleva a norma degli artt. 1914 c.c. e 1915 c.c. – anche alle attività difensive svolte nel corso del giudizio instaurato nei suoi confronti dal terzo danneggiato. In definitiva, la Corte di cassazione riconosce che la fase giudiziale costituisce un momento altrettanto decisivo nella determinazione del danno: l’inerzia o la negligenza difensiva dell’assicurato possono aggravare l’obbligazione risarcitoria e, di riflesso, l’onere dell’assicuratore. In questa prospettiva, l’assicurato e gravato da un dovere di salvataggio anche nella fase processuale, da valutarsi alla stregua della diligenza del buon padre di famiglia.
Laura Opilio (partner CMS)
 Carlotta Paton (associate CMS)
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