Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali
Una delle doti dei grandi leader è quella di sapersi scegliere i collaboratori giusti. E anche nell’individuazione del proprio delfino che oggi guida un impero da 200 miliardi, la selezione di Leonardo Del Vecchio è stata vincente. Lavorando a stretto contatto con il fondatore di Luxottica fin dal 2014 fino a diventarne ceo e poi di fatto erede al vertice dell’impero Delfin, il top manager Francesco Milleri, oggi 66enne, ha il merito di aver «messo a terra», come dice lui, la visione del fondatore. Oggi Milleri regna su un patrimonio diretto di 55 miliardi di euro raccolto dentro la holding lussemburghese Delfin, se si considera solo il valore delle partecipazioni in Essilux, Mps, Unicredit, Generali e Covivio. Un regno incontrastato grazie all’incoronazione di fatto a vita stabilita da Del Vecchio per spingere all’unità la sua composita discendenza però ancora in lite per l’eredità dopo oltre tre anni dalla scomparsa di Leonardo
Si è discusso molto di terzo polo, ma dall’ultimo giro di valzer del risiko italiano potrebbe nascere il secondo player bancario del Paese. I riflettori si riaccendono su Banco Bpm due mesi dopo l’ops fallita di Unicredit. Di nuovo libero di muoversi, il gruppo guidato da Giuseppe Castagna ha riaperto le discussioni con Crédit Agricole Italia, suo primo socio sopra il 20% e partner industriale nel credito al consumo e nelle polizze. L’ipotesi condivisa con gli advisor Lazard, Citi, Rothschild e Deutsche Bank prevede che Castagna rimanga alla guida della futura entità mentre il cda lascerebbe spazio ai rappresentanti di Agricole, il cui interesse è consolidare la presenza in Italia. Il nodo cruciale resta la governance, su cui il governo italiano ha già acceso un faro.
Pacchi, telecomunicazioni e polizze, oltre a buoni e libretti, energia e servizi della pubblica amministrazione (passaporti compresi) non bastano. Il raggio d’azione delle Poste Italiane sta per allargarsi ancora con una nuova operazione che sembra destinata a chiudersi nel giro di un mese o poco più: l’acquisto fino al 49% del capitale di PagoPa, la società che è nata nel 2019 per facilitare i pagamenti digitali alle pubbliche amministrazioni, cresciuta anno dopo anno. Per Poste Italiane PagoPa rappresenta l’occasione di allargare ancora le sue attività, che spaziano ormai dalle telecomunicazioni, con l’ingresso nel capitale di Tim al 24,81%, alle assicurazioni (dove è leader nel Vita e sta crescendo nel Danni), dai pagamenti (nel 2022 ha rilevato la rete dei tabaccai Lis per 700 milioni) alla logistica, dove insieme a Dea Capital sta lanciando un maxi fondo di fondi di fondi da 1,5 miliardi. Ma ci sono anche i servizi per la Pa, considerando che con il progetto Polis, oggi alle Poste si posso richiedere anche certificati anagrafici e passaporti.
Un recente studio di Morningstar rileva che l’Italia è il mercato in cui i fondi attivi sono i più cari d’Europa nonostante la guerra sulle commissioni innescata da prodotti passivi low cost come gli Etf. La prima edizione dello European Fund Fee Study (si vedano tabelle in pagina) calcola che i prodotti con domicilio in Italia presentano spese correnti dell’1,42%, il dato più alto di quello tutti quelli esaminati (Spagna, Francia, Germania, Lussemburgo, Svizzera, Regno Unito). La tendenza è in ribasso rispetto a dieci anni fa (1,48%), ma il calo non è stato della stessa portata rispetto alla media europea (da 1,40% a 1,17%). Peraltro anche in Lussemburgo, dove hanno sede molti comparti venduti in Italia, i costi sono alti. I prodotti attivi del Granducato detengono masse per oltre 2.800 miliardi e la media delle spese è dell’1,26% rispetto all’1,51% del 2015, al terzo posto dopo la Germania, che ha spese correnti dell’1,27% rispetto all’1,38% di dieci anni fa. Per certi versi è una conferma perché altri report in passato erano arrivati a una conclusione simile per l’Italia. Ma questa è la prima volta in cui le commissioni sono state analizzate sulla lunga distanza, cioè dieci anni (da giugno 2015 a giugno 2025). Periodo in cui Morningstar ha messo sotto esame le spese correnti di oltre 40 mila fondi aperti attivi e passivi (Etf in primis ma anche fondi indicizzati) che rappresentano circa due terzi del patrimonio complessivo dei fondi europei. La spesa corrente è un indicatore, espresso in percentuale, estratto dai documenti ufficiali dei fondi e comprende commissioni di gestione e altre spese amministrative che gravano sul fondo, ma non quelle di performance e di sottoscrizione e uscita.
L’allora boutique indipendente Kairos nacque nel 1999 da un’iniziativa imprenditoriale di un team di gestori guidati da Paolo Basilico, con una forte specializzazione verso gli investimenti alternativi. È stata la prima a lanciare in Italia un fondo di fondi hedge. Nel 2013 il passaggio sotto le insegne di Julius Baer dove è rimasta per dieci anni. Un periodo con luci e ombre che ha coinciso nel 2017 con il picco delle masse, a 12 miliardi di euro. Poi una discesa verso i minimi di fine del 2023 a 4,5 miliardi, complice l’incertezza relativa alla ricerca di partner terminata a novembre di quell’anno con l’ingresso in Anima. Si è aperto così un nuovo ciclo, il terzo per la società dopo i dieci anni targati Julius Baer e l’indipendenza dei primi 15 con i manager che l’avevano fondata a Milano. Al closing con Anima, il 2 maggio 2024, Kairos aveva asset per poco più di 5 miliardi. Meno della metà dei massimi del 2017, quando al timone c’era ancora Basilico. Oggi, a distanza di un anno e mezzo, le masse sono raddoppiate a 10 miliardi (relative a 14 fondi comuni tutti di diritto lussemburghese tranne uno, sul venture capital, che è italiano, poi gestioni patrimoniali, portafogli in consulenza e mandati istituzionali). Anche grazie a una sintonia che è subito scattata tra le due realtà. Come racconta l’ad di Kairos, Alberto Castelli, che in passato aveva avuto modo di conoscere da vicino il nuovo azionista perché è stato ad di Banco Posta Fondi, la sgr delle Poste che proprio ad Anima aveva affidato molte masse in gestione.
Uno dei profili previdenziali su cui si ragiona in vista della prossima Legge di Bilancio è quello della flessibilità in uscita, tema sul quale si innesta anche il ruolo e l’eventuale utilizzo della previdenza complementare. Un report dell’ Ufficio parlamentare di bilancio analizza la norma che dal 2025 consente la possibilità di cumulare, seppure in termini virtuali, componenti pubbliche e private della previdenza ai fini dell’accesso al pensionamento anticipato a 64 anni con almeno 20 anni di contributi. Come viene sottolineato ciò rappresenta un elemento di novità nel panorama normativo italiano e rende possibile l’anticipo del pensionamento a soggetti che, con la sola componente pubblica della pensione, non riescono a superare il minimo per accedere al pensionamento (tre volte l’assegno sociale)
Un recente studio (condotto da Fidelity International) mette in forse la consolidata opinione secondo cui gli italiani sarebbero piuttosto sprovveduti quando affrontano (o evitano di affrontare) il tema della previdenza. Secondo questa analisi il 49% degli investitori italiani effettua versamenti addizionali al proprio fondo pensione e il 55% prende decisioni su come la propria pensione dovrebbe essere investita. Il punto di partenza è che il rischio di non avere un reddito sufficiente durante la fase in cui si è smesso di lavorare è cresciuto man mano che sono aumentate le aspettative di vita. Mantenere lo stile di vita avuto durante la fase lavorativa è la priorità per gli investitori italiani (39%) e al secondo posto c’è quella di prepararsi a future esigenze sanitarie (34%). Il timore di molti investitori italiani di non risparmiare abbastanza per la pensione e un sistema pensionistico pubblico sempre più sotto pressione si stanno rilevando delle potenti spinte ad accrescere la propensione dei singoli individui a prendere il controllo dei propri risparmi previdenziali. Si tratta di un cambio di mentalità nell’affrontare il problema che è di per sé una rivoluzione in un Paese come l’Italia, ma il discorso può essere efficacemente ampliato all’intera Europa, dove la presenza di un welfare robusto e generoso ha disabituato i più a responsabilizzarsi. Ma un secondo studio, questa volta fatto in America, consente di osservare un altro lato della questione.
- Le caratteristiche di Risparmio mixESG
Unipol Risparmio mixESG è una assicurazione multiramo a premio unico ricorrente, con possibilità di versamenti aggiuntivi alle condizioni previste. Si tratta di una soluzione mista con partecipazione agli utili e componente unit linked. Il primo elemento permette cdi costruire un prodotto a rischiosità controllata, il secondo elemento può contribuire ad aumentare la performance in caso di mercati finanziari favorevoli. La polizza non è a vita intera ma ha una durata compresa tra i 20 e i 30 anni, e l’età massima alla data di scadenza non potrà risultare superiore a 95 anni. Il prodotto prevede il pagamento di un premio unico ricorrente e di premi aggiuntivi, che puoi decidere di versare se il contratto è in regola con il pagamento del piano versamenti, previo accordo con Unipol. Se il premio è pagato su base annua, dovrà essere di almeno 1200 euro (100 euro su base mensile), con un importo massimo di 12 mila euro (1000 euro); si applicano costi ai singoli versamenti, pari a 3 euro su versamento annuale, 1 euro su quello mensile. Il premio aggiuntivo deve essere di almeno 500 euro.
- Pensioni, manovra economica 2026
Mentre ci si avvicina alla manovra di bilancio per il 2026, rispunta “il mai risolto problema” delle pensioni: l’uscita anticipata e l‘esigenza di risparmio della già notevole spesa dell’Inps. I numeri Inps. I dati dell’ente di previdenza evidenziano che le pensioni anticipate (ex pensioni di anzianità) rappresenterebbero un ricordo del passato. Infatti, nel primo semestre 2025 sono state poco meno di 98mila, contro le oltre 118mila dello stesso periodo del 2024. Una flessione che, con i vincoli di bilancio, rappresenta l’avvio di una proiezione destinata a consolidarsi. L’aspettativa di vita. Tra i possibili interventi potrebbero essere introdotti il blocco dell’adeguamento dell’età di pensione all’aspettativa di vita, che sarebbe in programma dal 2027. Una misura che riguarderebbe l’intera platea dei lavoratori dipendenti e autonomi. Si valuta anche la possibilità di utilizzare il TFR per raggiungere la soglia minima di accesso alla pensione anticipata contributiva, che però interessa i soli dipendenti. Sul tavolo anche la chiusura della cosiddetta “quota 103”, con la conferma di “opzione donna”, e l’incentivo Maroni-Giorgetti di trasferire in busta paga la contribuzione che l’azienda deve versare all’Inps.