GIURISPRUDENZA

Autori: Simone Bertolotti, Francesco Ceolin, Maurizio Ottaviano Delfino
ASSINEWS 376 – Luglio-Agosto 2025

Riflessioni e spunti pratici

Sorgono ancora dubbi dopo le sezioni unite 11421 del 2021?

I contratti di assicurazione sulla vita costituiscono uno degli strumenti più diffusi nel panorama assicurativo e sono disciplinati dagli artt. 1920 ss. c.c., i quali dettano una disciplina “speciale” rispetto a quella di cui agli artt. 1411 ss. c.c.

In relazione all’assicurazione per il caso di morte, alcuni dubbi erano sorti nella giurisprudenza di merito con riguardo alla natura del diritto che il terzo acquista per effetto
della designazione, nonché alla fonte di tale acquisto.
Tali incertezze interpretative presentavano notevoli conseguenze sul piano pratico, incidendo sulle quote di indennizzo spettanti ai beneficiari.

Un primo e tradizionale orientamento1, infatti, riteneva che l’acquisto del diritto trovasse il proprio titolo (e fonte regolatrice) nel contratto. Secondo tale interpretazione, la generica designazione degli “eredi” quali beneficiari sarebbe valsa unicamente ad individuare i soggetti titolari dei diritti nascenti dall’assicurazione attraverso il previo accertamento della qualità successoria, da effettuare alla morte del contraente assicurato secondo i modi tipici di delazione dell’eredità (art. 457 c.c.). In mancanza di uno specifico criterio di ripartizione delle quote fra i beneficiari, dunque, queste si sarebbero dovute presumere uguali. L’iniziale univocità di tale quadro giurisprudenziale venne tuttavia scalfita da Cass. 19210/2015, la quale affermò che il senso letterale dell’espressione “erede” non può che implicare un riferimento non solo al modo in cui tale qualità è stata acquisita e, quindi, alla fonte della successione, ma anche alla dimensione di tale acquisizione e, dunque, al valore della posizione ereditaria secondo quella fonte. Secondo tale indirizzo, quindi, i beneficiari avrebbero diritto all’indennizzo in proporzione alla quota ereditaria loro spettante.

L’intervento dell e sezioni unite (Cass. S.U. 11421/2021)

Sul punto è stato dunque richiesto l’intervento delle sezioni unite, le quali hanno riesaminato il tema con una sentenza alquanto ricca ed articolata, che ha preso in considerazione, altresì, il caso di premorienza del beneficiario rispetto al disponente2. Vale la pena riprendere, per sommi capi, la fattispecie alla base della pronuncia della S.C., la quale offre un esempio piuttosto efficace delle conseguenze pratiche legate all’adozione dell’uno o dell’altro degli orientamenti esposti. Essa, infatti, aveva ad oggetto una polizza vita, la quale individuava, quali beneficiari, gli “eredi legittimi”. Poiché la sorella del contraente era, al momento della stipula, già deceduta, la compagnia assicurativa aveva ripartito l’indennizzo in cinque quote uguali, spettanti ai quattro nipoti del contraente, subentrati per rappresentazione, e al fratello dello stesso. I giudici di secondo grado, tuttavia, hanno ritenuto che l’ammontare spettante a ciascun erede dovesse essere determinato in base alla rispettiva quota ereditaria: così, al fratello del disponente sarebbe spettata la metà dell’indennizzo, mentre l’altra metà avrebbe dovuto essere suddivisa tra i quattro nipoti. Le conclusioni raggiunte dalle sezioni unite possono essere così sintetizzate:

  • nella polizza di assicurazione sulla vita a favore di terzo la legge non riscontra un trasferimento immediato dal contraente al beneficiario, in quanto la prestazione promana dal patrimonio dell’assicuratore e non dall’asse ereditario dell’assicurato. Quale che sia la forma prescelta fra quelle consentite dall’articolo 1920 c.c., comma 2, si tratta di un negozio inter vivos con effetti post mortem; la morte dell’assicurato segna, cioè, il riferimento cronologico di differimento dell’esecuzione della prestazione assicurativa e di consolidamento del diritto già acquistato dal beneficiario in forza della designazione, restando la somma assicurata comunque estranea al patrimonio del de cuius che cade in successione (come può desumersi altresì dell’articolo 1920 c.c., comma 2, ultimo periodo);
  • la riconduzione dell’istituto alla fattispecie del contratto a favore di terzo determina che il differimento dell’efficacia, e non dell’attribuzione, del diritto iure proprio del beneficiario nell’assicurazione sulla vita per il caso morte giustifica l’applicazione ad essa dell’articolo 1412 c.c., comma 2 (in forza del quale “la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente”), ovvero la trasmissibilità agli eredi del terzo premorto della titolarità dei vantaggi dell’assicurazione. Questa trasmissione, come detto (ovvero l’acquisto del diritto alla prestazione assicurativa in favore degli eredi del beneficiario premorto allo stipulante) opera iure hereditatis, e non iure proprio, e dunque in proporzione delle rispettive quote ereditarie, trattandosi di successione nel diritto contrattuale all’indennizzo entrato a far parte del patrimonio del designato prima della sua morte;
  • allorché uno dei beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita premuoia al contraente, la prestazione, se il beneficio non sia stato revocato o il contraente non abbia disposto diversamente, deve essere eseguita a favore degli eredi del premorto in proporzione della quota che sarebbe spettata a quest’ultimo.

La necessità di una ricostruzione analitica della situazione ereditaria dell’assicurato deceduto

L’operatore e l’intermediario si troveranno spesso, pertanto, ad eseguire una liquidazione che sarà per alcune quote a titolo di obbligazione diretta verso il beneficiario originario designato (perciò iure proprio), per altre quote dovrà svolgere una completa istruttoria per disporre pagamenti iure hereditatis, a favore degli eredi di un proprio creditore deceduto (il beneficiario premorto).

Diventa indispensabile l’individuazione dei beneficiari, quando sono indicati per relationem, con riferimento alla categoria di “eredi legittimi”. La Corte sostiene che il riferimento agli “eredi” ne implica l’identificazione con coloro che, al momento della morte dello stipulante (e non già al momento della designazione, la quale, come visto, attribuisce il diritto, rimanendone tuttavia differiti gli effetti), rivestano tale qualità in forza della delazione ex articolo 457 c.c., (non rilevando le successive vicende legate alla rinunzia o all’accettazione): in altre parole, i beneficiari acquistano il diritto al momento della designazione, ma poi la loro individuazione può e deve essere fatta solo al momento del decesso, verificando se, successivamente alla stipula, uno di questi sia premorto.

Questo il più importante nodo critico, perché è indispensabile, nella logica della sentenza, una ricostruzione analitica della situazione ereditaria dell’assicurato deceduto. Nella fattispecie specifica esaminata e decisa dalle SU, infatti, è presumibile immaginare che gli aventi causa del contraente si siano genericamente qualificati eredi, in presenza di figli di una sorella del contraente premorta alla stipula, ma che lo stesso avrebbero fatto, con atto notorio, se la sorella del contraente fosse morta dopo la stipula. Con un risultato liquidativo opposto a quello deciso: in quel caso infatti (sorella deceduta dopo la stipula) le quote dovevano essere due uguali (come pretendeva la parte soccombente nel giudizio) e non cinque uguali. Per meglio chiarire questo punto, può essere utile richiamare la decisione assunta dalla Suprema Corte con la più recente Ordinanza n. 11101 del 27 aprile 2023. La fattispecie alla base di tale pronuncia, infatti, pur presentando evidenti somiglianze con quella alla base di Cass. 19210/2015, si caratterizza per una fondamentale differenza: il beneficiario della polizza era morto successivamente alla stipula della stessa.

Tale elemento implica, nel ragionamento della Corte, che l’acquisto del diritto alla prestazione assicurativa operi iure hereditatis e non iure proprio, trattandosi di successione nel diritto contrattuale all’indennizzo entrato a far parte del patrimonio del designato prima della sua morte. Gli eredi legittimi del beneficiario premorto succederanno dunque allo stipulante per rappresentazione del loro dante causa, e la loro successione non potrà che avvenire nella quota che sarebbe spettata a quello. Un esempio pratico delle considerazioni sinora svolte può rinvenirsi in una decisione della Corte d’Appello di Firenze del 2023. In tale decisione la (defunta) contraente assicurata aveva un fratello e due sorelle (che per comodità chiameremo Tizia e Caia). Tizia, viva al momento della stipula, era premorta alla sorella/ contraente, lasciando tre figli. Caia, invece, viva al momento della morte dell’assicurata, era deceduta in un secondo momento, lasciando anch’essa tre figli. Il giudice di primo grado aveva suddiviso il capitale assicurato assegnando una quota pari ad 1/5 dell’indennizzo ai soggetti successibili ex lege (il fratello, la sorella, i tre figli di Tizia) così come individuati al momento della morte dell’assicurata.

Ai figli di Caia, invece, sarebbe toccato, nella logica del Tribunale, spartirsi la quota spettante alla madre (1/5), sicché ciascuno di essi avrebbe avuto diritto a percepire una quota pari (solamente) ad 1/15 dell’indennizzo. La Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione del giudice di prime istanze alla luce delle indicazioni fornite dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 11421/2021 nel frattempo sopraggiunta, ha rilevato come Tizia, essendo morta successivamente alla stipula della polizza, aveva acquistato il diritto alla prestazione assicurativa, il quale, al momento della sua morte, si era trasmesso iure hereditatis ai suoi eredi in proporzione delle rispettive quote ereditarie, trattandosi di successione nel diritto contrattuale all’indennizzo entrato a far parte del patrimonio del designato prima della sua morte, nella medesima misura che sarebbe spettata al beneficiario premorto, secondo la logica degli acquisti a titolo derivativo. Conseguentemente, ai figli di Tizia non spettava la quota di 1/5 ciascuno, bensì la quota di 1/9, derivante dalla suddivisione in tre parti – secondo le regole previste, nel caso di specie, dalla successione ereditaria – della quota spettante alla loro madre, premorta all’assicurata ma rientrante tra i soggetti designati quali destinatari del beneficio derivante dall’indennità assicurativa, che la stessa divideva in parti uguali con il fratello e la sorella. Anche alla sorella Caia spettava la quota di 1/3 dell’indennità: ai di lei figli, dunque, sarebbe spettata (sempre secondo le regole previste, nel caso specifico, dalla successione ereditaria) una quota pari ad 1/9 ciascuno, ben diversa dalla quota di 1/15 assegnata dal Tribunale.

Da tali esempi, dunque, emerge chiaramente la necessità di scattare la “fotografia” dei successibili dell’assicurato, astrattamente o per legge, al momento del suo decesso, tenendo conto che, logicamente, gli eredi legittimi di un contraente- assicurato di vent’anni potrebbero essere diversissimi dagli eredi legittimi della stessa persona a 60 anni. La sentenza delle S.U., infatti, ci dice che i beneficiari “originari” da considerare quali creditori iure proprio verso l’assicuratore sono “coloro che in astratto, avendo riguardo alla qualità esistente al momento della morte dell’assicurato, siano i successibili per legge, e ciò indipendentemente dalla effettiva vocazione” (cfr 4.51.e 4.5.2 SU). Nessun problema sembra porre, invece, la eventuale successiva istituzione di uno o più eredi testamentari, ove il contraente assicurato abbia designato specificamente come beneficiari i propri “eredi legittimi”.

L’istituzione di erede non opera quale nuova designazione, né quale revoca del beneficio attribuito con la polizza, quest’ultima configurandosi solo se fatta con le forme dell’articolo 1921 c.c. (e dunque dell’articolo 1920 c.c., comma 2) e allorché’ comunque risulti una inequivoca volontà in tal senso. La sovrapposizione tra l’iniziale attribuzione contrattuale del diritto ai vantaggi dell’assicurazione (nella quale il contraente si era avvalso di una descrizione per relationem dei destinatari del beneficio, indicando all’assicuratore coloro che all’epoca della designazione erano in astratto i suoi “eredi (legittimi)”) e la sopravvenuta istituzione testamentaria (nella quale il disponente non provvede a revocare quella designazione e neppure attribuisce la somma assicurata, come gli permette dell’articolo 1920 c.c., comma 2, u.p.) non crea alcun conflitto di disposizioni incompatibili, ne’ sollecita una propensione per il favor testamentis a discapito della volontà attributiva esplicitata nel contratto assicurativo. L’assegnazione a terzi del diritto contrattuale alla prestazione assicurativa opera su piano diverso dall’intenzione di disporre mortis causa delle proprie sostanze. Quest’ultima (la disposizione testamentaria) può incidere sulla prima (la designazione beneficiaria) solo se risulta una inequivoca volontà.

La clausola “in entrambi i casi in parti uguali”

Un secondo punto critico riguarda la presenza, alquanto frequente nelle polizze, dell’aggiunta “in entrambi i casi in parti uguali” nella clausola di designazione dei beneficiari che (anche qui solitamente) si presenta come “eredi testamentari o in mancanza eredi legittimi, in entrambi i casi in parti uguali”. Ci si domanda se alla luce della sentenza questa precisazione abbia ancora un suo valore, o un suo valore giuridico residuale.

La Cassazione, infatti, con un lungo ragionamento, evidenzia che ove non risulti diversamente dal contratto, a ciascuno dei beneficiari spetta una quota uguale (in conformità a quanto sostenne la sentenza n. 9388 del 1994). La qualifica di “erede” al momento della morte dello stipulante sovviene, infatti, al fine di sopperire per relationem, con valenza meramente soggettiva, alla generica determinazione del beneficiario, secondo quanto disposto dell’articolo 1920 c.c., comma 2, ma non implica presuntivamente, in caso di pluralità di eredi, l’applicazione tra i concreditori delle regole di ripartizione dei crediti ereditari.

La Corte ci ricorda che in base alla designazione degli “eredi” quali beneficiari dell’assicurazione sulla vita a favore di terzo, la prestazione assicurativa vede quali destinatari una pluralità di soggetti in forza di una eadem causa obligandi, costituita dal contratto. Rispetto alla prestazione divisibile costituita dall’indennizzo assicurativo, come in ogni figura di obbligazione soggettivamente complessa (secondo quanto si argomenta in via di generalizzazione dall’articolo 1298 c.c., comma 2 e dall’articolo 1101 c.c., comma 1) in assenza di diversa previsione, si avranno quote uguali. In definitiva, il silenzio serbato dal contraente sulla suddivisione del capitale assicurato tra gli eredi potrebbe spiegarsi come indizio della sua volontà di utilizzare l’assicurazione sulla vita per il caso morte con finalità indennitaria, o come alternativa al testamento comunque sottratta al divieto ex articolo 458 c.c., in maniera da beneficiare tutti indistintamente senza soggiacere alle proporzioni della successione ereditaria. E quando la clausola osservata sopra (… in entrambi i casi in parti uguali …) rompe questo silenzio? Si è già osservato che la fattispecie della premorienza di un beneficiario può determinare una platea di destinatari dei pagamenti con un titolo affatto diverso fra loro: alcune quote a favore del beneficiario originario, altre a favore degli eredi del beneficiario premorto.

La Cassazione ci dice che avremo quote uguali, quando ricorre la premorienza del beneficiario (rectius, sempre, a meno che non sia indicato diversamente), per cui gli eredi di quest’ultimo riceveranno la quota del proprio dante causa (uguale a quella del/ dei beneficiario/i in vita) da ripartire a sua volta secondo il diritto e secondo le proporzioni della successione ereditaria. Cambia qualcosa quando il contraente è egli stesso ad aver indicato “in parti uguali”? Per cui, in questo caso, terminata l’individuazione dei destinatari (a vario titolo) dei pagamenti, si tratterà di suddividere tutto in parti uguali (la quota spettante ai beneficiari originari come le quote spettanti agli eredi del beneficiario premorto)? L’indicazione delle parti uguali disposta dal contraente ha un’efficacia ulteriore o ultronea rispetto a quanto ricostruito dalla Corte?

Fin tanto che i beneficiari sono solo quelli “originari”, quelli con diritto acquisito direttamente verso l’assicuratore, iure proprio, il problema non si pone. Si ritiene che non vi sia spazio né supporto (giuridico né interpretativo di sistema) per un’applicabilità residua di questa clausola, che ormai, dopo la Cassazione, è tamquam non esset. Non c’è possibilità di consentire che il contraente quando aggiunge “in parti uguali” voglia indicare che, qualora uno o alcuni dei beneficiari che sta designando sia premorto, i suoi eredi debbano concorrere al riparto (dopo la sua morte) in quote uguali ai beneficiari originari superstiti (significherebbe permettere ad un soggetto che trasferisce un diritto patrimoniale, di decidere come ne debba a sua volta disporre l’avente causa). La clausola serviva agli attori del mercato per risolvere le incertezze, nella dottrina e nella giurisprudenza, nel rapporto fra diritto delle successioni e disciplina della polizza vita con designazione beneficiaria per categoria (eredi legittimi). La soluzione interpretativa della Corte, sul punto del criterio di determinazione delle quote, semplicemente pone nel nulla quella premura. 

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1 Cfr. Cass. 9388/1994; Cass. Cass. 4484/1996; Cass. Cass. 6062/1998; Cass. sez. lav. 15407/2000; Cass. 6531/2006
2 Sul tema è possibile rinvenire un risalente contrasto giurisprudenziale: secondo Trib. Milano
20-3-1956, infatti, l’assicurazione sulla vita a favore di terzo rientra nello schema del contratto a
favore di terzi e pertanto il beneficiario acquista un diritto proprio e lo trasmette ai suoi eredi qualora premuoia allo stipulante. Contra, App. Milano 29-7-1957, ha ritenuto che, in un contratto
di assicurazione sulla vita, la prestazione dovuta dall’assicuratore a favore degli eredi del beneficiario, se questi premuore allo stipulante, non costituisca un diritto successorio ma un diritto proprio ed autonomo a favore degli eredi stessi.

Simone Bertolotti,
Partner di La Scala Società tra Avvocati
Francesco Ceolin,
Trainee di La Scala Società tra Avvocati
Maurizio O. Delfino,
Intesa Sanpaolo Assicurazioni

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