DALLA COMMISSIONE EUROPEA LE LINEE GUIDA SULL’APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 2004/35/CE

Pagina a cura di Vincenzo Dragani

L’esercizio anche di fatto di un’attività professionale ad alto rischio che causa un danno ambientale fa scattare in capo all’operatore la relativa responsabilità pure in assenza di dolo o colpa. E ciò con la conseguenza di dover risarcire, mediante ripristino dell’ecosistema o equivalente economico, anche il deterioramento indirettamente cagionato all’ambiente, così come quello che ha inciso sulla sola funzionalità di una singola risorsa naturale. I chiarimenti sulla portata della disciplina eco-riparatoria di matrice comunitaria arrivano dalla Commissione Ue, che con propria Comunicazione 7 aprile 2021 (Gazzetta Ufficiale dell’Ue dello stesso giorno, n. C 118) ha dettato le Linee guida per un’interpretazione comune della direttiva 2004/35/Ce sulla prevenzione e riparazione del danno ambientale.
Il contesto normativo. Le istruzioni comunitarie vertono sui punti nodali della disciplina unionale oggi declinata a livello nazionale tramite il dlgs 152/2006 (il «Codice ambientale») nella cui Parte VI (dalla rubrica «Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente») trovano collocazione le relative norme interne.

La disciplina in questione, per la cui corretta applicazione rilevano le nuove indicazioni Ue, detta le regole per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale, da intendersi come qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una delle seguenti risorse naturali o dell’utilità da esse assicurate: specie e habitat protetti; acque; terreno.

La disciplina impone a carico dei soggetti cui il danno potenziale o materiale sia imputabile l’adozione di precise misure di precauzione, prevenzione e ripristino, prevedendo il potere sostitutivo della pubblica amministrazione in caso di inerzia e la conseguente responsabilità degli interessati al risarcimento per equivalente.

Su due paralleli e ben diversi binari viaggia però il meccanismo di imputazione del danno, poiché gli operatori che svolgono determinate attività professionali considerate ad alto rischio (individuate dall’allegato III della direttiva, tradotto nell’allegato V della Parte VI, dlgs 152/2006) rispondono del danno a titolo oggettivo, ossia sulla base del solo nesso di causalità tra attività professionale esercitata ed evento negativo cagionato (e dunque a prescindere dall’elemento psicologico), mentre chiunque altro cagioni un analogo danno ne risponde qualora vi sia anche l’elemento soggettivo.

Tra le attività professionali che comportano la responsabilità oggettiva figurano:

– la conduzione di alcuni stabilimenti industriali come quelli chimici;

– le operazioni di gestione rifiuti;

– lo scarico di taluni inquinanti nei corpi idrici;

– l’estrazione e l’arginazione delle acque;

– la fabbricazione, l’uso, lo stoccaggio, il trattamento, l’interramento, il rilascio nell’ambiente e il trasporto sul sito di talune sostanze, preparati e prodotti;

– il trasporto per strada, ferrovia, navigazione interna, mare o aria di sostanze o merci pericolose.

Gli operatori delle suddette attività possono superare la presunzione di responsabilità dimostrando che il danno, tra le altre:

– stato causato da un terzo e si è verificato nonostante l’esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee;

– è conseguenza dell’osservanza di un ordine o istruzione obbligatori di una Autorità pubblica.

Le nuove indicazioni dell’Ue sono fondate sulla lettura offerta anche dalla stratificata giurisprudenza Corte di giustizia europea e mirano ad elargire ad Autorità, imprese e fornitori di garanzie finanziarie gli elementi per la corretta interpretazione dei punti nodali della disciplina più sopra sintetizzati.

Soggetti responsabili. L’Ue chiede una interpretazione ampia della nozione di operatore, quale persona fisica o giuridica che esercita o controlla un’attività professionale e che, come più sopra accennato, in alcuni casi può essere imputato di danno ambientale anche in assenza di dolo o colpa.

In primo luogo per l’Ue la nozione di operatore non può infatti essere circoscritta alle attivita connesse al mercato o che hanno natura concorrenziale, ma deve comprende tutte quelle svolte in un contesto professionale, in contrapposizione a quelle puramente personali o domestiche; dunque includendo anche le attività svolte nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege, come quelle, ad esempio, riconducibili ad un ente pubblico responsabile del drenaggio di zone umide per finalita legate all’agricoltura.

In secondo luogo, per l’Ue l’inquadramento di un soggetto come «operatore», con tutte le conseguenze del caso, sussiste anche in presenza del mero svolgimento di fatto di attività professionali, dunque in assenza delle previste autorizzazioni.

In merito, infine, alle tipologie di condotte dell’operatore che possono causalmente provocare il danno ambientale, l’Ue sottolinea come esse non necessariamente coincidono con incidenti o inconvenienti isolati, ma ben possono essere rinvenute nella conduzione del normale esercizio di certe operazioni, da cui scaturisce un evento negativo e rilevante per l’ambiente.

Nell’ambito delle operazioni che possono comportare una responsabilità per danno ambientale vengono dall’Ue ricordate: tra quelle distruttive, l’alterazione delle caratteristiche di un territorio o l’uccisione di esemplari di una specie protetta; tra quelle sottrattive, come l’impedenza del corso di un fiume, la rimozione di alberi o minerali; tra quelle cumulative, come il deposito di rifiuti sul terreno, l’uso di materiali inerti per riempimenti, la contaminazione dei corpi ricettori.

Il danno ambientale da risarcire. Il deterioramento che può integrare il danno ambientale, precisa l’Ue, non è solo quello che interessa lo stato della singola risorsa naturale colpita, ma anche quello che colpisce le funzioni benefiche che la stessa risorsa può svolgere a favore di altre risorse o di persone, secondo una visione di interdipendenza e di relazioni dinamiche tra sistemi.

Un inquinamento delle acque può così comportare la perdita di servizi alle specie e agli habitat naturali protetti, poiché, ad esempio, un animale può dipendere da un fiume avente particolari condizioni idromorfologiche, così come la stessa salute umana dipende dalle fonti di acqua potabile.

Per la misurazione del deterioramento, fondata su un confronto tra la condizione delle risorse prima e dopo l’evento dannoso (confronto ipotetico nel caso di danno potenziale) utile per l’Ue è l’utilizzo di esistenti dati di osservazione della Terra, informazioni su territori analoghi, modelli di riferimento.

In merito al paramento della «significatività» del danno, le Linee guida evidenziano come in base alla giurisprudenza Ue non sia fondamentale la scala degli effetti negativi, ben potendo anche un’attività di ridotte dimensioni provocare un notevole impatto ambientale se condotta in un luogo in cui i fattori ambientali descritti dalla direttiva (come fauna e flora, suolo, acqua, clima) sono sensibili al minimo cambiamento.

In relazione al terreno, ad esempio, il danno può essere significativo se, in un determinato ambiente locale, gli agenti contaminanti rilasciati nell’esercizio di determinate attività hanno cagionato un mutamento misurabile del livello di esposizione nociva diretta o indiretta degli esseri umani. Ad ampliare, inoltre, le ipotesi che possono cagionare un danno risarcibile ex direttiva Ue, evidenziano le Linee guida, concorrono le condotte che possono anche solo indirettamente cagionarlo.

Su punto l’Ue sottolinea infatti come sebbene alcuni inquinamenti, tipo quello atmosferico, non costituiscano in quanto tali un danno ambientale ex direttiva 2004/35/Ce, dagli stessi può ben derivare un danno alle risorse naturali presidiate dalle norme sulla responsabilità, con obbligo di risarcimento a carico di chi ha provocato le emissioni.

Altro caso, ricorda l’Ue, è quello del danno a specie e habitat cagionato da uso illegale di veleno in attività di gestione del terreno che produce effetti negativi sulle dinamiche della popolazione di uccelli e sull’area da essa abitata. Pieno danno ambientale da risarcire, evidenziano infine le Linee guida, può derivare anche dalla condotta omissiva post-operativa di alcune attività (come le discariche di rifiuti), laddove la contaminazione abbia luogo dopo che sia cessata la fase economica dell’impresa.

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