Di Matteo Schiavone e Ginevra Begani

La Corte di Cassazione, sezione III civile, con la sentenza n. 21220/22, depositata in data 5 luglio 2022, è intervenuta in materia di assicurazione della responsabilità civile, pronunciandosi sulla validità della clausola del contratto di assicurazione che riconosce all’assicurato il diritto ad ottenere la rifusione delle spese di resistenza solo se dovute a legali e/o periti designati dall’assicurazione.

Al termine dei due gradi del giudizio di merito avente ad oggetto, tra le altre cose, una domanda di risarcimento per i danni derivanti da vizi progettuali formulata dal terzo danneggiato nei confronti del professionista assicurato che, costituitosi con l’assistenza del proprio avvocato di fiducia, aveva chiamato in manleva la propria assicurazione per la responsabilità civile, la compagnia era stata condannata a tenere indenne l’assicurato per il capitale, mentre le spese legali erano state compensate tra le parti.

Il Giudice dell’impugnazione aveva respinto la domanda di condanna dell’assicurazione alla rifusione delle spese legali dell’assicurato, affermando che l’assicurato non poteva pretendere dall’assicuratore la rifusione delle spese di resistenza, in applicazione della clausola contrattuale che escludeva la rifusione di tali spese, se l’assicurato si fosse avvalso di avvocati o periti non designati dall’assicuratore.

La Corte d’Appello aveva concluso che tale patto non potesse dirsi invalido alla luce delle previsioni di cui all’art. 1917, terzo comma c.c., essendo tale norma derogabile per volontà delle parti.

Il professionista assicurato si era, quindi, rivolto alla Suprema Corte, lamentando la violazione dell’art. 1917 c.c., per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto quest’ultima norma derogabile per volontà delle parti, con la conseguenza che il Giudice dell’impugnazione avrebbe dovuto ritenere nulla la clausola de qua perché contraria all’art. 1917 c.c., terzo comma, c.c..

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’assicurato, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà applicare il seguente principio di diritto: “la clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, la quale stabilisca che l’assicurato, se convenuto dal terzo danneggiato, non ha diritto alla rifusione delle spese sostenute per legali o tecnici non designati dall’assicuratore, è una clausola che deroga in pejus all’articolo 1917, terzo comma, c.c., e di conseguenza è nulla ai sensi dell’art. 1932 c.c.”.

Gli Ermellini hanno spiegato, infatti, che la regola generale in materia di assicurazione della responsabilità civile sul punto delle spese di giustizia è quella espressa dal combinato disposto del terzo comma dell’articolo 1917 c.c., che recita: “Le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse” e del primo comma dell’art. 1932, c.c., che recita: “le disposizioni degli artt. (…) terzo e quarto comma (….) non possono essere derogate se non in senso più favorevole all’assicurato”.

Quindi, visto il divieto ad una deroga contrattuale sfavorevole all’assicurato, alla luce della pronuncia in esame, la clausola che esclude il diritto di quest’ultimo a vedersi rifuse le spese del proprio legale o tecnico di fiducia, riconoscendo tale diritto solo qualora sia stata la compagnia a sceglierli, deve considerarsi nulla.

La sentenza in commento avrà un effetto notevole sui rapporti tra assicurato ed assicurazione e in particolare sulla clausola comunemente denominata “gestione delle vertenze di danno – spese legali”.

In quasi tutti i contratti di assicurazione per la responsabilità civile (escluse le polizze RCA) è inserita la clausola che riconosce alla compagnia la facoltà di assumere la gestione della lite, incaricando legali e tecnici di propria fiducia che, ricevuta la nomina “formale” dall’assicurato, difendano il comune interesse di assicurato e assicurazione.

La facoltà concessa all’assicuratore di assumere la gestione della lite, il cui presupposto è nella prassi la piena operatività della copertura offerta dalla polizza, pone l’assicurato al riparo da ogni rischio e da ogni spesa e garantisce all’assicurazione che, gestendo la lite, ha accettato di tenere a suo carico le eventuali conseguenze sfavorevoli della stessa, il diritto di scegliere i propri legali e tecnici di fiducia che dovranno limitare, per quanto possibile, quelle conseguenze.

Ebbene, alla luce del principio di diritto enunciato con la sentenza de qua, la clausola “Gestione delle vertenze di danno – spese legali” inserita nelle polizze per la responsabilità civile rischia di non avere più alcun significato, con la conseguenza che l’assunzione della gestione della lite da parte dell’assicurazione diverrà un caso eccezionale.

Infatti, non sembrano esserci ragioni per le quali l’assicurato dovrebbe delegare all’assicurazione la scelta del legale cui conferire il mandato di difenderlo, dal momento che, in ogni caso, le spese del suo avvocato saranno poste a carico della compagnia, su cui graverà anche l’eventuale condanna a risarcire il terzo danneggiato.

D’altro canto, appare legittimo dubitare che l’assicurazione, riconoscendo la piena operatività della copertura offerta all’assicurato, sia disposta ad affidare la difesa ad un legale o ad un tecnico che non sia scelto negli gli elenchi dei propri fiduciari, ben sapendo che le conseguenze del giudizio ricadranno sull’assicurazione e non sull’assicurato.

In definitiva, riteniamo che la compagnia sceglierà di non assumere mai la gestione della lite, preferendo attendere la chiamata in causa dell’assicurato, per costituirsi con il proprio difensore di fiducia.

Ad avviso di chi scrive, l’assicurazione lascerà che sia il Giudice a liquidare le spese legali e tecniche sostenute dall’assicurato, il cui avvocato, in mancanza di un rapporto contrattuale o fiduciario con l’assicurazione, potrebbe avanzare, ante causam, nei confronti di quest’ultima richieste economiche maggiori di quelle che avrebbe rivolto al proprio cliente.

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