Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali
L’Unione europea strappa a Trump l’accordo sui dazi, assicurandosi una tariffa massima del 15% sui prodotti esportati verso gli Usa e un’importante esenzione sui farmaci. Con una dichiarazione congiunta pubblicata il 21 agosto 2025, Bruxelles e Washington ripercorrono i punti salienti dell’intesa, impegnandosi a dare attuazione a tutte le misure previste. Come contropartita per la riduzione dei dazi statunitensi sulle auto dal 27,5% al 15%, la Commissione europea ha pubblicato due proposte legislative, che prevedono tariffe azzerate sui beni industriali Usa e aperture per alcuni prodotti agricoli e ittici. Molti anche gli impegni finanziari che l’Unione europea dovrà rispettare
Spericolato dilettante alle prese con tecnologia potenzialmente dannosa: è questo l’identikit dell’utilizzatore medio di dispositivi e applicativi elettronici (dalle videocamere ai router), contro il quale punta il dito l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn). L’Agenzia parte da questo ritratto per rivolgere 32 raccomandazioni (per esempio, password di almeno 12 caratteri) a chi usa impianti e strumenti elettronici e potrebbe essere co-autore incosciente di attacchi informatici ai suoi danni. È come lasciare un proprio gioiello incustodito e in bella vista, così da attirare il ladro e agevolarne il furto: il predone, certo, è un criminale, ma anche il derubato ci ha messo la sua disarmante sprovvedutezza. Lo stesso vale per i documenti elettronici stipati negli strumenti tecnologici collegati alla rete Internet e accessibili da remoto. La difesa dai delinquenti digitali comincia, dunque, dall’autodifesa. Al riguardo, Acn sottolinea l’importanza di adottare adeguate misure di protezione verso i dispositivi elettronici, i cui rischi connessi, come per esempio la violazione della privacy o l’utilizzo di tali dispositivi come ponte per ulteriori attacchi, molto spesso non vengono nemmeno percepiti come tali. E recenti fatti di cronaca, che hanno riguardato l’accesso abusivo a telecamere a uso privato, confermano l’attualità del problema e l’importanza di adottare adeguate misure di protezione
Rischiano grosso gli alberghi e le strutture ricettive, vittime di attacchi informatici con sottrazione dei file riportanti la riproduzione dei documenti di riconoscimento degli ospiti. Gli episodi, emersi ad agosto 2025, su cui indaga il Garante della privacy, si sono verificati nei mesi estivi e possono creare danni rilevanti agli alloggiati, le cui informazioni, come accertato dall’Agid, sono già in vendita sul web e forse sono già a disposizioni di ladri di identità. Le strutture ricettive, prese di mira dai delinquenti digitali, sono esposte alle sanzioni del Gdpr (regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679), che possono arrivare a cifre mostruose (fino a 20 milioni di euro e anche più, se calcolate in percentuale sul fatturato). E sono esposte pure alle azioni risarcitorie degli interessati, che possono agire anche per il ristoro di danni non patrimoniali (per esempio, l’ansia per la perdita di controllo sui dati).
Rafforzamento della competitività sul mercato, maggior fiducia da parte di finanziatori e investitori. È quanto promette l’Unione europea alle imprese di modeste dimensioni che, pur non essendo obbligate a farlo, decideranno a titolo volontario di rendere trasparente la propria sostenibilità pubblicando annualmente il relativo report Esg. L’incoraggiamento istituzionale arriva con la raccomandazione 2025/1710/Ue (ufficializzata sulla Gazzetta ufficiale del 5 agosto 2025), atto che reca gli standard con cui microimprese e Pmi non quotate potranno costruire una valida rendicontazione di sostenibilità in modo semplificato.
Il 7° Rapporto Consob sulla rendicontazione non finanziaria delle società quotate italiane, pubblicato nel luglio 2025, rappresenta un punto di svolta. Non solo perché chiude il ciclo avviato con la Direttiva Nfrd e il suo recepimento nel dlgs 254/2016, ma anche perché prepara la transizione al nuovo quadro normativo europeo della Csrd, destinato a rivoluzionare gli obblighi di reporting di sostenibilità a partire dai bilanci 2025. Il documento non è soltanto una raccolta di dati: racconta come le imprese italiane stiano incorporando la sostenibilità nella propria governance, nelle strategie di lungo periodo e perfino nei sistemi di incentivazione dei vertici aziendali. Parallelamente, evidenzia però anche una criticità rilevante: la comunicazione sui rischi climatici resta frammentaria e per lo più qualitativa, priva di solide basi numeriche e di stime attendibili
Tira il freno la lotta europea al greenwashing. La direttiva «Green Claims», proposta dalla Commissione Europea nel 2023, che puntava a contrastare l’ambientalismo di facciata imponendo alle imprese l’obbligo di verificare scientificamente le proprie dichiarazioni ambientali, tipo «eco-friendly» o «climaticamente neutro», è stata bloccata in sede Ue. La proposta di normativa, che prevedeva controlli indipendenti, restrizioni all’uso di termini vaghi e limiti ai marchi di sostenibilità privati, con l’obiettivo di proteggere i consumatori, incentivare la trasparenza e garantire una concorrenza leale nel mercato unico europeo, lo scorso giugno, a pochi giorni dal trilogo finale, è stata ritirata dalla Commissione Ue temendo oneri eccessivi per le pmi e un impatto negativo sulla competitività. Che succederà ora per imprese e consumatori, in assenza di una direttiva sui Green Claims?
Con la nuova consiliatura europea, e con le tensioni geopolitiche in atto, una delle prime vittime ad essere sacrificata sull’altare della “real politik” è stato il Green Deal, ovvero la strategia dell’Unione Europea che mirava a trasformare l’Ue in un’economia a impatto climatico zero entro il 2050. Parlamento Ue e Consiglio europeo hanno deciso di tirare il freno su molti temi della sostenibilità, come per esempio sulla direttiva «Green Claims» del 2023, ideata per contrastare il fenomeno del “greenwashing”, imponendo alle aziende che vogliono promuovere la bontà green dei propri prodotti, verifiche scientifiche preventive e documentate. Bene, quel progetto è stato ritirato a giugno dalla Commissione Europea per timori legati a oneri eccessivi per le pmi e impatti negativi sulla competitività. Questo colpo di freno ha però creato un vuoto normativo: le imprese non sono più obbligate a controlli preventivi, ma restano a rischio legale e reputazionale, con il pericolo che aziende più virtuose possano venir penalizzate rispetto a chi usa marketing ambientale improprio
Buone notizie per i lavoratori che nel passato, anche poco recente, sono stati occupati in nero. Hanno 10 anni di tempo in più per farla pagare al datore di lavoro, per fargli cioè versare quei contributi che all’epoca non ha pagato. A stabilirlo è la Corte di cassazione che, con sentenza n. 22802/2025 a sezioni unite, ha definitivamente fissato i termini prescrizionali in materia di costituzione della rendita vitalizia ricomponendo le diverse letture fatte nel tempo dai giudici. In sintesi, i termini prescrizionali da considerare sono tre: 5 anni per il versamento ordinario dei contributi (a carico del datore di lavoro); spirato questo termine, il datore di lavoro ha 10 anni per versare i contributi necessari alla costituzione di una rendita vitalizia a favore del lavoratore; spirato il nuovo termine, è il lavoratore — in sostituzione del datore di lavoro — che ha 10 anni di tempo per richiedere la costituzione della rendita vitalizia a suo favore, con il pagamento dei relativi contributi sempre a carico del datore di lavoro; infine, spirato anche questo termine, si apre al lavoratore la possibilità di avvalersi della nuova opportunità, in vigore dal 12 gennaio 2025, non soggetta a prescrizione, di pagarsi da sé i contributi necessari per la costituzione della rendita vitalizia.