Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

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Le imprese italiane, piccole e medie in testa, si sentono sempre meno al sicuro, vittime di furti, rapine, danneggiamenti, baby gang, mala movida e microcriminalità. Sette aziende su dieci ritengono che, negli ultimi tre anni, la sicurezza sia peggiorata. Il 35% delle Pmi italiane ha subito almeno un episodio di furto o danneggiamento nell’ultimo anno, accusando un danno economico che, solo per questa fattispecie di reato, supera gli 850 milioni di euro. Ancor più nel dettaglio, il 30% delle imprese del settore terziario avverte che i livelli di sicurezza si stanno abbassando, negli ultimi anni. Nel 2024 l’illegalità è costata alle imprese del commercio e dei pubblici esercizi 39,2 miliardi di euro e ha messo a rischio 276 mila posti di lavoro regolari. L’allarme arriva dai numeri diffusi sia da Confimprenditori, sia da Confcommercio. Non manca, però, un elemento positivo: sono sempre più le imprese che denunciano.
Consigli di amministrazione in trincea per difendere la cybersecurity. Sono caricate sui vertici delle organizzazioni tutte le più importanti decisioni su come predisporre la difesa dagli attacchi informatici e su come gestire le risposte in caso di incidente. Questo vale anche per i ruoli apicali delle pubbliche amministrazioni. E dal coinvolgimento diretto dei “piani alti” ci si attende una maggiore propensione a investire in sicurezza informatica e in formazione del personale. A partire proprio dai componenti degli organi di amministrazione e direttivi. È questo il disegno tracciato dall’Acn (Agenzia per la cybersicurezza nazionale), che, con la determinazione n. 164179 del 14 aprile 2025, firmata dal direttore generale, Bruno Frattasi, ha stilato le “misure di sicurezza di base”. Ad adottare queste misure di sicurezza sono tenuti i cosiddetti “soggetti Nis 2” e cioè le imprese e le pubbliche amministrazioni censite, in attuazione del dlgs 138/2024 (recepimento della direttiva Ue n. 2022/2555), nell’elenco nazionale presso l’Acn e obbligate a realizzare un livello elevato di sicurezza informatica. In concreto, significa scrivere e attuare misure tecniche e organizzative, che riguardano il personale, gli strumenti e i processi produttivi enumerati negli allegati alla citata determinazione. In particolare, gli allegati sono due e sono destinati rispettivamente agli enti qualificati “soggetti importanti” e agli altri enti che sono considerati “soggetti essenziali”. Si tratta di una grande quantità di compiti, di elevata complessità, che imprese e p.a. obbligate dovranno aver terminato entro 18 mesi (ottobre 2026) dalla ricezione della comunicazione di inserimento nell’elenco nazionale Nis.
I Notai frenano sulle mediazioni da remoto e indicano quale scelta preferibile le riunioni in presenza fisica e con tutti i diretti interessati attorno a un tavolo. Gli incontri di mediazione con collegamenti audio-video a distanza, dunque, sono solo un ripiego. E anche la partecipazione con un delegato è una seconda scelta. È quanto si desume dallo Studio n. 3/2024M del Consiglio nazionale del Notariato, intitolato “Il primo incontro di mediazione e l’obbligo di cooperare in buona fede e lealmente”, approvato dalla commissione mediazione il 15 aprile 2025, che analizza la disciplina delle mediazioni alla luce del decreto legislativo 216/2024, correttivo del precedente dlgs 149/2022 (riforma “Cartabia”). La riforma degli strumenti di risoluzione alternativi delle controversie, con l’estensione del loro ambito di applicabilità rientra nella riforma della giustizia civile, inserita nel Pnrr
Dal certificato di assicurazione alla constatazione amichevole, passando per firme elettroniche e moduli online: la digitalizzazione dei processi assicurativi fa un nuovo passo avanti. Infatti, tra le novità più rilevanti introdotte dal regolamento Ivass n. 56/2025 c’è il Cai (Constatazione amichevole di incidente) digitale, ovvero la versione elettronica della constatazione amichevole di incidente. Il modulo potrà essere compilato direttamente da smartphone, tablet o computer, attraverso le app ufficiali delle compagnie o dai portali dedicati, per poi essere firmato tramite Spid o carta d’identità elettronica e inviato in tempo reale alla compagnia assicurativa.

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Per capire quale importanza e peso riveste la previdenza in Italia basta un dato. Parliamo dei tre quarti della spesa per prestazioni sociali che a sua volta vale un quinto del Pil. Numeri stratosferici. A metterli in fila, c’è da tremare. L’Italia spenderà quest’anno 344,4 miliardi per le pensioni su 461 miliardi per il sociale: il 75%. Rispetto al Pil siamo al 15,3%, una delle percentuali più alte d’Europa che tuttavia tiene dentro tutto: spesa previdenziale coperta dai contributi dei lavoratori e spesa assistenziale. Questa percentuale del 15,3% sarà mantenuta stabile anche nel 2026 e nel 2027, almeno nelle intenzioni del governo Meloni. Prima di toccare il picco della gobba previdenziale al 17% nel 2040. In valore assoluto, la spesa per pensioni salirà a 355,3 miliardi l’anno prossimo e a 365,6 miliardi quello ancora dopo.
La fotografia più recente ed esaustiva della previdenza complementare italiana è quella scattata dalla Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, alla fine del 2023. L’istantanea presenta luci e ombre. Tra le buone notizie, c’è la crescita degli iscritti, che hanno toccato quota 9,6 milioni alla fine del 2023, il 3,7% in più dell’anno prima, con una ripresa registrata da tutte le forme pensionistiche una volta superata la fase dell’emergenza pandemica. «Nel corso dell’anno – svela Francesca Balzani, commissaria della Covip – le adesioni hanno continuato a crescere e alla fine del 2024 siamo vicinissimi alla soglia dei 10 milioni di iscritti: un lavoratore su tre oggi ha una forma di previdenza complementare. È un risultato importante, soprattutto se si considera il peso della previdenza obbligatoria che, inevitabilmente, riduce la possibilità di accantonare risorse nella previdenza integrativa, e che premia il buon lavoro fatto dal sistema in questi anni».
Dal 1977 siamo andati sotto il livello di sostituzione la bassa fecondità è ormai una condizione permanente. La longevità è una conquista, ma gli anziani devono essere considerati una risorsa e non un costo. Servono politiche previdenziali sociali e sanitarie che rimettano la persona al centro
Più di vent’anni fa Regione Trentino Alto Adige ha lanciato Pensplan, un progetto di previdenza complementare, per promuovere un futuro pensionistico più solido per i cittadini del territorio. Pensplan offre gratuitamente consulenza specializzata, supporto amministrativo e vantaggi economici attraverso una rete di sportelli informativi nelle province di Trento e Bolzano. «Quello trentino rappresenta un modello virtuoso di welfare territoriale che ha saputo anticipare le sfide previdenziali nazionali, creando un sistema complementare a cui oggi è iscritto circa il 60% degli occupati della Regione – commenta Andrea Lesca, amministratore delegato e direttore generale di Intesa Sanpaolo Insurance Agency – e questo grazie a un modello di collaborazione con operatori territoriali profit- no profit».
N on solo rendita. Il decollo della previdenza complementare in Italia necessita evidentemente di ulteriori interventi, anche se trovare soluzioni in grado di stimolare le adesioni, rispettando al tempo stesso i limiti del bilancio pubblico, è tutt’altro che semplice. «La sfida principale che abbiamo davanti come Paese è coinvolgere i giovani, la categoria che maggiormente potrebbe beneficiare dalla previdenza complementare e che attualmente registra il minor tasso di adesioni», commenta Marco Basilico, responsabile direzione istituzionali e previdenza di Arca Fondi Sgr. Il riferimento è al fatto che il modello pensionistico nazionale è legato all’aspettativa di vita, con un tasso di sostituzione destinato a calare progressivamente. Attualmente l’assegno pensionistico è all’incirca pari a tre-quarti dell’ultimo stipendio (sempre a patto di andare in pensione secondo i requisiti di vecchiaia e a valle di una carriera lavorativa senza discontinuità), ma diverse stime segnalano che scenderà al 50% prima di metà secolo.
L’aumento della longevità è una buona notizia perché significa che le persone vivono più a lungo, ma il crescente invecchiamento della popolazione crea nuove esigenze e difficoltà. Significa infatti che aumenta il numero di pensionati e dei «grandi anziani», molti con specifici bisogni di cure e assistenza, e si riduce il numero di nuovi nati, cioè di futuri cittadini produttivi che in futuro potranno pagare le tasse indispensabili per le pensioni e per il sistema sanitario. Uno squilibro che rischia di far implodere l’economia italiana, già messa a dura prova da un contesto globale segnato da shock multipli e instabilità permanente, come la crisi pandemica, la stretta monetaria globale, le tensioni geopolitiche. A lanciare un SOS sono stati gli esperti che hanno preso parte all’evento di Pfizer “FUTURE — Economia, Longevità e Salute”, che si è tenuto a Roma.
Se l’export italiano ha puntato storicamente soprattutto verso Paesi come la Germania, la Francia e gli Stati Uniti, in futuro sempre più container potrebbero prendere la via di Vietnam, India o Arabia Saudita. Il rischio di un inasprimento dei dazi negli Usa, le difficoltà dell’economia tedesca, l’aumento dei costi produttivi e la crescente complessità delle filiere stanno spingendo molte aziende a ripensare le proprie traiettorie internazionali, esplorando nuove rotte. Un orientamento favorito anche dall’evoluzione dei consumi globali, con classi medie in espansione e nuove aree in forte urbanizzazione che generano una domanda crescente di beni e servizi made in Italy. Per molte aziende italiane, diversificare non è solo una scelta economica, ma una condizione di sopravvivenza.
Un argomento di stretta attualità, considerato che da quest’anno il tema è entrato nei programmi scolastici, sebbene non con una dignità autonoma, ma all’interno dell’insegnamento dell’educazione civica. “The Effectiveness of a Financial Education Program in Italian Schools”, questo il titolo del working paper di Bankitalia, è frutto delle analisi condotte su oltre 1.500 studenti di quinta elementare e terza media, in 19 scuole tra Veneto, Toscana e Sicilia. Il programma prevede la formazione dei docenti, l’uso di materiali didattici dedicati e attività in classe su temi chiave: reddito e pianificazione, risparmio e investimenti. I risultati sono chiari: gli studenti che hanno seguito il programma in classe hanno migliorato la propria alfabetizzazione finanziaria dell’8% circa, un progresso di grande rilievo secondo gli analisti. Al contrario, i ragazzi a cui è stato solo consegnato il materiale da studiare autonomamente a casa non hanno mostrato miglioramenti significativi, a eccezione di quelli provenienti da famiglie con elevato status socio-economico.
Le prospettive del settore automobilistico non erano rosee prima dell’annuncio dei dazi da parte dell’amministrazione Usa e sono diventate ancora più cupe dopo. All’orizzonte c’è una stagnazione prolungata. E questo nonostante l’auto continui ad essere il mezzo di trasporto di gran lunga preferito dai cittadini, soprattutto in Italia. Le politiche europee hanno però forzato una transizione verso l’elettrico, per la quale i consumatori non erano pronti (e se è per questo neanche la case automobilistiche occidentali), creando incertezza normativa e senza tra l’altro riuscire ad incidere in maniera significativa sulle emissioni del parco auto circolante.
Prezzi ancora troppo alti, poca familiarità con il mezzo e molte aspettative disattese. Il rapporto tra gli italiani e l’auto elettrica resta complicato. A confermarlo è l’ultima indagine condotta da Areté, società di consulenza strategica, che nel mese di aprile ha interpellato un campione rappresentativo di consumatori per tastare il polso alla propensione reale all’acquisto di veicoli full electric (Fv). Il dato più eloquente è che il 67% degli italiani non è disposto a spendere più di 30mila euro per un’elettrica, mentre l’81% non supererebbe comunque i 40mila. Il nodo del prezzo resta quindi il primo ostacolo. E cresce: rispetto al 2023, aumenta di 37 punti percentuali – fino al 47% – la quota di chi dichiaradi non aver mai preso in considerazione l’elettrico proprio per i costi giudicati eccessivi. Seguono tra i motivi di rinuncia la scarsità della rete di ricarica (26%) e i limiti sull’autonomia (18%).

Il risiko non rende felici, ma più ricchi certamente sì. Lo dimostrano i dieci principali protagonisti del riassetto azionario in corso a Piazza Affari tra banche, assicurazioni e wealth manager. Se prendiamo il 24 gennaio scorso, giorno in cui Luigi Lovaglio ha annunciato l’offerta pubblica di scambio di Mps su Mediobanca, come data di inizio del riassetto della grande finanza italiana, anche se va detto che Unicredit già due mesi prima si era mosso su Banco Bpm con una offerta però a sconto e per certi versi attendista, i dieci principali player del mercato finanziario italiano hanno visto le loro partecipazioni in meno di quattro mesi accrescere il valore complessivo di 5,3 miliardi di euro.
Non solo smartwatch e cellulari di ultima generazione. Oggi le transazioni in digitale avvengono anche attraverso altri oggetti indossabili, come gli anelli o i braccialetti. Non deve sorprendere, quindi, il sorpasso nel 2024 dei pagamenti digitali in termini di valore transato (481 miliardi di euro) ai danni del contante. E in questo contesto, secondo l’ultimo Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, la modalità contactless è la protagonista indiscussa, con un transato di 291 miliardi (+19% sul 2023). «Abbiamo finalmente scollinato, grazie anche all’emergenza Covid, che ci ha un po’ obbligati a fare questo switch, soprattutto verso l’ecommerce – commenta Luca Corti, country manager Italia di Mastercard – Ora la palla rotola in discesa, come si sul dire. Iniziamo a vedere i consumatori più evoluti che usano lo strumento più comodo anche in base al ticket medio. In metropolitana, per esempio, è molto comodo usare l’anello. Insomma, nel mondo fisico il trend dei pagamenti è ormai segnato».

Il governo è pronto a confermare le tutele Inail per studenti e docenti. L’annuncio è arrivato pressoché all’unisono dai ministri dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, e del Lavoro, Marina Calderone, intenzionati, all’interno del nuovo pacchetto di interventi allo studio sui temi della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, a spingere sui temi della prevenzione degli infortuni fin dai banchi di scuola. La misura è stata introdotta nel 2023, e prorogata quest’anno; copre oltre 10 milioni tra studenti e personale scolastico. La spinta è «a renderla strutturale». Con l’ultima proroga la relazione tecnica ha stimato un costo annuo di oltre 40 milioni di euro (sono in corso i calcoli da parte del Mef).
Qualora il reato presupposto previsto dal Dlgs 231/2001 sia stato commesso nell’ambito dell’attività di una società facente parte di un gruppo o di un’aggregazione di imprese, per il riconoscimento della responsabilità dell’ente è sempre necessario dimostrare in concreto la sussistenza dell’interesse o del vantaggio che ne ha tratto. Non è possibile cioè estendere la responsabilità né alle società collegate, né alla capogruppo. La persona fisica autrice del reato deve inoltre possedere le qualifiche soggettive previste dall’articolo 5 Dlgs 231/2001 (soggetto apicale o sottoposto). Lo ribadisce la sesta sezione penale della Corte di cassazione che, con la sentenza 14343 dell’11 aprile scorso, ha dato applicazione al principio secondo il quale la responsabilità può estendersi alle società collegate solo a condizione che all’interesse o vantaggio di una società si accompagni anche l’interesse concorrente di altra società.
Non ha responsabilità il conducente per i danni riportati dal passeggero che scende all’improvviso dallo scooter fermo e si scontra con un altro veicolo. Né risponde il conducente di quest’ultimo, se dimostra che ha fatto tutto il possibile per evitare il danno. Lo ha stabilito la Cassazione che, con l’ordinanza 11175 del 28 aprile 2025, ha respinto il ricorso di una donna che, scendendo dal ciclomotore fermo in divieto di sosta, si era sporta verso la carreggiata, andando a urtare il lato posteriore destro di un autobus che stava transitando in quel momento, e aveva riportato gravi lesioni fisiche e un’invalidità permanente del 30 per cento.