RISK ASSESSMENT E ADEGUATEZZA

Autori: Claudio Perrella, Elio Marchetti
ASSINEWS 375 – Giugno2025

A febbraio 2024, un crollo durante i lavori di ristrutturazione di un immobile pubblico causa la morte di un operaio e il ferimento grave di due passanti.
Partendo da questo sinistro, analizzeremo brevemente le diverse tipologie di danno risarcibile ed i criteri per la determinazione dell’indennizzo utilizzati dalla giurisprudenza, proponendo alcuni esempi pratici di calcolo.

Il danno biologico: definizione e calcolo

Il danno biologico si riferisce alla lesione dell’integrità fisica o psichica di un individuo, medicalmente accertabile e risarcibile a prescindere dalla capacità di produzione di reddito del danneggiato. Secondo la giurisprudenza di legittimità “Il danno biologico consiste nelle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica, della lesione psicofisica”1.

Nella valutazione del danno biologico, si considera l’entità della lesione subita dal danneggiato, la sua durata, la gravità e le conseguenze sulla vita quotidiana e lavorativa. Il risarcimento del danno biologico si fonda sulla percentuale di invalidità permanente che il danneggiato riporta. Il calcolo del risarcimento del danno biologico in sede giudiziaria è affidato alle tabelle elaborate dai tribunali.

Secondo la Suprema Corte “la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l’applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette “tabelle” (elaborate da alcuni uffici giudiziari), ancorché non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né risultano recepite in norme di diritto, come tali appartenenti alla scienza ufficiale del giudice”2. Il sistema delle tabelle elaborate dai tribunali non garantisce, tuttavia, uniformità nella liquidazione del danno.

Il medesimo danno biologico, calcolato con le tabelle di Milano e Roma, può portare a risultati differenti in termini di indennizzo liquidabile. Il sistema delle “tabelle” è tuttavia destinato ad essere rimpiazzato – quantomeno per quel che concerne la determinazione dei risarcimenti derivanti da incidenti stradali o errori medici – vista la recentissima introduzione della Tabella Unica Nazionale (c.d. TUN). Nel febbraio di quest’anno, infatti, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DPR del 13 gennaio 2025, n. 12, che ha introdotto la TUN. L’obiettivo della norma è quello di uniformare i criteri di risarcimento dei danni relativi ai sinistri stradali agli eventi clinici, verificatisi a partire dalla data di attuazione del suddetto decreto, superando le differenze liquidative formatesi nella prassi dei tribunali. La TUN è operante dallo scorso 5 marzo 2025 e sarà applicabile ai sinistri verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore. Il legislatore ha impostato la tabella unica nazionale ponendo come base di partenza il valore monetario del punto di invalidità già previsto per le invalidità permanenti lievi, sulla base di quanto stabilito dall’art. 139 del codice delle assicurazioni (fissando il valore del primo punto a 947,30 euro). Vediamo nella TABELLA 1 due esempi di calcolo utilizzando la TUN, confrontandoli con i medesimi danni liquidati secondo le tabelle di Milano e Roma.

Il danno patrimoniale: danno da perdita della capacità lavorativa

Quando un lavoratore subisce un infortunio che limita o vanifica la sua capacità lavorativa, il risarcimento deve comprendere il reddito che il lavoratore avrebbe guadagnato se non fosse stato danneggiato. In particolare, si considerano la durata della vita lavorativa residua e la possibilità di reinserimento nel mercato del lavoro. In tema di rapporto tra danno biologico e danno patrimoniale, un’interessante pronuncia della Corte di Cassazione3 ha recentemente stabilito che non esiste una corrispondenza diretta tra l’entità del danno biologico e quella del danno patrimoniale che esso comporta. Secondo la Corte, un danno biologico di lieve entità, ma che, ad esempio, colpisce un arto fondamentale per l’attività lavorativa, può avere un impatto molto maggiore di una lesione grave che, tuttavia, non influisce sulla capacità lavorativa del danneggiato. Di conseguenza, il criterio che stabilisce un legame diretto tra danno biologico e riduzione del reddito risulta inadeguato a garantire il risarcimento integrale, come richiesto dagli articoli 1223 e 2056 del codice civile.

A tal proposito, la Corte ha evidenziato, in un caso relativo a un imbianchino che aveva subito gravi lesioni ai polsi, che il criterio secondo cui la perdita di reddito è equivalente all’invalidità subita è privo di fondamento, sia normativo che logico. Infatti, una lieve invalidità potrebbe causare una significativa riduzione dei guadagni, e viceversa, a seconda della tipologia di invalidità.

Il risarcimento del danno in caso di morte del lavoratore – il danno da perdita parentale

Nel caso in cui, come nella vicenda citata in premessa, il lavoratore sia deceduto a causa del sinistro, i parenti sono legittimati a richiedere un risarcimento del danno. Oltre al danno patrimoniale da lucro cessante, conseguente alla perdita del contributo reddituale del defunto, i superstiti hanno diritto ad essere risarciti per i danni non patrimoniali subiti. I danni non patrimoniali risarcibili ai superstiti si distinguono in danno iure hereditatis e danno iure proprio. Il danno iure hereditatis è quello subito dalla vittima e che viene trasmesso agli eredi. Gli eredi hanno diritto ad essere risarciti per i danni biologici derivanti dai postumi invalidanti che la vittima ha sofferto tra la lesione e la morte.

Secondo una recente pronuncia del dicembre 2024 – che richiama un consolidato e più risalente principio della giurisprudenza di legittimità in tema di danno tanatologico4 – se il decesso si verifica a breve distanza dall’evento lesivo, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis del danno biologico5. La giurisprudenza, tuttavia, non ha ancora quantificato il lasso temporale che deve intercorrere tra la malattia e la morte ai fini della risarcibilità di questa tipologia di danni. Il danno iure proprio, invece, riguarda i danni che i congiunti subiscono direttamente nella loro vita a causa della morte del familiare. In entrambe le categorie, è previsto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla morte del parente. Quanto al danno iure proprio, in esso sono compresi i danni biologici e i danni morali. Per la dimostrazione dei danni biologici e morali a seguito della morte di un congiunto, è necessario provare l’esistenza di una patologia psichica cagionata dall’evento e la sofferenza morale soggettiva patita.

La giurisprudenza ha poi sviluppato una terza categoria di danno iure proprio, ovvero il danno da perdita parentale. Il danno parentale subito dai superstiti è considerato un danno-conseguenza, il che significa che il danno è il risultato diretto della morte della vittima e non dipende da altre circostanze. Il superstite ha solamente l’onere di dimostrare l’esistenza di un rapporto parentale. La liquidazione del danno da perdita parentale avviene “seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti e la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, da valutarsi, comunque, in ragione della particolarità e della eventuale eccezionalità del caso di specie”6.

Il calcolo del danno si è dunque evoluto da un sistema basato su valori monetari assoluti, all’attuale modello a punteggio. Questo sistema assegna un valore economico al punto in base alla categoria di parentela o affinità, e tiene conto di fattori come l’età della vittima, dei superstiti e il contesto familiare. È inoltre prevista la possibilità di “personalizzare” l’entità del risarcimento, sulla base della qualità e dell’intensità della relazione affettiva che caratterizzavano il rapporto parentale. Anche per il risarcimento del danno parentale in ambito giudiziale, vengono applicate le tabelle elaborate dai Tribunali. Il calcolo dell’indennizzo, anche in questo caso, varia a seconda che vengano applicate le tabelle di Milano o di Roma, come evidenziato nella TABELLA 2.

L’indennizzo corrisposto dall’INAIL e il danno differenziale – Conclusioni

L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), offre ai lavoratori una copertura assicurativa che copre i danni patrimoniali e alla persona conseguenti ad infortuni o malattie professionali. Si parla di danno differenziale quando l’indennizzo erogato dall’INAIL per un infortunio sul lavoro non è sufficiente a coprire l’intero danno subito dal lavoratore, costringendo quest’ultimo, o i suoi superstiti in caso di decesso, a chiedere un risarcimento in sede civile nei confronti del datore di lavoro. L’INAIL, infatti, risarcisce il danno biologico permanente, ma esclude altre voci di danno non patrimoniale come il danno morale e il danno biologico temporaneo.

La giurisprudenza della Corte di cassazione7 ha chiarito che la prestazione dell’INAIL, regolata dal D.lgs. n. 38 del 2000, art. 13, non può considerarsi sufficiente a ristorare integralmente il danno subito dal lavoratore deceduto, poiché essa ha una finalità solidaristica, mentre il risarcimento civilistico ha una finalità risarcitoria. In conclusione, ipotizzando il decesso di un lavoratore di 47 anni, con superstiti il coniuge convivente, anch’essa di 47 anni, e un figlio minorenne di 17 anni, la quantificazione del danno risarcibile in favore dei superstiti, a carico del soggetto ritenuto responsabile a seguito di condanna civile, può articolarsi tenendo conto delle diverse voci di danno considerate.

Per quanto riguarda il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, utilizzando le Tabelle del Tribunale di Milano aggiornate al 2024 e applicando la massima personalizzazione all’intensità del legame affettivo, la somma liquidabile può attestarsi in euro 391.100,00 per il coniuge ed euro 391.103,00 per il figlio. A tali importi va aggiunto il danno patrimoniale da perdita del sostegno economico, che, sulla base della proiezione del reddito presumibilmente destinato al nucleo familiare e delle condizioni personali ed economiche del lavoratore deceduto, può essere stimato in euro 100.000,00.

Tale importo è già stato calcolato al netto della rendita INAIL spettante ai superstiti, stimabile in circa euro 30.000,00 annui, la quale deve essere scomputata dall’ammontare del danno patrimoniale civilmente risarcibile, trattandosi di un’indennità corrisposta a fronte del medesimo pregiudizio. La rendita INAIL, tuttavia, non è destinata a protrarsi per l’intera vita dei superstiti in modo uniforme, circostanza che ne limita significativamente l’impatto nel computo attuariale.

Il valore della rendita INAIL può essere capitalizzato in circa euro 401.370,00. In virtù della sentenza di condanna del datore di lavoro, l’INAIL potrebbe esercitare azione di rivalsa al fine di recuperare le prestazioni economiche erogate ai superstiti. A queste voci di danno va aggiunto il risarcimento delle spese funerarie, quantificate in euro 10.000,00.

Pertanto, il risarcimento complessivo a carico del datore di lavoro, a seguito della condanna civile, può essere così riepilogato:

  • Danno parentale: euro 782.203,00 (391.100,00 per il coniuge + 391.103,00 per il figlio);
  • Danno patrimoniale (al netto della capitalizzazione della rendita INAIL): euro 100.000,00;
  • Azione di rivalsa INAIL stimata: euro 401.370,00;
  • Spese legali liquidate dal giudice a carico della parte soccombente: euro 20.000,00 – 30.000,00. Il costo complessivo a carico del datore di lavoro condannato in sede civile potrebbe quindi raggiungere un importo compreso tra euro 1.303.573,00 e 1.313.573,00, tenendo conto del risarcimento integrale ai familiari, della possibile rivalsa INAIL e delle spese processuali.

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1 Cassazione civile, n. 11039 del 12 maggio 2006.
2 Cassazione civile, n. 11039 del 12 maggio 2006.
3 Cfr. Cassazione civile, n. 26009 del 06 settembre 2023
4 Cfr. Cassazione civile, S.U., n. 15350 del 22 luglio 2015
5 Cfr. Cassazione civile, n. 33009 del 17 dicembre 2024
6 Cassazione civile, n. 10579 del 2021
7 Cassazione civile, sez. lavoro, n. 9166 del 10 aprile 2017

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