GIURISPRUDENZA

Potrebbe allentarsi il giro di vite voluto per evitare la circolazione di veicoli immatricolati all’estero, ma utilizzati da residenti in Italia 

Autore: Bianca Pascotto
ASSINEWS 338 – febbraio 2022

La Corte di Giustizia Europea è da poco intervenuta1 sul fenomeno noto in ambito societario come “esterovestizione”, ma nel nostro caso applicato ai veicoli e che ricorre in caso di utilizzo nel territorio italiano di veicoli con targa estera ad opera di soggetti – italiani o stranieri – residenti in Italia da oltre 60 giorni.

Fino al 2018 era comune, specie nelle regioni poste sui patri confini, assistere alla circolazione di veicoli con targa estera condotti da persone di fatto stabilmente radicate in Italia da diverso tempo, che non avevano provveduto ad immatricolare il mezzo in Italia.

Le ragioni erano le più svariate, tra le quali si possono annoverare i costi amministrativi da sopportare (iscrizione al PRA, pagamento della tassa di circolazione, revisione del veicolo, nuova polizza assicurativa etc…), ma anche e forse soprattutto, quello di “sfruttare” illecitamente la circostanza della targa straniera e magari anche del suo proprietario, per evitare di pagare imposte, pedaggi autostradali, multe o sanzioni, considerato che la notifica all’estero o l’identificazione del proprietario straniero, non era per nulla agevole per la nostra pubblica amministrazione.

Per eliminare il fenomeno dei “furbetti delle targhe straniere”, si giungeva alla stretta voluta dal legislatore nel dicembre 2018 il quale, con il decreto sicurezza, ha modificato l’art. 93 del codice della strada, vietando la circolazione di veicoli con targa estera a coloro che risiedono in Italia da oltre 60 giorni, salva loro nuova immatricolazione e applicando in difetto pesanti sanzioni.

Ma ora questo divieto è stato seriamente contestato dai giudici europei, anzi la norma italiana parrebbe proprio violare il principio di non discriminazione e la libertà di circolazione e stabilimento all’interno della UE con sua disapplicazione.

Il fatto
Caio, italiano e residente in Italia è coniugato con Mevia, cittadina e residente in Slovacchia.
Caio, alla guida della vettura intestata alla coniuge e immatricolata in Slovacchia, si reca assieme alla moglie al supermercato e vengono fermati per un ordinario controllo dalla Polizia Locale.

In detta occasione gli accertatori contestano a Caio la violazione dell’art. 93 comma 1 bis del codice della strada, poiché non aveva provveduto a reimmatricolare il veicolo in Italia, stante la sua residenza in Italia da oltre 60 giorni.

Il verbale viene impugnato avanti il Giudice di Pace di Massa Carrara, il quale ritiene che il divieto imposto dall’art. 93 comma 1 bis, impone di fatto al residente in Italia che vuole circolare con veicolo immatricolato in altro Stato membro, una nuova immatricolazione, il che comporta, oltre ad affrontare un complesso iter burocratico, l’assunzione di onerosi costi quali
(i) effettuare la revisione del veicolo,
(ii) pagare la tassa automobilistica in Italia anche laddove sia già stata corrisposta all’estero,
(iii) acquistare una nuova polizza assicurativa.

Ad avviso del Giudice di Massa, detta imposizione costituisce una limitazione dei diritti di libertà di circolazione e di stabilimento garantita dal TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) e di fatto opera una discriminazione fondata sulla cittadinanza degli appartenenti all’Unione Europea.

Solleva quindi 4 questioni pregiudiziali che sottopone alla Corte di Giustizia, chiedendo sostanzialmente se le norme del Trattato che vietano agli Stati membri di operare discriminazioni in base alla nazionalità, unitamente a quelle che sanciscono la libertà di circolazione, la libertà di soggiornare liberamente negli Stati membri, la libertà di mercato e di prestazioni di servizi a favore di tutti i cittadini della UE, previste dagli artt. 18, 21, 26, 45, da 49 a 55 e da 56 a 62 del TFUE, possano essere declinate nel caso di specie, allo scopo di impedire ad una norma di diritto interno come l’art. 93 comma 1 bis, di vietare la circolazione di un veicolo immatricolato in un altro Stato membro al residente in Italia da oltre 60 giorni.

Le norme applicate
ART. 93 comma 1 bis codice della strada
“Salvo quanto previsto dal comma 1-ter, è vietato, a chi ha stabilito la residenza in Italia da oltre sessanta giorni, circolare con un veicolo immatricolato all’estero. 1-ter.
Nell’ipotesi di veicolo concesso in leasing o in locazione senza conducente da parte di un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria o altra sede effettiva, nonché nell’ipotesi di veicolo concesso in comodato a un soggetto residente in Italia e legato da un rapporto di lavoro o di collaborazione con un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o aderente allo Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria od altra sede effettiva, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice doganale comunitario, a bordo del veicolo deve essere custodito un documento, sottoscritto dall’intestatario e recante data certa, dal quale risultino il titolo e la durata della disponibilità del veicolo. In mancanza di tale documento, la disponibilità del veicolo si considera in capo al conducente.
ART. 63 Trattato TFUE
comma 1
“Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni di movimenti di capitali tra gli Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.
Comma 2 “Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi”.

La soluzione
La Corte di Giustizia esamina il caso alla luce di tutte le norme del TFUE richiamate dal GdP nel suo rinvio pregiudiziale e preliminarmente, alla verifica che le viene richiesta circa la compatibilità tra la norma italiana e quelle del TFUE assunte violate, la Corte qualifica il caso concreto – ovvero l’utilizzo da parte del conducente di un veicolo di proprietà di soggetto straniero – riconducendolo alla fattispecie giuridica del prestito (per il diritto italiano trattasi di contratto di comodato ndr), prestito del veicolo per uso transfrontaliero a titolo gratuito che in quanto tale integra un movimento di capitali.

La problematica non è nuova per la Corte, poiché già del 2021 aveva dovuto decidere un caso analogo che coinvolgeva lo stato olandese. Operato questo necessario inquadramento giuridico, la Corte ravvisa che l’unica norma del Trattato che abbia rilevanza per l’interpretazione della questione sollevata, sia il solo art. 63 del TFUE, con esclusione delle altre norme richiamate dal Giudice di Pace.

L’art. 63 comma 1 del TFUE prevede che “sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e paesi terzi “, norma che viene normalmente interpretata dalla Corte UE nel senso che la normativa degli Stati membri non deve impedire, dissuadere o rendere difficile l’accesso al prestito da parte di tutti i cittadini della UE.

Per verificare se il nostro art. 93 comma 1 bis sia lesivo della normativa UE e contenga quella limitazione nell’esercizio dei diritti UE che invece il Trattato vuole eliminare, la Corte analizza la norma e giunge alla seguente conclusione.
Se per poter circolare con veicolo munito di targa estera, un cittadino UE residente in Italia da oltre 60 giorni deve necessariamente – salvo non voglia esportare il veicolo o subire le pesanti sanzioni – immatricolare il veicolo che è già immatricolato in altro Stato membro, a questo cittadino UE viene, di fatto, applicata una imposta nonostante il veicolo gli sia stato prestato a titolo gratuito dal residente di un altro Stato membro.

La normativa italiana, quindi “finisce per assoggettare ad imposizione i comodati d’uso transfrontalieri a titolo gratuito”, circostanza che invece non si configura per i contratti di comodato gratuito conclusi tra cittadini di nazionalità italiana.

È dunque evidente che la norma italiana opera una differenza di trattamento tra cittadini della Unione Europea basata sul criterio della cittadinanza, differenza che ha un duplice risvolto negativo:
1) da un lato scoraggia il residente in Italia ad accettare un prestito a titolo gratuito;
2) dall’altro lo priva della possibilità di poter beneficare della gratuità offertagli.

Il risultato finale è che la norma impedisce o comunque limita la libera circolazione dei capitali e di conseguenza i diritti sanciti dal Trattato.

La conclusione cui è giunta al Corte è una bella doccia fredda per la dichiarata “lotta ai furbetti”, ma non tutto pare perduto.
Il giudice UE, infatti, ricorda che le norme nazionali possono operare restrizioni ai cittadini UE, purché le stesse abbiamo uno scopo, un fine legittimo e siano sostenute da motivi imperativi di interesse pubblico che quindi travalicano la tutela del singolo a salvaguardia degli interessi della collettività in generale.

E detti motivi sono stati rappresentati dal governo italiano a sostegno della validità e bontà dell’art. 93 comma 1 bis, il quale ha sostenuto avanti la Corte che la norma ha come scopo quello di evitare che “mediante l’utilizzo abituale nel territorio nazionale di veicoli immatricolati all’estero soggetti residenti e che lavoravano in Italia possano commettere illeciti, quali il mancato pagamento delle tasse, delle imposte e dei pedaggi, possano eludere sanzioni o fruire di premi assicurativi più vantaggiosi ma anche che l’identificazione degli effettivi conducenti dei tali veicoli sia resa difficile, se non impossibile per le forze di polizia deputiate al controllo”.

Tutte queste circostanze sono il portato di quanto emerge(va) dalla quotidiana realtà italiana, da cui è sorta la necessità di arginare un fenomeno che arreca(va) danni e distorsioni al sistema “circolazione stradale”, inducendo lo Stato italiano a procedere alla modifica dell’originario articolo 93 c.d.s..

Ma a ben vedere più che motivi di necessaria ed imperativa tutela degli interessi generali, queste “giustificazioni” sono purtroppo gli effetti e le conseguenze della incapacità della nostra macchina burocratica di applicare le norme di legge, di farle rispettare, ma soprattutto di punire coloro che le violano, applicando ed eseguendo nel concreto le sanzioni irrogate. E di un tanto la Corte, per nostra sfortuna, se ne accorge.

In replica puntuale alle motivazioni addotte dallo Stato italiano il giudice europeo afferma che:
1) circa l’obiettivo di prevenire gli abusi “non si può basare una presunzione generale di abuso sul fatto che una persona residente in Italia utilizzi, nel territorio di tale Stato membro, un veicolo immatricolato in un altro Stato membro che gli è stato prestato a titolo gratuito da persona residente in tale Stato”;
2) quanto all’efficacia dei controlli, “non risulta per quali ragioni l’identificazione degli effettivi conducenti dei veicoli immatricolati all’estero sia resa difficile per le forze di polizia deputate al controllo”;
3) quanto al vantaggio assicurativo che deriverebbe al conducente “non risulta … in che misura tale obiettivo costituisca un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato TFUE e sia giustificato da motivi imperativi di interesse generale”;
4) quanto alla riduzione delle entrate fiscali “non può essere considerata in motivo imperativo di interesse generale che può essere indicato per giustificare una misura che sia in linea di principio contraria a una libertà fondamentale”.

L’unica chance a favore della “salvezza” dell’art. 93 comma 1 bis riposa sulla considerazione che la giurisprudenza della Corte UE ammette che uno Stato membro (A) possa assoggettare un veicolo già immatricolato in altro Stato membro (B) a nuova immatricolazione, quando detto veicolo venga utilizzato in modo permanente nel territorio dello Stato membro (A). Stabilire quando questa circostanza si verifichi sarà compito del giudice e, nel nostro caso, del giudice di pace, al quale viene delegato il compito di accertare la durata del comodato e la natura dell’utilizzo del veicolo da parte del conducente, che dovrà necessariamente essere effettiva e costante se si vuole salvaguardare l’applicazione dell’art. 93 comma 1 bis del codice della strada.

Questa decisione della Corte di Giustizia può, o potrà avere, se avrà un seguito nelle aule di giustizia, un effetto dirompente, perché taccia di nullità l’art. 93 e ne comporta la sua disapplicazione, ma, al contempo, rimette dette conseguenze alla valutazione del giudice nazionale che sarà chiamato di volta in volta a verificare la condizione di “permanente utilizzo” del veicolo, verifica per nulla facile né scontata e soggetta ad inevitabile discrezionalità.

Mi sento di affermare che almeno su un particolare la Corte di Giustizia è caduta in errore, laddove sostiene che il contratto di comodato d’uso tra cittadini italiani non è soggetto ad imposta, ancorché in senso lato. Il contratto di comodato d’uso, che sia gratuito o no, è soggetto all’obbligo di registrazione quando stipulato in forma scritta, con corresponsione della tassa di registrazione di € 200 all’Agenzia delle Entrate.


1 Corte di Giustizia Europea sentenza 16 dicembre 2021 – causa C-274/20


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