IL FATTO

Autore: Fabrizio Mauceri
ASSINEWS 318 – aprile 2020

Premessa
Di fronte alla pandemia che sta martoriando il nostro paese ed il resto del mondo sorgono spontanee numerose domande sulla operatività dell’INAIL nel caso in cui sia provata la contrazione dell’infezione sul luogo di lavoro e le eventuali conseguenze sulle coperture RCO. I quesiti sono molteplici in quanto la fattispecie è complessa e da un’attenta analisi non si potrà sfuggire da alcuni approfondimenti legati al nesso di casualità e con uno sguardo circa l’applicazione della copertura al cosiddetto rischio in Itinere. Ma vediamo punto per punto gli argomenti da trattare.

Coronavirus: infortunio o malattia?
In base al chiarimento fornito dall’INAIL in data 17 marzo 2020 con circolare a tutte le strutture centrali e territoriali n. 60010 l’Istituto conferma di voler disciplinare la materia come in un ambito di polizza infortuni ed equipara la causa virulenta alla causa violenta. Ne consegue quindi che le infezioni virali ai fini INAIL sono infortuni.
Il decreto legge del 17 marzo 2020 n. 18 denominato “Cura Italia” sancisce anch’esso che è infortunio sul lavoro il contagio da coronavirus avvenuto in occasione di lavoro (sul luogo di lavoro, nel tragitto casa-lavoro, in ogni altra situazione di lavoro).

La cosa può sembrare un controsenso, ma in realtà non lo è in quanto l’INAIL offre una copertura infortuni e in questa tipologia di polizze è normale andare a definire infortuni delle tipologie di patologie che normalmente nel campo medico vengono classificate come malattie. Il fatto poi che il Covid-19 venga fatto rientrare negli infortuni non fa altro che facilitare la posizione dell’infortunato nell’ottenimento dell’indennizzo.

Nesso di casualità
Nel linguaggio giuridico, indica la relazione che lega in senso naturalistico un atto (o un fatto) e l’evento che vi discende, secondo la diversa prospettiva dinamica dalla quale si osserva un dato fenomeno. Quindi Il nesso di causalità è quel rapporto tra l’evento dannoso e il comportamento del soggetto (autore del fatto).
Il legame eziologico tra la condotta (commissiva o omissiva) e l’evento rappresenta la condizione imprescindibile per attribuire a qualcuno la responsabilità del fatto illecito (e, conseguentemente, del danno): in altre parole, la modificazione del mondo esterno (l’evento) può essere imputata ad una persona solo se l’evento stesso è conseguenza della sua condotta.

Dato che sul piano civilistico non esiste una definizione di nesso di casualità la dottrina prende in prestito la corrispondente definizione che proviene dal diritto penale: l’art. 40 c.p. testualmente sancisce che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”.

Nesso di causalità nel caso di infezione da Coronavirus
Ovviamente in alcuni ambienti di lavoro risulta abbastanza semplice riuscire a provare la causa di lavoro del lavoratore. Pensiamo agli ospedali o alle case di riposo per anziani. La cosa diventa più complessa nel caso in cui ci troviamo in un’azienda commerciale o produttiva normale. Nel caso degli ospedali e le case di riposo diventa facile la dimostrazione del nesso di casualità dal dato medico legale epidemiologico (numero casi riscontrati nella struttura sul totale degli addetti/ospiti).

Nelle altre aziende potrebbero esserci delle difficoltà a dimostrare il nesso di casualità nel caso in cui le persone contagiate siano di un numero non rilevante rispetto al totale (esempio due o tre su cento addetti) e che magari lavorino in reparti diversi senza o con scarse possibilità di incontro (esempio uno in ufficio, secondo in officina, terzo manutentore esterno presso ditte clienti terze).
Un altro aspetto che è rilevante ai fini della dimostrazione medico legale epidemiologica è l’aspetto temporale della insorgenza della malattia, che ha un tempo di incubazione limitato per cui per dimostrare l’insorgenza della malattia in ambito lavorativo è necessario che i vari casi di malattia verificatisi in azienda siano compatibili tra di loro dal punto di vista temporale.

Coronavirus e rischio in itinere
Come abbiamo visto il decreto “Cura Italia” chiarisce che l’INAIL copre anche i casi in cui la malattia sia contratta durante il tragitto casa lavoro. La circolare INAIL sopra menzionata affronta anch’essa la problematica statuendo che per stabilire la causa di lavoro sarà necessario dimostrare dal punto di vista epidemiologico che la malattia abbia avuto origine durante il tragitto casa lavoro. In questo caso ovviamente la prova si complica, in quanto diventa assai complicato dimostrare che una persona ha preso il Covid sulla metro, sul treno o sull’autobus.

Perché per poterlo fare dovremmo riuscire a recuperare un discreto numero di soggetti che si sono ammalati anche loro sulla stessa linea della metro, del bus o del treno andando ovviamente in destinazioni diverse. Diciamo che sostanzialmente, visti i numeri attuali di contagiati in Italia, ci troviamo di fronte ad un tipico caso di probatio diabolica in cui è impossibile dimostrare alcunché. Quindi ci sembra lecito affermare che richiedere in una polizza RCO l’estensione del rischio in itinere da Covid-19 sia una cosa sostanzialmente inutile.

La quarantena senza sintomi è infor- tunio INAIL?
In questo caso specifico la circolare INAIL n. 60010 del 17 marzo 2020 sopra citata indica 3 fattispecie, specificando in quali casi il lavoratore ha diritto alla tutela INAIL e in quali no. Vediamoli qui di seguito:
1. I dipendenti posti in quarantena per motivi di sanità pubblica. In tali fattispecie non essendoci la prova della contrazione dell’infezione non sussistono i presupposti dell’infortuni e quindi dell’intervento dell’Istituto
2. I dipendenti che risultano positivi al test specifico di conferma-> ammissione alla tutela INAIL
3. Dipendenti che risultano positivi al test specifico di conferma posti in quarantena o in isolamento domiciliare-> ammissione alla tutela INAIL.

La tutela copre l’intero periodo di quarantena e quello eventualmente successivo dovuto a prolungamento di malattia che determini una inabilità temporanea assoluta al lavoro.

Quando l’imprenditore rischia rivalsa INAIL e il risarcimento del danno differenziale?
Il rischio dell’imprenditore varia a seconda del momento temporale in cui il Covid-19 è presumibilmente insorto e del tipo di danno che ha provocato. È evidente che nelle fasi iniziali dell’epidemia, quando non c’erano ancora protocolli sanitari e divieti particolari (assenza di zone rosse o divieto di fare qualcosa), il fenomeno del tutto nuovo ed imprevisto non può generare alcun tipo di responsabilità a carico dell’impresa. Ricordiamo infatti che soprattutto nelle fasi iniziali della diffusione della malattie i messaggi che sono arrivati dal mondo scientifico ed anche dagli organi istituzionali competenti (vedi Istituto superiore di sanità) non sono sempre stati chiari e coerenti nel loro complesso, visto il fenomeno nuovo che nessuno era veramente preparato ad affrontare.

La stessa Or ganizzazione Mondiale della Sanità ha aspettato l’11 marzo per dichiarare la pandemia. Diverso è il caso in cui il Coronavirus sia insorto all’interno di un’azienda dopo che gli organi competenti hanno dichiarato il blocco delle attività e l’azienda stessa non ha rispettato il divieto. In questo caso è palese la sussistenza di una responsabilità penale e civile.
Un altro caso in cui l’imprenditore rischia è quello dell’azienda munita di autorizzazione prefettizia a rimanere aperta in quanto attività essenziale (pensiamo ai supermercati alle residenze sociali per anziani), ma che non ha dotato tutti i suoi dipendenti dei DPI (dispositivi di protezione individuali) necessari per metterli in sicurezza (guanti e mascherine ed se del caso anche protezione per gli occhi).

Anche in questo caso la responsabilità è palese e non occorre per accertare la responsabilità dell’imprenditore invocare il mancato rispetto dei protocolli di sicurezza concordati tra governo e parti sociali dopo il DCPM del 7 marzo, in quanto è sufficiente chiedere l’applicazione dell’art. 2087 c.c. che testualmente sancisce: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

In merito alla tipologia di danno, in considerazione che la maggior parte dei casi si concreta in una inabilità temporanea che varia da una a quattro settimane, è improbabile che l’imprenditore debba subire rischi di richieste danni da parte del lavoratore per il danno differenziale, mentre rimane aperta in via teorica la possibilità di una rivalsa INAIL.

Al momento sembrerebbe che le persone guarite non abbiano strascichi invalidanti, ma è troppo presto per fare affermazioni precise e puntuali su questo aspetto. Nel caso della morte del lavoratore o dei lavoratori, ovviamente l’imprenditore è esposto a tutte le forche caudine degli accertamenti su una sua responsabilità penale con possibilità elevata di rivalsa INAIL e conseguente certezza di richiesta danno differenziale da parte degli eredi. Infine, relativamente al rischio in itinere, la possibilità che un imprenditore possa essere considerato responsabile è prossima allo zero nel caso in cui l’azienda sia autorizzata ad operare, mentre sussiste una sua responsabilità limitata nel caso in cui l’azienda sia rimasta aperta nonostante il divieto.

In quest’ultimo caso comunque la sua responsabilità è del tutto residuale e difficile da dimostrare, in quanto il nesso di casualità non è diretto ma indiretto. Resta il fatto che comunque che possa essere chiamato in causa come ultimo tentativo.

La polizza RCO copre?
Assolutamente sì. La polizza infatti prevede in tutti i testi presenti sul mercato sia la rivalsa INAIL che l’indennizzo dell’imprenditore nel caso in cui venga chiesto il danno differenziale. Ovviamente, affinché la polizza sia operativa è necessario che il Covid-19 sia contratto in ambiente di lavoro, pertanto, in assenza di riconoscimento da parte dell’INAIL di questa eventualità, è praticamente improponibile l’applicazione del secondo comma sul danno differenziale. Non vi è dubbio sull’operatività della polizza in quanto il Covid-19 viene definito come infortunio.

Se fosse stato fatto rientrare in malattia professionale, in assenza di una normativa specifica che lo faceva rientrare nelle malattie tabellate, i lavoratori avrebbero dovuto attendere una sentenza della magistratura per vedersi riconoscere una tutela. Ovviamente la pandemia da Coronavirus è un aggravamento di rischio a carico dell’assicuratore. Aggravamento che però in ambito RCO è noto agli assicuratori e quindi l’assicurato non deve fare alcunché per comunicare qualcosa ex art. 1898 c.c.

Le polizze incendio NP ed AR e furto possono essere invalidate in seguito ad assenza di personale in azienda?
Si, le polizze danni ai beni possono essere invalidate per il semplice fatto che la prolungata assenza di personale all’interno dell’azienda costituisce un aggravamento di rischio ai sensi dell’art. 1898 c.c.. in questo caso, diversamente dall’ipotesi della copertura RCO, la compagnia di assicurazione non può essere a conoscenza del fatto che l’azienda sia operativa o meno per concessione di autorizzazione prefettizia alla prosecuzione dell’attività.

Pertanto è onere dell’assicurato comunicare alla compagnia la disabitazione dell’ente assicurato. Sarà poi onere della compagnia rispondere (ricomprendendo il rischio con apposita precisazione in polizza). In caso di mancato riscontro da parte della compagnia, trascorsi trenta giorni dalla comunicazione di aggravamento del rischio, il rischio è coperto integralmente e l’assicurato si trova in una situazione di limbo solamente nell’intervallo dei trenta giorni in cui manca una risposta ufficiale.

Cosa deve fare l’intermediario?
Nel caso della polizza di RCT-O l’intermediario non deve fare niente, in quanto come abbiamo visto la copertura opera in automatico. Diverso è invece il caso delle coperture danni ai beni. Come abbiamo visto in questo caso, in presenza di prolungata disabitazione dell’ente assicurato, sussiste un aggravamento del rischio che va assolutamente comunicato alla compagnia. Va pertanto allertato l’assicurato affinché faccia immediatamente la dichiarazione di aggravamento del rischio alla compagnia.

Cosa deve fare la compagnia?
Vista la grave situazione del paese e del mercato a nostro avviso la compagnia dovrebbe tranquillizzare intermediari ed assicurati confermando l’operatività delle polizze RCT-O con semplice comunicato erga omnes o con singole mail. Per la parte danni ai beni, in considerazione della forte diminuzione di sinistri negli ultimi due mesi, dovrebbe predisporre delle appendici di precisazione in cui si conferma l’operatività della polizza anche in presenza di aggravamento del rischio causato da assenza di personale per chiusura ex Covid-19.

Conclusione
Abbiamo chiarito in questo breve excursus le principali problematiche relative al Covid-19, sia ina ambito di responsabilità civile che in ambito danni ai beni. E abbiamo constatato come in realtà l’assicurato potrebbe avere più problemi sull’operatività della copertura in ambito incendio e furto, piuttosto che in ambito RC. Ci auguriamo comunque che questo difficile momento passi il più presto possibile e di tornare a disquisire di sinistri che rientrano nella normale operatività degli assicurati.