I nuovi dazi del 10% imposti dagli Stati Uniti sulle importazioni globali, inclusi i paesi del Golfo, sembrano colpire marginalmente l’area sul piano diretto – solo il 3% delle esportazioni del CCG (Consiglio di cooperazione del Golfo) è destinato agli USA, con gli idrocarburi esenti – ma aprono a una serie di rischi indiretti ben più insidiosi.
Secondo l’analisi di Coface, il Bahrein è il sorvegliato speciale: il 10% delle sue esportazioni va agli USA, il 12% del suo export metallurgico è legato al mercato americano, e il solo alluminio ha totalizzato nel 2024 circa 201.000 tonnellate verso gli Stati Uniti. Con un debito pubblico pari al 130% del PIL e un pareggio fiscale legato a un prezzo del petrolio di 140 dollari al barile (contro i 60 attuali), la pressione sul bilancio è massima. Anche l’Oman è a rischio, seppur meno esposto.
Gli Emirati Arabi Uniti – che esportano il 9,4% dei metalli verso Washington – beneficiano di un tessuto produttivo più solido, ma non sono immuni: il rallentamento degli investimenti diretti esteri (IDE) da 23 miliardi nel 2023 potrebbe compromettere le strategie di diversificazione. L’instabilità dei mercati, l’aumento della produzione deciso da OPEC+ e il raffreddamento dell’attività industriale globale creano un mix esplosivo che rischia di far deragliare l’agenda di trasformazione economica della regione.
“I nuovi dazi USA colpiscono marginalmente il Golfo sul piano commerciale diretto, ma ne amplificano la vulnerabilità attraverso un canale più sottile: la fiducia degli investitori globali. Il vero rischio è che si crei un effetto domino su petrolio, investimenti e credito, minando gli sforzi di riforma e diversificazione su cui puntano le economie del CCG. In un contesto globale già incerto, anche scosse moderate possono generare onde lunghe”, ha commentato Ernesto De Martinis, CEO Regione Mediterraneo & Africa Coface.