GIURISPRUDENZA
Autore: Bianca Pascotto
ASSINEWS 378 – Ottobre 2025
Mai confondere il contraente e l’assicurato nella polizza per conto altrui e mai negare a quest’ultimo la legittimazione ad agire per la tutela del suo diritto all’indennizzo
A volte pare proprio sia necessario tornare alle origini e svegliare dal torpore alcuni concetti giuridico-assicurativi, che dovrebbero essere assolutamente vividi e perennemente presenti in coloro che nel diritto hanno “le mani in pasta”.
Mi sono imbattuta in una recente sentenza1 che per sbrogliare la matassa, ha dovuto ricordare i capisaldi dell’assicurazione danni quali il principio indennitario, il concetto di contraente, il concetto di assicurato ed il concetto dell’interesse coperto dalla garanzia assicurativa.
Tra i mille dubbi che spesso mi attanagliano, possiedo però un ricordo sempre molto chiaro sul contratto assicurativo ed è un ricordo visivo di una pagina di un manuale che riporta questa semplice immagine:
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Credo che questa immagine aiuti ad individuare chi sia l’assicurato in una polizza danni, anche nel caso di polizza per conto altrui, che vede la compresenza di più soggetti titolari di diversi interessi e che riguarda il caso di specie, che attiene ad una polizza contratta dal conduttore di un immobile per il rischio incendio.
La vicenda
La società Alfa concede in locazione alla società Beta un immobile; Beta non paga i canoni e le notificano lo sfratto per morosità. Alcuni giorni prima dello sfratto Beta assicura l’immobile con Groupama con una copertura multirischi, tra i quali anche il rischio di “danni materiali al fabbricato tenuto in locazione dall’assicurato”.
Il giorno prima dello sfratto l’immobile prende fuoco. La proprietaria Alfa, non ricevendo alcun risarcimento per i danni subiti cita in giudizio Beta, per la responsabilità quale conduttore e la compagnia Groupama, in forza della polizza assicurativa contratta a suo favore.
La compagnia eccepisce la carenza di legittimazione passiva di Alfa, sostenendo che la polizza garantisce il rischio locativo e in assenza di colpa del conduttore (era stato accertato in ambito penale che l’incendio era doloso e non riconducibile a Beta), la qualifica di assicurato spetta al conduttore, poiché la garanzia del rischio locativo copre la responsabilità civile di quest’ultimo.
Il Tribunale accoglie la sola domanda nei confronti di Groupama. Il giudice accerta che la polizza copre, tra i vari, anche i danni materiali all’immobile pertanto, nel caso de quo, la polizza in atto deve qualificarsi come assicurazione danni per conto altrui, identificando il contraente nella società Beta (conduttore) e l’assicurato nella società Alfa (proprietario), al quale deve essere versato l’indennizzo assicurativo. Groupama impugna la sentenza ed il gravame viene accolto dalla Corte d’Appello di Milano.
Nella motivazione il Collegio fa leva sulla clausola contrattuale inserita nelle condizioni generali di contratto, che conferisce al solo contraente “le azioni, le ragioni e i diritti nascenti dalla polizza”, escludendo così l’assicurato dall’esercizio di ogni diritto derivante dal contratto assicurativo.
La Corte d’Appello ritiene questa clausola valida in quanto non compresa nell’art. 1932 c.c. (clausole inderogabili) e quindi efficace nei confronti della proprietaria Alfa, che ovviamente si rivolge alla Corte di Cassazione
La decisione
Il ricorso è affidato a 3 motivi, dei quali però affronteremo solo l’ultimo, che trova accoglimento grazie all’occhio attento del giudicante; quest’ultimo, infatti, rileva un motivo di nullità della sentenza impugnata – vizio rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado – che nulla attiene alla censura mossa dal ricorrente.
Imprescindibile alla risoluzione della controversia è l’interpretazione della clausola contenuta nella polizza de quo (art. 66 delle C.G.), posto che Groupama sostiene – e la Corte d’Appello conferma – che Alfa non possa agire in giudizio contro la compagnia, eccependone la legittimazione attiva a convenirla in giudizio.
La clausola espressamente prevedeva che “le azioni, le ragioni e i diritti nascenti dalla polizza non possono esser esercitati che dal contraente e dalla Società. Spetta in particolare al contraente compiere gli atti necessari all’accertamento e alla quantificazione dei danni. L’accertamento e la liquidazione dei danni così effettuati sono vincolanti anche per l’assicurato, restando esclusa ogni sua facoltà di impugnativa. L’indennizzo liquidato a termini di polizza non può tuttavia esser pagato se non nei confronti o con il consenso dei titolari dell’interesse assicurato”.
Detta norma, da un lato, conferisce all’assicurato il diritto a ricevere l’indennizzo, ma dall’altro gli preclude ogni l’azione relativa all’accertamento del danno, alla sua quantificazione e conseguentemente ogni azione che permetta l’esercizio del diritto nei confronti della compagnia ad essere indennizzato. Ma sarà una clausola valida?
La Corte giunge alla conclusione negativa e bolla la norma con il sigillo della nullità.
È fondamentale per la Corte il richiamo al principio indennitario: l’interesse alla copertura assicurativa e, quindi, a non subire i danni connessi al verificarsi di un evento dannoso (il rischio) riposa in capo all’assicurato. È l’assicurato il soggetto esposto al rischio di danno ed è l’assicurato che ha l’interesse ad assicurarsi per evitare le conseguenze nefaste del rischio.
Quando il rischio (ovviamente dedotto in polizza in tutte le sue caratteristiche) si verifica ecco che l’assicurato assume le vesti del creditore dell’impresa la quale, sua debitrice, deve adempiere al suo obbligo contrattuale e pagare l’indennizzo.
Se il credito indennitario esiste, non può che riposare solo in capo all’assicurato e solo quest’ultimo detiene l’esclusiva titolarità del diritto di credito e dei correlati, quanto necessari, poteri per il suo esercizio, tra i quali, in primis, il potere alla sua riscossione nei confronti dell’impresa debitrice. Diversamente opinando il godimento di un diritto senza il potere di esercizio, equivarrebbe alla negazione del diritto stesso.
La Corte quindi afferma che la qualifica di creditore dell’indennizzo spetta all’assicurato e non potrebbe essere diversamente in un contratto di assicurazione per danni, perché “un contratto di assicurazione che non attribuisse il diritto all’indennizzo al titolare dell’interesse esposto al rischio sarebbe nullo ai sensi dell’art. 1895 c.c. né potrebbe convertirsi in un contratto diverso … dal momento che all’assicuratore è vietato stipulare contratti non assicurativo salvo le sole eccezioni tassativamente previste dalla legge”.
Chiarito, dunque, cosa debba intendersi per assicurato, detto concetto non muta nel caso di polizze per conto altrui o per conto di chi spetta ed è evidente che riconoscere all’assicurato, come previsto nella clausola, il diritto al pagamento dell’indennizzo, vietandogli per contro le azioni necessarie al suo esercizio (tra queste devono necessariamente ricomprendersi il diritto all’accertamento del danno, alla sua stima e al contraddittorio con la compagnia) è del tutto aberrante e incompatibile.
Nel caso di specie Groupama non contesta la coperta assicurativa, la natura della polizza e neppure l’indennizzo, ma nega il presupposto a monte, ovvero che l’assicurato (Alfa) possa agire nei suoi confronti per ottenerlo, eccezione sposata dalla Corte d’Appello in virtù della clausola contrattuale.
È lapalissiano per il Supremo Collegio che un ragionamento di tal fatta sia insostenibile, perché “negare l’esercizio di ragioni, azioni e diritti nascenti dal contratto significa tout court negare il diritto all’indennizzo”.
La Corte poi rincara ancora la dose. La contraddizione contenuta nella clausola che riconosce il diritto ad esigere il pagamento dell’indennizzo senza però poter né accertare, né contestarne l’importo nei confronti della compagnia (soggetto debitore non ce lo dimentichiamo), agli affetti pratici provocherebbe un altro assurdo e paradossale effetto, ovvero quello di lasciare al solo “contraente (e cioè colui che paga il premio la cui entità può dipendere anche dagli indennizzi pagati) la titolarità esclusiva di contestare o prestare acquiescenza all’accertamento di un credito che non è suo”.
Ma gli errori non finiscono qui. La Corte d’Appello dichiara la validità della clausola, in quanto la stessa non troverebbe uno sbarramento nell’art. 1932 del codice civile, il quale individua quali siano le disposizioni del contratto assicurativo non derogabili se non a favore dell’assicurato.
Questa argomentazione non è per la Corte assolutamente condivisibile e ugualmente dicasi per quell’orientamento dottrinale che sostiene che l’art. 1891 comma 2 (“i diritti derivanti dal contratto spettano all’assicurato ed il contraente, anche se in possesso della polizza, non può farli valere senza espresso consenso dell’assicurato medesimo”) sia derogabile in quanto non previsto nell’elenco di cui all’art. 1932 c.c. Che l’art. 1891 comma 2 c.c. sia inderogabile e conseguentemente sia affetta da nullità ogni sua diversa pattuizione a sfavore dell’assicurato, lo si deduce in primo luogo perché l’art. 1932 c.c. “non esaurisce tutte le ipotesi di nullità in materia assicurativa”, tant’è vero che anche l’art. 1895 c.c. ad esempio (nullità del contratto in caso di inesistenza del rischio) non è compreso nell’elenco, ma non per questo si potrà sostenere che l’art. 1895 sia derogabile.
In secondo luogo, l’inderogabilità prevista dall’art. 1932 c.c. si riferisce alle disposizioni che riguardano (i) le dichiarazioni delle parti, (ii) gli effetti del contratto nel tempo, (iii) la misura dell’indennizzo, ma giammai l’oggetto o la causa del contratto assicurativo, perché quali elementi essenziali del contratto non possono essere oggetto di deroga tra le parti, pena l’inesistenza del contratto di assicurazione contro i danni.
Il risultato è che all’assicurato compete il diritto ed il potere non solo di esigere l’indennizzo, ma il potere di agire in giudizio contro l’impresa per ottenerlo, non potendo valere alcuna clausola che impedisca o limiti detto esercizio e l’eventuale devoluzione di detti poteri/facoltà a favore del contraente potrà essere valida, legittima ed efficace solo in presenza di un mandato conferitogli a tal fine dall’assicurato.
1 Corte di Cassazione, sentenza del 23 giugno 2025 n. 16787
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