GIURISPRUDENZA

L’ordinanza n. 8895/2020 e i chiarimenti dell a Cassazione

Autore: Marco Dimola
ASSINEWS 321 –  luglio-agosto 2020 

Premessa
La recente pronuncia della Suprema Corte n. 8895 del 13 maggio 2020 offre lo spunto per soffermarsi sulla funzione dei questionari predisposti dalle compagnie per la valutazione del rischio e sul grado di dettaglio delle domande contenute in tali moduli. L’assicuratore deve essere posto in condizione di poter apprezzare esattamente il rischio; infatti, una sottostima degli indennizzi potrebbe far sì che questi si rivelino superiori ai premi incassati, con gravi conseguenze sulla solvibilità della compagnia contraente e implicazioni di rilievo pubblicistico, in ragione della funzione economica svolta dalle imprese di assicurazioni nella riallocazione dei rischi.

Poiché un controllo preventivo di tutti i rischi, lasciato al solo assicuratore, sarebbe oltremodo complicato e costoso (e si ripercuoterebbe inevitabilmente sui premi), egli normalmente trae le informazioni necessarie dall’assicurando, che ha l’obbligo di descrivere il rischio da trasferire in capo all’impresa di assicurazioni in modo esatto e completo.

Per tale motivo l’art. 1892 c.c. prevede che il contratto di assicurazione sia annullabile, ovvero che l’assicuratore possa rifiutare di corrispondere l’indennizzo, qualora l’assicurato, agendo con dolo o colpa grave, renda dichiarazioni inesatte o reticenti in grado di alterare la natura e la consistenza del rischio. Per tentare di ridurre l’asimmetria informativa inevitabilmente esistente tra le parti e ottimizzare il processo di raccolta delle informazioni, la prassi assicurativa prevede dunque la compilazione di questionari informativi da parte del cliente prima della sottoscrizione della polizza.

Il contenuto dei questionari è molto variabile e dipende principalmente dalla tipologia di polizza sottoscritta. Al di là del contenuto, ci si interroga su quale debba essere il livello di dettaglio delle domande incluse nei questionari. In altre parole, l’assenza di specifiche domande rivolte al cliente può considerarsi prova del disinteresse della compagnia a conoscere determinate circostanze o l’assicuratore può limitarsi a chiedere al potenziale assicurato di dichiarare qualsiasi circostanza che possa influire sul rischio?

Le risposte fornite da dottrina e giurisprudenza non sono state univoche e la pronuncia in esame sembra confermare un cambio di rotta della Cassazione sul tema. Prima di analizzare la soluzione fornita dalla Suprema corte, pare opportuno sintetizzare brevemente la controversia esaminata dai giudici di legittimità.

Il caso
La vicenda processuale vede coinvolto un minore, autore dell’incendio appiccato al fienile di proprietà di un terzo, in possesso di un’assicurazione per i danni alla sua proprietà.

La compagnia, dopo aver corrisposto l’indennizzo al proprietario del fienile, agisce in via surrogatoria nei confronti dell’autore del danno e, quindi, dei genitori del minore. Questi negano qualsiasi responsabilità del figlio e, in via subordinata, svolgono domanda di manleva nei confronti dell’assicuratore con il quale avevano stipulato una polizza a garanzia della responsabilità civile dei componenti della famiglia.

I giudici di primo e secondo grado rigettano la domanda di garanzia rilevando che i genitori avevano omesso di comunicare all’assicuratore una circostanza determinante, e cioè che il minore fosse affetto dalla sindrome di Klinefelter, che induce a tendenze piromani. I genitori propongono allora ricorso in Cassazione evidenziando che nel 1998, quando stipularono la polizza, non potevano essere a conoscenza della malattia del figlio, che venne diagnosticata solo nel 2006.

I ricorrenti sostengono inoltre che la compagnia avrebbe dovuto richiedere, nel questionario preassuntivo, informazioni specifiche su eventuali patologie, qualora le avesse considerate rilevanti ai fini dell’assunzione del rischio. Ciò non era avvenuto e, pertanto, secondo gli assicurati, essi non avevano alcun onere di comunicazione nei confronti della compagnia.

La decisione della Cassazione
La Corte rigetta il ricorso e condanna i genitori a pagare le spese di giudizio e il doppio del contributo unificato. Il Giudice di legittimità ha innanzitutto rilevato che, sebbene la malattia fosse stata diagnosticata solo nel 2006, già all’epoca della sottoscrizione della polizza il minore manifestava comportamenti (per i quali era in cura psicologica) che avrebbero dovuto indurre i genitori ad una maggiore attenzione. Tali disturbi dovevano dunque essere resi noti in sede di stipula di una polizza per la responsabilità civile dei componenti della famiglia.

Quanto al fatto che l’assicuratore avesse omesso di chiedere informazioni specifiche su circostanze rilevanti, come la malattia del figlio, pur dichiarando il motivo di impugnazione inammissibile in ragione della doppia conformità delle decisioni di merito sul punto, la Cassazione ha comunque voluto svolgere alcune rilevanti precisazioni.

È stato innanzitutto ribadito che sebbene la predisposizione di un questionario non abbia la funzione di “tipizzare” tutte le possibili cause di annullamento del contratto di assicurazione per dichiarazioni inesatte o reticenti, ciò evidenzia in ogni caso la volontà dell’assicuratore di annettere particolare importanza a determinati requisiti e richiama l’attenzione del contraente a fornire risposte complete e veritiere e, quindi, deve essere valutato dal giudice in sede di indagine sul carattere determinante, per la formazione del consenso, dell’inesattezza o della reticenza.1

La Suprema Corte ha inoltre ritenuto che attraverso la formulazione di un questionario generico, volto a “stimolare la dichiarazione della controparte”, l’assicuratore manifesti validamente il proprio interesse a conoscere tutti gli elementi suscettibili di condizionare il proprio impegno contrattuale. Richiamando un proprio precedente2, la Cassazione ha così statuito che “è sufficiente che l’assicuratore chieda all’assicurato di denunciare ogni possibile situazione che possa aumentare il rischio o concretizzarlo del tutto”.

All’atto di stipula della polizza i ricorrenti erano ben consapevoli dei disturbi che affliggevano il minore ma, ciò nonostante, alla richiesta contenuta nel questionario di denunciare circostanze rilevanti ed incidenti sul rischio, essi hanno volutamente omesso di fornire qualsiasi risposta, perdendo così il diritto all’indennizzo ai sensi dell’art. 1892 c.c.

Il precedente orientamento giurisprudenziale sul ruolo svolto dai questionari informativi
In passato, a fronte di un questionario “generico”, le reticenze dell’assicurato non sono sempre state considerate motivo di inoperatività della garanzia. La giurisprudenza, sia di merito3 che di legittimità4, ha infatti spesso statuito che in mancanza di quesiti specifici non fosse configurabile una reticenza dolosa o gravemente colposa dell’assicurato, poiché ciò denota “un atteggiamento di indifferenza dell’assicuratore, nel senso di estraneità dei profili stessi all’ambito del proprio interesse di conoscenza”.5

In tal modo il consenso dell’assicuratore alla stipula del contratto dipenderebbe unicamente dalle domande incluse nel questionario: eventuali ulteriori circostanze taciute risulterebbero irrilevanti poiché, secondo l’orientamento in esame, se la compagnia avesse avuto un reale interesse a conoscerle, avrebbe dovuto formulare un apposito quesito.

Nel corso degli anni la posizione della Suprema corte è però mutata. In particolare, in una pronuncia del 2011,6 la Cassazione ha evidenziato per la prima volta che la formulazione generica del questionario non può essere ritenuta di per sé prova del disinteresse dell’assicuratore ad una conoscenza dettagliata dello stato del rischio.

In quel caso, relativo ad una polizza vita, è stato ritenuto sufficiente che all’interno del questionario anamnestico per la valutazione del rischio le malattie non fossero elencate analiticamente, ma fossero specificate mediante raggruppamento per tipologie, per imporre all’assicurato l’onere di comunicare qualsiasi patologia preesistente alla stipula della polizza. Tale orientamento, come detto, ha trovato conferma nell’ordinanza n. 8895/2020.

Conseguenze per il mercato assicurativo
L’eccezione di pregressa conoscenza ex art. 1892 c.c. è certamente una delle eccezioni di copertura sollevate più di frequente dagli assicuratori in fase di contenzioso. Le polizze di R.C seguono infatti lo schema claims made7 e quando vengono stipulate spesso l’illecito è già stato commesso.

Anche se una richiesta risarcitoria non è stata (ancora) avanzata nei confronti dell’assicurato, egli può essere a conoscenza di circostanze atte ad influire sul rischio.

Nei questionari che accompagnano le polizze a copertura della responsabilità civile viene normalmente chiesto all’assicurato di dichiarare se egli sia a conoscenza:
• di qualsiasi circostanza o evento che possa dare origine a richieste di risarcimento nei confronti del proponente o di uno qualsiasi degli assicurati;
• di fatti presenti o passati che potrebbero essere fonte della responsabilità garantita dalla copertura richiesta.

Alla luce della posizione assunta di recente dalla Cassazione deve concludersi che tali quesiti siano idonei ad evidenziare l’interesse della compagnia a conoscere qualsiasi circostanza potenzialmente in grado di influire sul rischio.

Il nesso di causalità tra reticenza e sinistro
Un’ulteriore precisazione pare opportuna. Nel caso deciso dalla Cassazione è evidente il rapporto di causalità tra le circostanze taciute (il fatto che il minore avesse tendenze piromani) e il sinistro (l’incendio del capannone). Occorre tuttavia evidenziare che le dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato rilevano ai fini dell’annullamento del contratto anche qualora tale nesso di causalità non sussista.

La giurisprudenza di legittimità è infatti univoca nel ritenere “ininfluente, ai fini dell’esperibilità dei rimedi di cui all’art. 1892 c.c., ogni questione sulla qualificabilità delle circostanze taciute od inesattamente dichiarate come cause o concause dell’evento”.8

Tornando alla fattispecie in commento, quindi, occorre concludere che i disturbi psichici di cui soffriva il minore all’epoca della stipula della polizza non solo dovevano essere comunicati alla compagnia pur in assenza di specifica domanda, ma avrebbero comportato la decadenza dall’indennizzo anche qualora il minore avesse cagionato un danno diverso, in nessun modo riconducibile alla patologia di cui era affetto.

Ciò perché le circostanze taciute avrebbero comunque determinato una percezione alterata del rischio da parte all’assicuratore, obbligandolo ad una prestazione indennitaria non proporzionale a quella dell’assicurato che, come noto, consiste nel pagamento del premio. Nel caso di specie è poi evidente che il sinistro fosse imputabile a dolo del minore e che questo avrebbe comportato la non operatività della garanzia ai sensi dell’art. 1917, comma 1, c.c. Il tema non è stato affrontato dalla cassazione, evidentemente perché la rivalsa è stata svolta nei confronti dei genitori, responsabili ex art. 2048 c.c. “del danno cagionato dal fatto illecito dei figli”.

Considerazioni conclusive
Poichè i diversi fattori che incidono sul rischio da assicurare sono di norma conosciuti solo dagli assicurati, il questionario informativo rappresenta per l’assicuratore il principale strumento per delimitare il perimetro del rischio assicurato e per valutare successivamente se sussistano i presupposti per invocare i rimedi di cui agli artt. 1892 e 1893 c.c.

Nonostante l’assicurato abbia un vero e proprio onere, imposto dalla legge, di rappresentare esattamente il rischio9, la giurisprudenza ha ritenuto in passato che le modalità di formulazione delle domande incluse nei questionari possano impedire all’assicuratore di avvalersi di detti rimedi.

Il nuovo approccio della Cassazione sul punto, più che rappresentare una lettura della disciplina codicistica a favore degli interessi delle compagnie, sembra piuttosto inserirsi un’ottica di bilanciamento degli obblighi e dei diritti delle parti a tutela della buona fede precontrattuale. Non si deve infatti dimenticare che quello di assicurazione è un contratto uberrimae bonae fidei, improntato cioè alla massima (e reciproca) cooperazione e schiettezza tra le parti.

1 Cass. civ. 12 maggio 1999, n. 4682.
2 Cass. civ 20 dicembre 2011, n. 27578.
3 App. Roma, 16 febbraio 1995; Trib. Torino, 17 giugno 1995; Trib. Torino, 25 novembre 1995.
4 Cass. civ. 4 marzo 2003, n. 3165; Cass. civ. 24 novembre 2003, n. 17840.
5 Cass. civ. 24 novembre 2003, n. 17840.
6 Cass. civ. 20 dicembre 2011, n. 27578, richiamata nell’ordinanza n. 8895 del 13 maggio 2020.
7 Sull’applicabilità del disposto di cui all’art. 1892 c.c. alle polizze claims made si veda Cass. civ. 22 marzo 2013, n. 7273.
8 Cass. civ. 12 novembre 1985, n. 5519.
9 Cass. civ. 24 maggio 1982, n. 3163.