NORMATIVA

Autori: Marco Dimola e Giulia Madonini
ASSINEWS 376 – Luglio-Agosto 2025

Il settore agroalimentare rappresenta uno dei pilastri dell’economia italiana, non solo per la sua rilevanza in termini occupazionali e produttivi, ma anche per il valore culturale e
identitario che assume nel nostro Paese. Contribuendo al PIL nazionale in misura pari a 4,5 volte quella dell’automotive, 4,4 volte quella dell’arredo e 2,3 volte quella della moda, l’agroalimentare costituisce la prima filiera economica italiana.
Al suo interno, l’agricoltura e l’industria alimentare e delle bevande generano quasi il 39% dell’intero valore di settore, con la fase industriale responsabile da sola di oltre il 27%.

Tuttavia, a fronte di tale eccellenza, non mancano le criticità. Il 2024 ha segnato un record “negativo” per il nostro sistema di sicurezza alimentare: nel solo periodo compreso tra il 1° gennaio e l’8 dicembre, sono state segnalate 482 notifiche di prodotti alimentari non conformi attraverso il sistema europeo RASFF. Parallelamente, i richiami alimentari pubblicati sul portale del Ministero della Salute hanno toccato quota 641, il numero più alto mai registrato dal 2017. Si tratta di dati che, pur in un contesto di controlli rigorosi e diffusi, evidenziano la vulnerabilità della filiera e la necessità di un quadro giuridico chiaro ed efficace, in grado di tutelare i consumatori senza paralizzare la produzione. La materia è caratterizzata da un’elevata densità normativa.

Il Regolamento (CE) n. 178/2002 ha costituito un punto di svolta per la sicurezza alimentare nell’Unione Europea, introducendo previsioni normative fondamentali come il principio di precauzione (art. 7), i requisiti generali di sicurezza (art. 14), la tracciabilità (art. 18), gli obblighi di ritiro e informazione (art. 19), la responsabilità dell’operatore del settore alimentare (art. 21), e collocandosi così al vertice della scala gerarchica delle fonti del diritto alimentare. Per quanto riguarda la responsabilità, è vero che il Regolamento rimanda esplicitamente alle regole civilistiche in materia di danno da prodotto difettoso, introdotte nel nostro ordinamento a seguito del recepimento della Direttiva 85/374/CEE, ma è anche vero che tali regole vengono integrate dalla normativa europea, spesso capillare, che riflette le peculiarità del settore alimentare. Si prenda ad esempio il principio di precauzione, che è stato sviluppato nel contesto delle politiche ambientali ed è stato poi esteso alla sicurezza alimentare tramite il suddetto Regolamento. Il principio di precauzione si sostanzia in un approccio alla gestione del rischio per cui, qualora esista la possibilità che un prodotto possa creare dei rischi per la salute delle persone ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, è legittimo adottare delle misure che limitino o eliminino questo rischio, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio1. Proprio su questi snodi normativi e giurisprudenziali – tra responsabilità presunta del produttore e obblighi di prevenzione, informazione e vigilanza – si concentra il presente contributo.

L’evoluzione delle regole di responsabilità

Nel tempo, il percorso normativo e giurisprudenziale ha condotto al superamento della tradizionale visione contrattuale della responsabilità, che richiedeva la sussistenza di un rapporto negoziale tra produttore e consumatore. Inizialmente si tentò di fondare la responsabilità del produttore sull’art. 2043 c.c., ma le difficoltà probatorie, specie riguardo alla colpa, resero tale impostazione inadeguata. Solo con la Direttiva 85/374/ CEE si è affermato un modello di strict liability, poi recepito in Italia con il D.P.R. 224/1988, e successivamente integrato dal D.Lgs. n. 25/2001. Con quest’ultimo intervento, il regime di responsabilità in esame è stato esteso anche ai produttori di alimenti non trasformati (prodotti agricoli “naturali”), superando la precedente esclusione e riconoscendo che anche tali prodotti possono costituire un rischio per la salute. L’attuale disciplina, oggi trasfusa nel Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005), impone al produttore di rispondere del danno cagionato da un difetto del prodotto, a condizione che il danneggiato provi il difetto, il danno e il nesso causale. Il produttore può liberarsi da responsabilità solo dimostrando una delle circostanze esonerative previste dall’art. 118 Cod. Cons. Si tratta, dunque, di una responsabilità extracontrattuale, presunta e relativa, costruita per alleggerire il carico probatorio del danneggiato in un settore dove la posta in gioco è la sicurezza alimentare e, dunque, la tutela della salute pubblica.

La responsabilità verso i consumatori

L’inclusione della responsabilità da prodotto difettoso nel Codice del consumo ha rafforzato la posizione del consumatore come soggetto vulnerabile da proteggere in maniera specifica. Oggi, il consumatore che abbia subito un danno a seguito del consumo di un alimento difettoso può agire per ottenere il risarcimento, senza dover dimostrare la colpa del produttore. Il solo onere è provare, come detto, la sussistenza di tre elementi: il difetto del prodotto, il danno e il nesso di causalità tra i due. Il prodotto è considerato difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto conto di tutte le circostanze, compreso il modo in cui è stato messo in circolazione, la sua presentazione e le informazioni fornite (art. 117 Cod. Cons.). Anche i fornitori possono essere chiamati a rispondere, in via sussidiaria, in determinate circostanze (art. 116 Cod. Cons.), ad esempio quando il produttore non è identificabile oppure non viene indicato entro tre mesi dalla richiesta del danneggiato. Gli articoli 125 e 126 del Codice del consumo fissano i termini per l’esercizio dell’azione risarcitoria. Il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal momento in cui il danneggiato ha avuto conoscenza del danno, del difetto e dell’identità del responsabile. Inoltre, è previsto un termine di decadenza di dieci anni dalla messa in circolazione del prodotto difettoso (termine di difficile applicazione ai prodotti alimentari, destinati ad un consumo in tempi piuttosto ristretti, ma che di contro rischia di essere fin troppo breve quando l’impatto di determinate sostanze, ad esempio cancerogene, è verificabile solo a distanza di molti anni).

La responsabilità “B2B”

Nel contesto dei rapporti tra professionisti del settore alimentare, la responsabilità di tali soggetti si innesta in una cornice di tipo contrattuale. Qui, la disciplina applicabile è quella codicistica in tema di compravendita (artt. 1470 ss. c.c.), con particolare riferimento ai vizi redibitori (art. 1490 c.c.) e alla mancanza di qualità promesse o essenziali per l’uso (art. 1497 c.c.). In questi casi, l’acquirente professionale ha diritto alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo (e al risarcimento del danno), purché denunci i vizi entro otto giorni dalla scoperta e agisca entro un anno dalla consegna (art. 1495 c.c.). Diversa è l’ipotesi in cui si verifichi una consegna di aliud pro alio, cioè quando il bene ricevuto è completamente diverso da quello pattuito. Tale fattispecie non è soggetta ai termini di decadenza e prescrizione previsti per i vizi, ma consente di agire per la risoluzione del contratto, poiché il bene difetta della funzione essenziale concordata, risultando inutilizzabile rispetto allo scopo del contratto2. In ambito alimentare, ciò può accadere quando, ad esempio, un ristorante o un rivenditore riceve prodotti non conformi alle specifiche richieste (ad esempio perché contaminati o privi di certificazioni sanitarie), che non possono essere messi in commercio. In tali situazioni, oltre alla risoluzione contrattuale, può sorgere anche una responsabilità risarcitoria per il danno da inadempimento, particolarmente rilevante nel caso di interruzioni di filiera o danni reputazionali.

Il possibile concorso di colpa del produttore alimentare

Trattando delle regole di responsabilità, non si può non menzionare un’importante sentenza della Corte di cassazione3, la quale ha esaminato i profili applicativi dell’art. 1227 c.c. in tema di concorso di colpa nel settore agroalimentare, con particolare riferimento ai rapporti tra produttori e fornitori di materie prime o semilavorati. La vicenda riguardava l’acquisto, da parte di una nota società conserviera italiana, di alcune tonnellate di peperoncino rosso, che conteneva coloranti del tipo “Sudan 1”, il cui impiego nelle sostanze alimentari è esplicitamente proibito dalla normativa europea e internazionale, in quanto classificato come sostanza cancerogena. La Cassazione – evidenziato che nel settore alimentare la circolazione di merce sicura e sana contribuisce in maniera significativa alla salute e al benessere dei consumatori – ha ritenuto che sull’acquirente di un alimento, operatore professionale e produttore (mediante l’utilizzazione del componente acquistato) del prodotto finale destinato al consumo umano gravi un onere di diligenza e che il produttore abbia l’obbligo di attenersi al principio di precauzione, dovendo controllare la merce in ingresso, anche tramite verifiche a campione. Il produttore non può dunque fare esclusivo affidamento sull’osservanza, da parte del fornitore, dell’obbligo di consegnare un prodotto non adulterato né contraffatto, e la mancata adozione di misure atte a tutelare la salute del consumatore finale determina un concorso di colpa di colpa del produttore ai sensi dell’art. 1227 c.c..

Sistemi di allerta e procedure di emergenza

Le norme sulla responsabilità civile del produttore alimentare fin qui analizzate pongono in capo allo stesso l’obbligo di risarcire il consumatore qualora il danno gli sia imputabile, sulla base di criteri sostanzialmente oggettivi. La responsabilità risarcitoria rappresenta tuttavia una forma di tutela relativa, poiché interviene una volta che il danno si è materializzato, e la sua forza deterrente è limitata. Per impedire che l’evento dannoso si concretizzi – e quindi per tutelare in modo efficace la salute del consumatore – assumono allora grande rilievo le misure di prevenzione, vale a dire i sistemi di allerta e di intervento sul mercato. Il sistema di allerta Rapex4 costituisce ad esempio un mezzo comunitario di informazione rapida per i prodotti non conformi, grazie al quale le autorità nazionali degli stati membri notificano alla Commissione europea i prodotti (ad eccezione però di alimenti, farmaci e dispositivi medici) che rappresentano un rischio grave per la salute e la sicurezza dei consumatori.  Per i prodotti alimentari esiste un diverso strumento, il Rapid Alert System for Food and Feed (RASFF), che permette un veloce scambio di informazioni tra i paesi dell’UE sui rischi per la salute – diretti e indiretti – derivanti da alimenti e mangimi. Ideato nel 1979 ed istituito ufficialmente con il Regolamento (CE) n. 178/2002 (cfr. art. 50), il RASFF raccoglie e pubblica in tempi rapidi le notifiche e gli allarmi relativi ai prodotti alimentari che possano generare rischi per la salute, specificando il paese notificante, quello di origine del prodotto, il tipo e le ragioni dell’allarme. L’accesso al RASFF è consentito esclusivamente alle autorità dei paesi membri e alla Commissione europea, ma i consumatori possono comunque consultare un’apposita banca dati online interattiva che contiene informazioni sulle notifiche presenti e passate. Le informazioni scambiate attraverso il sistema RASFF possono portare al ritiro dei prodotti dal mercato. In base all’art. 19 del Regolamento (CE) n. 178/2002, infatti, se un operatore del settore alimentare ritiene o ha motivo di ritenere che un alimento da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito non sia conforme ai requisiti di sicurezza degli alimenti, e l’alimento non si trova più sotto il suo controllo, egli deve avviare immediatamente le procedure per ritirarlo o richiamarlo5, deve informare le autorità competenti e i consumatori se il prodotto può essere arrivato agli stessi, così da garantire al consumatore un elevato livello di tutela della salute.

Uno sguardo al futuro

L’evoluzione delle regole di responsabilità è spesso lenta e procede per via giurisprudenziale o legislativa.  La casistica giurisprudenziale relativa al settore alimentare è piuttosto contenuta sia perché i consumatori hanno spesso un atteggiamento rinunciatario in caso di modeste intossicazioni alimentari, sia perché ai rimedi risarcitori di natura civilistica è stata storicamente preferita la tutela penale e quella amministrativa. Il Legislatore, soprattutto di matrice europea, è stato invece molto attivo nel settore alimentare, ma le regole di responsabilità continuano ad essere sostanzialmente quelle contenute nel codice civile (in ambito B2B) o nella Direttiva dell’85 (in ambito consumeristico). A distanza di quarant’anni tale direttiva è stata tuttavia oggetto di recente revisione e la stessa è stata abrogata dalla Direttiva (UE) 2024/2853 del 23 ottobre 2024, la quale si applicherà ai prodotti immessi sul mercato dopo il 9 dicembre 2026. Scopo dichiarato della nuova direttiva è quello di adattare le regole di responsabilità in tema di prodotto difettoso alle sfide emergenti poste dalla digitalizzazione, dall’intelligenza artificiale e dall’Internet of Things, così da garantire un’adeguata tutela ai consumatori rispetto ai nuovi rischi derivanti dalla complessità tecnologica. Poiché i prodotti alimentari non sono caratterizzati da alcuna complessità tecnologica, è verosimile che l’impatto della nuova direttiva in questo settore sia piuttosto limitato. Talune modifiche interesseranno comunque anche i produttori di alimenti: basti pensare all’alleggerimento dell’onere della prova per il consumatore danneggiato, all’ampliamento degli operatori economici che potranno essere ritenuti responsabili, all’aumento del termine di prescrizione per danni latenti. La domanda di protezione assicurativa è dunque destinata a crescere, e in un prossimo articolo tratteremo delle peculiarità delle polizze di responsabilità civile specifiche per il settore alimentare.     

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1 Il principio di precauzione è stato ad esempio adottato nella vicenda della c.d. mucca pazza e la Corte di Giustizia Europea ha sancito la legittimità delle misure preventive adottate nelle cause C-180/96 e C-477/98.
2 Si veda, ad esempio, Cass. civ., Sez. VI, 30 aprile 2015, n. 8803.
3 Cass. civ., Sez. II, 10 luglio 2014, n. 15824
4 L’acronimo deriva dall’inglese RAPid EXchange of information system (sistema di scambio rapido di informazioni).
5 Mentre il ritiro è finalizzato ad impedire la distribuzione e l’esposizione di un prodotto pericoloso, nonché la sua offerta al consumatore (ed è dunque una misura che si adotta quando il prodotto che è ancora presente nella catena distributiva), il richiamo viene adottato quando il fabbricante o il distributore ha già fornito o reso disponibile il prodotto pericoloso ai consumatori e consiste in
tutte quelle misure volte a ottenerne la restituzione.

Marco Dimola (Clyde & Co)
Giulia Madonini (Clyde & Co)

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