Coface ha pubblicato la prima edizione della sua indagine sul comportamento di pagamento delle imprese nel Regno Unito, in cui si evidenzia il numero particolarmente elevato di ritardi nei pagamenti registrato dalle imprese britanniche rispetto ad altri Paesi.
Secondo l’indagine, ben il 90% delle aziende nel Regno Unito subisce ritardi nei pagamenti, e quasi la metà (44%) li riscontra con più frequenza rispetto al passato. Il dato è decisamente superiore rispetto ad altri Paesi europei: le quote di Francia, Germania e Polonia sono rispettivamente di 85%, 81% e 60%. È una percentuale elevata anche in confronto ai ritardi di pagamento al di fuori dell’Europa, dove l’incidenza è attorno al 49% in Asia e 51% in America Latina.
Le recenti riforme, come le Payment Practices Regulations 2024 e il Fair Payment Code stanno portando a un diverso atteggiamento nei confronti dei ritardi, con i primi segnali di miglioramento. La maggior parte delle imprese è favorevole a un maggior rigore nei termini e nell’esecuzione, ma solo il 68,5% delle micro e piccole imprese si aspetta un miglioramento della liquidità, rispetto alle aziende più grandi che mostrano maggiore fiducia e propensione agli investimenti.
Concedere dilazioni di pagamento è una pratica quasi universale tra le imprese britanniche: solo il 3% non fa credito ai clienti. I termini più comuni si collocano tra 1 e 30 giorni (37% degli intervistati), e quasi la metà delle aziende ha esteso i propri termini nell’ultimo anno. Le micro e piccole imprese tendono a offrire termini più brevi (in media 46 giorni) rispetto alle grandi aziende (56 giorni), indice di una minore capacità di assorbire ritardi. Anche le differenze fra settori sono significative: servizi alle imprese e finanza concedono termini più lunghi, mentre farmaceutica e media preferiscono scadenze più brevi.
L’indagine mostra che i ritardi di pagamento sono ormai un problema sistematico per le imprese del Regno Unito. Le micro e piccole imprese sono particolarmente esposte: quasi il 50% ha registrato un aumento nella frequenza dei ritardi, contro il 39% delle medie imprese e il 42% delle grandi aziende; i loro termini di pagamento più brevi e i limitati fondi liquidi le rendono più vulnerabili agli shock finanziari. Il ritardo medio è di 32 giorni, comune alle varie dimensioni aziendali, ma con un impatto più grave sulle imprese più piccole.
L’indagine evidenzia forti disparità tra settori. Costruzioni (95%) e auto/trasporti (93%) risentono maggiormente dei ritardi di pagamento, mentre hanno meno problemi editoria, comunicazione e media (60%), agroalimentare (78%) e non profit, settore pubblico & istruzione (78%). Ciò si deve a termini più lunghi o maggiore scrupolosità da parte degli acquirenti.
I ritardi medi più lunghi si registrano nelle costruzioni (38,2 giorni) e nei servizi alle imprese (38,1 giorni), mentre i più brevi sono nel comparto editoria, comunicazione & media (21 giorni). Nonostante il ritardo medio più contenuto, il 50% circa delle aziende operanti in editoria, comunicazione & media afferma che i ritardi hanno avuto un impatto significativo sulla liquidità.
La causa principale dei ritardi si è spostata dai problemi operativi alle difficoltà finanziarie degli acquirenti, con alcune imprese che lamentano addirittura slittamenti deliberati non correlati a problemi di liquidità.
- Costruzioni, alloggio e carta/legno indicano l’aumento dei tassi d’interesse come principale rischio legato ai mancati pagamenti
- Servizi alle imprese, chimica, energia & plastica, finanza e tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni segnalano le minacce informatiche come rischio prevalente
- Altri settori citano fra i rischi difficoltà nelle catene di fornitura (auto/trasporti, comparto manifatturiero e distribuzione al dettaglio) e carenza di manodopera (agroalimentare e farmaceutica)
Nonostante le attuali difficoltà, vi sono segnali di ottimismo. Più di un terzo delle imprese prevede una diminuzione dei ritardi di pagamento nel 2026, sulla scia del miglioramento del clima economico e delle aspettative di maggiore redditività e liquidità. Tale ottimismo, tuttavia, non è uniforme: le micro e piccole imprese restano più scettiche – il 66% ritiene che l’economia del Regno Unito peggiorerà o rimarrà invariata nel 2026, e diversi settori continuano a far fronte a rischi strutturali, tra cui volatilità dei tassi, minacce informatiche e problemi nelle catene di fornitura.