RCA

Autore:  Marco Rossetti
ASSINEWS 336 –dicembre 2021

Dall’Europa solo un lifting per l’assicurazione RCA

1.La nuova direttiva
Il 21 ottobre scorso il parlamento europeo ha approvato, con modifiche, la proposta della commissione di modifica della  direttiva 2009/103 in tema di assicurazione obbligatoria della  responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli  Il testo ovviamente non è ancora in vigore: dovrà essere  sottoposto al Consiglio UE in prima lettura (il quale potrà  ovviamente modificarla: art. 289 del Trattato sul funzionamento  dell’Unione europea).

Si tratta della settima direttiva comunitaria in materia di  assicurazione RCA (le prime cinque direttive, come noto,  vennero riunite e coordinate in un testo unico dalla suddetta  direttiva 2009/103/CE, del parlamento europeo e del  consiglio, del 16 settembre 2009, che divenne così la “sesta  direttiva”).
Poiché la prima direttiva fu approvata nel 1972 (direttiva  72/166/CEE), dobbiamo constatare che l’Unione Europea,  nell’ultimo mezzo secolo, ha ritenuto di intervenire in tema  di assicurazione RCA con una media di una volta ogni sette  anni.

Chi si atteneva novità epocali da questa settima direttiva  rimarrà deluso: la versione licenziata dal Parlamento infatti  di novità ne contiene poche; di queste alcune sono soltanto  formali (ad es., chiamare i danneggiati “parti lese” anziché  “vittime”); la maggior parte delle restanti ribadiscono princìpi  affermati dalla Corte di giustizia UE, e comunque già  presenti nel nostro ordinamento.
In questo scritto proverò a dar conto delle principali di queste  novità, ovviamente dall’angolo visuale del diritto civile.

2. I “veicoli leggeri
Il progetto di direttiva, in primo luogo, autorizza gli Stati  membri ad esonerare dall’obbligo di assicurazione alcune  categorie di veicoli a motore.
Questi vengono individuati  non già in base al tipo, ma in base alle caratteristiche costruttive:  velocità inferiore a 25 km/h o, in alternativa, inferiore  a 14 km/h, se pesano meno  di 25 kg.

In sostanza, gli Stati avranno la facoltà  di esonerare dall’obbligo di  assicurazione biciclette elettriche,  monopattini, segway et similia.  Nella introduzione alla direttiva,  tuttavia, si precisa che gli Stati  membri hanno la facoltà, ma non  il dovere di esonerare dall’obbligo  di assicurazione i suddetti veicoli.

Ciò vuol dire che per il nostro  Paese nulla cambia, in quanto  come si è cercato diffusamente di  dimostrare in altra occasione (sia  consentito il rinvio a M. Rossetti,  Sant’Agostino e i monopattini elettrici,  in Assinews, 2021, n. 326),  già oggi per questo tipo di veicoli  esiste l’obbligo di assicurazione,  ai sensi dell’art. 122 cod. ass.. L’unica  conseguenza della Direttiva  dunque potrà essere la legittimità  d’una modifica normativa che abbassi  la soglia dell’obbligo assicurativo,  escludendone monopattini  et similia.  Su tale questione peraltro sia  consentito rilevare che il legislatore  comunitario ha cambiato avviso.  Nella prima versione della  direttiva (COM/2018/336), infatti,  si leggeva che “i nuovi tipi di veicoli  a motore, come le biciclette  elettriche, i segway e gli scooter  elettrici, rientrano già nel campo di applicazione della direttiva” 2009/103/CE;  che tuttavia era necessario chiarire espressamente  che anche questi mezzi erano soggetti  all’obbligo assicurativo; e che di conseguenza  parve opportuno esplicitare questo obbligo.

Con un salto paracrobatico di 180 gradi, nella  versione definitiva della direttiva per come approvata  dal Parlamento si afferma l’esatto contrario:  e cioè che monopattini e bici elettriche  possono causare solo “danni limitati”; che la  pericolosità di essi non è paragonabile a quella  di un autotreno, e che di conseguenza gli  Stati membri vanno lasciati liberi di decidere  se assoggettarli all’obbligo di assicurazione, al  fine di evitare “un eccesso di legislazione” (sic).

Certo, suona davvero umoristico paventare l’  “eccesso di legislazione” da parte di un Parlamento  che in materia assicurativa si è spinto a  stabilire sinanche come debbano essere stampati  i caratteri e i colori dei contratti assicurativi  (art. 20, comma 7, direttiva 2016/97 sulla  distribuzione assicurativa); ma a parte tale riflessione,  la scelta di consentire agli Stati di  escludere dall’obbligo di assicurazione monopattini  e bici elettriche suona in controtendenza  rispetto alla giurisprudenza della Corte di  Giustizia, la quale ha ripetutamente affermato  che l’obbligo di assicurazione è funzionale alla  tutela delle vittime della strada, e che gli Stati  membri non potrebbero vanificare tale tutela  restringendo il suddetto obbligo (Corte Giustizia  Comunità Europee, sez. I 30 giugno 2005,  Candolin, in causa C-537/03); che in caso di  dubbio le norme interne vanno interpretate in  modo da estendere, e non da ridurre, la tutela  delle vittime della strada (Corte giust., sez. IV,  1° dicembre 2011, in causa C-442/10, Churchill  Insurance Company Ltd. c. Wilkinson).  Ma se la norma di cui si discorre può destare  perplessità, le motivazioni con cui essa viene  giustificata nei “considerando” che precedono  il testo della direttiva appaiono addirittura surreali.

2.1. Francamente stucchevole, in primo luogo,  appare l’affermazione – spesa nel sesto  “considerando” a giustificazione dell’esonero  dei monopattini dall’obbligo assicurativo – secondo  cui “non esistono elementi sufficienti per  dimostrare che tali veicoli più piccoli potrebbero  causare incidenti con lesioni alle persone sulla  stessa scala di altri veicoli, come le autovetture  o gli autocarri”.

Mi chiedo che razza di modo  di ragionare è questo. Sub specie iuris, infatti,  il punto non è quanti feriti abbiano provocato  i veicoli elettrici leggeri, ma se questi mezzi  possano provocare danni alle persone. L’assicurazione  obbligatoria ha lo scopo di tutelare  tutte le vittime, e non solo le vittime di sinistri  causati dai veicoli maggiormente diffusi.

Sarebbe  davvero interessante conoscere con quali  parole potrà mai spiegarsi, alla madre orbata  d’un figlio ucciso da un nullatenente alla guida  d’un monopattino, che il suo lutto non merita  tutela risarcitoria, perché… i sinistri causati da  monopattini non sono poi così numerosi.

2.2. In secondo luogo, stupisce l’affermazione  secondo cui l’assoggettamento all’obbligo assicurativo  dei veicoli elettrici leggeri “ne comprometterebbe  la diffusione e scoraggerebbe l’innovazione”  (sesto “considerando”, primo periodo).
Si tratta d’una affermazione che svela un  background di competenze storico-giuridiche  avvilente.  Storicamente, infatti, l’assicurazione della responsabilità  civile, lungi dallo scoraggiare  l’innovazione, le ha consentito il colpo d’ala  che ha reso possibile la seconda Rivoluzione  Industriale.

Fu l’avvento dell’assicurazione di  responsabilità civile a consentire lo sviluppo  vertiginoso dei trasporti (per la cronaca: la prima  compagnia assicuratrice avente per oggetto  sociale l’assunzione del rischio di r.c. fu la  Automedon1, costituita a Parigi nel 1825 e dedita  all’assicurazione dei rischi derivanti dalla  circolazione delle carrozze a cavalli; ed anche  in Italia le prime assicurazioni della r.c. avevano  ad oggetto la copertura della responsabilità  civile degli esercenti servizi di trasporto a cavallo  o di tramvie2).

Lo sviluppo economico, infatti, esigeva l’affrancazione  dalla colpa, ma le regole della  responsabilità civile non ammettevano che taluno  potesse sottrarsi alle conseguenze d’una  condotta colposa.
Quando, però, s’ammise che  l’assicurazione potesse liberare le attività umane  dal fardello della colpa; quando il bisogno  economico di riparare divenne più pressante  del bisogno morale di punire, assicurazione e responsabilità civile “si corsero incontro felici,  quasi due innamorati che si abbraccino”, secondo  la felice metafora di La Torre (Responsabilità  e assicurazione, Milano 2019).

La copertura assicurativa d’un qualunque mezzo  circolante, liberando il proprietario dal rischio  di impoverimento, lungi dallo scoraggiarne  l’impiego, storicamente lo ha sempre favorito:  alla fine del XIV sec. il mercante toscano Francesco  Datini di Prato non avrebbe mai spedito  le sue balle di cotone a Marsiglia, se non avesse  avuto un assicuratore a garantire i rischi del  viaggio (Origo, Il mercante di Prato. Francesco  di Marco Datini, Milano 1958, 107).

3. L’“uso del veicolo
La proposta di direttiva introduce nella direttiva  2009/103 un nuovo articolo 1 bis, il quale  fornisce la definizione di “uso del veicolo” ai  fini assicurativi.
L’obbligo assicurativo viene infatti subordinato  non a un luogo dove viene messo in circolazione  il veicolo, ma al tipo di uso che ne fa il  conducente, e questo uso deve essere “ogni  utilizzo di un veicolo che sia conforme alla  funzione del veicolo in quanto mezzo di trasporto  al momento dell’incidente, a prescindere  dalle caratteristiche del veicolo, dal terreno  su cui è utilizzato e dal fatto che sia fermo o in  movimento”.

Si tratta di una innovazione sostanzialmente  inutile.
Il principio affermato dal suddetto articolo 1  bis, infatti, era stato già sancito in numerose  decisioni dalla Corte di Giustizia dell’Unione  Europea. Un principio, dunque, già immanente  nell’ordinamento e che la direttiva ha ora  solo “formalizzato”.

Sotto il profilo del diritto interno, in ogni caso,  il principio per cui l’obbligo di assicurazione  sussiste (e di conseguenza spetta alla vittima  l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore  o dell’impresa designata) in tutti i casi di danni  causati da veicoli utilizzati in modo conforme  alla loro destinazione era stato recentemente  affermato dalle sezioni unite della Corte di  Cassazione, con sentenza della quale abbiamo  già dato conto (Rivoluzione nel mondo della  RCA, in Assinews n. 334 – Ottobre 2021).

Mette conto tuttavia rilevare che la formalizzazione  del principio secondo cui le regole  sull’assicurazione obbligatoria si devono applicare  in tutti i casi di “utilizzo di un veicolo  conforme alla funzione del veicolo in quanto  mezzo di trasporto” potrebbe rendere non più  coerente col diritto comunitario la giurisprudenza  interna, formatasi sul tema della indennizzabilità  delle vittime di sinistri causati con  dolo.

È il caso, ad esempio, degli investimenti  intenzionali di pedoni, delle rapine o degli  scippi commessi con motocicli o ciclomotori,  degli autoveicoli utilizzati come “ariete” per  sfondare bancomat o porte blindate.  Dinanzi a vicende di questo tipo, la Corte di  Cassazione ha sino ad oggi affermato che l’assicuratore  della r.c.a. è tenuto a indennizzare  le vittime anche nel caso di sinistri dolosi,  salvo il regresso nei confronti dell’assicurato  (ex multis, Cass. civ., sez. III, 21-06-2004, n.  11471).

Ma una volta che dovesse diventare  legge la regola secondo cui l’obbligo assicurativo  sussiste solo quando il veicolo sia utilizzato  “in quanto mezzo di trasporto”, deve desumersene  a contrario che quell’obbligo venga  meno quando il veicolo non sia o affatto utilizzato  come mezzo di trasporto.
Ed un veicolo  utilizzato per sfondare, rapinare, uccidere  volontariamente, certamente non si può dire  che abbia la funzione di “trasportare” qualcosa  o qualcuno.

Non è dunque azzardato supporre che la giurisprudenza  di cui si è detto, se e quando la  direttiva fosse approvata in via definitiva nel  testo licenziato dal Parlamento, imporrà di sottoporre  a revisione il suddetto orientamento.

4. Gare e competizioni
La proposta di direttiva, inoltre, modifica l’articolo  tre, comma secondo, della vigente direttiva  2009/103, aggiungendo una previsione  secondo cui l’obbligo di assicurazione non  sussiste per i veicoli impiegati per la parteci pazione a “in eventi e attività sportive motoristiche”,  se l’ordinamento interno degli Stati  membri imponga agli organizzatori di tale attività  la stipula di una assicurazione a copertura  della responsabilità dei partecipanti e degli organizzatori  per i danni a terzi.

Anche questa norma non avrà alcun impatto sul  nostro ordinamento interno, ne avrà bisogno di  essere attuata. Una volta tanto, infatti, l’ordinamento  italiano ha preceduto di cinquant’anni  quello comunitario, dal momento che già  la legge 24 dicembre 1969 n. 990, come noto,  conteneva una previsione analoga, oggi rifluita  nell’articolo 124 codice delle assicurazioni.

5. Il fondo di garanzia
La proposta di direttiva come approvata dal  parlamento, inoltre, apporta varie modifiche  alle regole di ”ingaggio” del fondo di garanzia  per le vittime della strada.

Anche in questo caso, tuttavia, nessuna sostanziale  modifica sarà necessaria nell’ordinamento  nazionale: è prevista infatti l’introduzione di  un art. 10 bis nella direttiva 2009/103, il quale  impone agli Stati membri di prevedere l’intervento  del fondo di garanzia anche nel caso di  sinistri causati da veicoli assicurati con imprese  dichiarate fallite opposte liquidazione: regola,  come noto, anche questa già presente nel nostro  ordinamento. La tutela della vittima è tuttavia  arricchita dalla previsione di cui all’articolo  25 bis della proposta di direttiva, che impone  agli Stati membri di prevedere l’intervento di un  apposito organismo (verosimilmente, il fondo  di garanzia per le vittime della strada) nel caso  di danni patiti da cittadini in Stati membri diversi  dal proprio, e causati da veicoli assicurati con  imprese successivamente dichiarate fallite.

6. I rimorchi
Ulteriore previsione probabilmente inutile, o  comunque di poco momento rispetto al nostro  ordinamento, è quella che la proposta di  direttiva prevede nel nuovo articolo 15 bis, da  inserire nella direttiva 2009/103.

Tale norma prende in esame l’ipotesi di sinistri  causati da rimorchi, stabilendo che gli  Stati membri dovranno prevedere la possibilità  per la vittima, nel caso di impossibilità di  identificare la motrice, di domandare il risarcimento  del danno direttamente all’assicuratore  del rimorchio.  Tuttavia questa facoltà è subordinata dalla direttiva  ad un presupposto che, rebus sic stantibus,  ne impedisce l’applicazione al nostro  ordinamento: e cioè che “il diritto nazionale  applicabile preveda che l’assicuratore del rimorchio  provveda all’indennizzo”.

Ma il nostro diritto nazionale, come noto, stabilisce  che nel caso di sinistri causati da un  “complesso circolante”, e cioè da un rimorchio  o da un semirimorchio agganciato ad una motrice,  rispondano del danno il conducente il  proprietario della motrice e, per essi, l’assicuratore  della motrice, che assume la veste di  assicuratore dell’intero complesso circolante…
Pertanto, a meno di modifiche sotto questo  aspetto del codice delle assicurazioni, non  imposto dalla direttiva e non necessario ad  una maggiore tutela delle vittime, il novellato  articolo 15 bis della direttiva 2009/103 è norma  insuscettibile di applicazione nel nostro  ordinamento.

7. L’attestato di rischio europeo
Una significativa novità introdotta dalla proposta  di direttiva di cui si discorre è la previsione  di una sorta di “attestato di rischio  europeo”.
L’obbligo dell’assicuratore di lasciare  l’attestato di rischio è già previsto dal  vigente articolo 16 della direttiva 2009/103;  la proposta di modifica tuttavia arricchisce  tale previsione stabilendo che le imprese di  assicurazione, nel tenere conto della sinistrosità  pregressa del cliente, “non trattino  i contraenti in maniera discriminatoria, né  maggiorino i loro premi in ragione della loro  nazionalità o unicamente sulla base del loro  precedente Stato membro di residenza”.

I necessari regolamenti per l’attuazione dalla  norma vengono contestualmente demandati  alla commissione europea, ma in verità è alquanto  arduo immaginare cosa intenda il parlamento  europeo per “trattamento discriminatorio”  tra vari assicurati, posto che il luogo ove  si svolge la circolazione (o dove si è svolta  la circolazione negli anni precedenti la stipula  del contratto) è uno dei principali, se non il  primo elemento di rischio da valutare ai fini  del pricing del contratto.

8. Conclusioni
La proposta di direttiva, se restasse così come  è, non apporterà certo cambiamenti epocali  nella disciplina nazionale dell’assicurazione  r.c.a.. Maquillage, o poco più: questo sarà il  contenuto effettivo della riforma.
Se poi consideriamo che l’iter di questo modesto  intervento di riforma si protrae da quasi  quattro anni, e se paragoniamo i dibattiti profusi  in sede parlamentare con i risultati raggiunti,  è difficile non provare un certo senso  di scoramento.

Si diceva nell’esordio che l’Unione Europea è  intervenuta quasi con una direttiva ogni lustro,  nell’ultimo mezzo secolo, a disciplinare l’assicurazione  della r.c.a..
Eppure le istituzioni comunitarie  non hanno mai trovato la forza o la  capacità di mettere mano ai veri nodi irrisolti  dell’assicurazione r.c.a.: l’introduzione di un  criterio omogeneo per la liquidazione dei danni,  di impartire modo di quelli non patrimoniali;  l’introduzione di severe misure dissuasive  contro i tentativi di frode o l’esagerazione dolosa  del danno; l’introduzione di severe misure  dissuasive (penso, ad esempio, ad un elevato  saggio degli interessi di mora) contro i ritardi,  le residenze o gli atteggiamenti defatigatori  dell’assicuratore del responsabile.

L’introduzione di un criterio unitario di liquidazione  del danno non patrimoniale, ça va sans  dire, è un nodo irrisolto della disciplina comunitaria  dell’assicurazione perché, in assenza di  esso, è illusorio parlare di parità di trattamento  e parità di forme di tutela ai cittadini europei.
Per un cittadino italiano restare vittima di un  sinistro stradale in Italia, in Scozia o in Slovenia  è circostanza che sul piano risarcitorio  conduce a conseguenze risarcitorie drammaticamente  distanti (per ampi riferimenti, si veda  sul tema l’ampio studio di Pierre, La réparation  intégrale en Europe – Etudes comparatives des  droits nationaux, Bruxelles 2012, passim).

Alcuni  passi, certo, sono stati compiuti: associazioni  scientifiche di medici legali hanno cercato  di imbastire un “linguaggio comune” per le  valutazioni delle invalidità permanenti, approvando  un barème “europeo”(si veda la Guide  Barème Européen d’évaluation médicale des  atteintes à l’intégrité physique et psychique,  pubblicata a cura della Ceredoc, una associazione  di medici legali di vari paesi d’Europa); e  probabilmente molti altri se ne sarebbero potuti  compiere, ora che i britanni non siedono  più negli organi dell’Unione.

I rappresentanti  di sua Maestà, infatti, sia in sede di Consiglio  europeo, sia in sede di Commissione europea,  furono coloro che si misero sempre di traverso  (ostinatamente, caparbiamente, sordamente)  rispetto a qualsiasi proposta di uniformizzazione  dei criteri di liquidazione del danno, adducendo  che la materia delle obbligazioni è storicamente  riservata agli ordinamenti nazionali, e  sottratta alla competenza dell’Unione europea.

Quanto alle altre due misure (prevenire le frodi  dei danneggiati e sanzionare i ritardi degli assicuratori),  anche qui il panorama è alquanto desolante  sul piano dell’uniformità.
Da noi il danneggiato  che esageri dolosamente il danno non  rischia assolutamente nulla sul piano civilistico;  e ben poco maggiore è il rischio dell’assicuratore  che procrastini sine die l’adempimento della  propria obbligazione (gli interessi compensativi  sul dovuto, e forse una sanzione IVASS, incerta  nei tempi e nella misura).

In Spagna, ad esempio, l’art. 20, comma quarto,  della Ley 8.10.1980 n. 50/1980, prevede che  l’assicuratore della r.c.a., in caso di mora, sia  tenuto al pagamento d’un interesse maggiorato  del 50% rispetto a quello legale, e che comunque,  in caso di ritardo protratto per più di  due anni, l’interesse di mora “non può essere  inferiore” al 20%: una norma certamente molto  più efficace dello spauracchio delle sanzioni  IVASS (sia consentito, su questo punto, il rinvio  a M. Rossetti, Fulsere tibi quondam candidi  soles… ovvero perché è giunto il momento di  riformare l’assicurazione RCA – parte terza, in  Assinews n. 329, aprile 2021).

Ma per mettere mano a così grandi, così utili,  così irrinunciabili conquiste di civiltà, ci vorrebbe  un Clìstene o un Solone: e all’orizzonte,  purtroppo, non se ne vedono.


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