Dal 14 settembre la nuova direttiva sui pagamenti darà a parti terze autorizzate l’accesso ai movimenti bancari dei clienti europei Contro le big tech Usa gli istituti trovano un inatteso alleato: le fintech
di Francesco Bertolino

Intesa, UniCredit , Ubi e Banco Bpm su un’unica applicazione. Con la piena entrata in vigore della Psd2, la seconda direttiva sui pagamenti digitali, sarà possibile accedere a tutti i propri conti correnti da un’unica piattaforma. Sabato 14 settembre inizia infatti l’era dell’open banking. Oltre a rinforzare la sicurezza delle transazioni online, la Psd2 obbliga gli istituti ad aprire i caveau dove sono custoditi i dati più preziosi: i conti correnti dei loro clienti. Previo consenso del titolare, società terze potranno aver accesso all’archivio dei movimenti bancari. Queste informazioni potranno essere utilizzate da fintech, colossi digitali e banche stesse per profilare l’utente, offrire servizi su misura e, più in generale, innovare la relazione con il cliente.
La Psd2 promette di sostituire al paradigma di banca universale quello di banca come servizio o banca-piattaforma. Resta da capire – ma servirà tempo – se da questa rivoluzione l’industria finanziaria tradizionale uscirà vincente, innovando, o perdente, superata dalle agili fintech o dalle irruenti big tech. «Ci troviamo in una soluzione da manuale di caduta delle barriere all’ingresso nel mercato bancario e in questo senso la Psd2 è stato un vero spartiacque che consentirà l’ingresso di nuovi entranti», spiegano Sergio Dalla Riva e Giancarlo Esposito, responsabili del programma Psd2 di Intesa Sanpaolo .
«Nei piani del regolatore i nuovi entranti avrebbero dovuto essere le fintech. Non si era invece immaginato che la minaccia potesse arrivare dai colossi tecnologici e questo ha costituito un fattore di forte accelerazione dell’innovazione bancaria», aggiunge, «mentre con le giovani fintech il modello è collaborativo, infatti, con le gigatech le banche sono in competizione non solo nei pagamenti, ma anche riguardo alla relazione digitale con i clienti». Con Psd2 si voleva aprire un foro nella diga del credito; si è invece creata una voragine dove potrebbero insinuarsi Facebook , Google, Amazon – solo per citare società che hanno ottenuto la licenza bancaria in Europa.Per tappare la falla, le banche italiane stanno innovando i propri servizi ed esplorando nuove forme di collaborazione con fintech. «Se saremo capaci di trasformare la potenziale minaccia in un’opportunità», osserva Remo Taricani, co-ceo commercial banking Italia di UniCredit , «non potremo che avere benefici dall’impatto che l’open banking avrò sul mondo finanziario». «Questa maggiore apertura all’innovazione tecnologica significherà necessariamente anche stringere nuove alleanze stategiche con le fintech». Un tempo rivali, le startup sono così diventate inattese alleate dell’industria finanziaria europea nella sfida con le big tech d’Oltreoceano. «L’entrata in vigore della Psd2 di fatto trasforma i concorrenti in partner e genera benefici per ciascuno degli attori di mercato, mettendo al centro le esigenze del consumatore», sottolinea Stefano Cioffi, responsabile Servizi Digitali e Open Banking di Banco Bpm . La collaborazione è win-win. Da un lato, l’accesso all’immensa base clienti delle banche permette alle fintech di crescere in fretta. Dall’altro, l’agilità delle startup consente agli istituti di innovare rapidamente e senza impiegare troppo capitale. La Psd2, del resto, ha già richiesto ingenti investimenti. «Se per le terze parti la Psd2 è certamente un’opportunità e per le banche può esserlo, per queste ultime gli adeguamenti normativi hanno assorbito risorse consistenti senza portare nell’immediato alcun valore aggiunto», avverte Natascia Noveri, Responsabile Marketing di Ubi Banca , «se le terze parti hanno quindi potuto lavorare subito sui modelli di business abilitati dall’open banking, le banche hanno potuto iniziare a lavorare solo successivamente». La collaborazione con le fintech non preclude infatti agli istituti lo sviluppo di servizi innovativi in house. «Stiamo già lavorando per consentire ai nostri clienti di accedere tramite le nostre piattaforme online ai conti correnti detenuti presso altri istituti», anticipa Taricani di UniCredit . Quanto a Intesa , rimarca Esposito, «Banca5 è stata la prima terza parte a essere autorizzata da Bankitalia e il gruppo è stato il primo in Italia a sviluppare Api (si veda box in pagina) dedicata alla clientela aziendale già a fine 2018, ancor prima dell’entrata in vigore della normativa. Stiamo sfruttando il rumore, per così dire di fondo, della normativa per sviluppare servizi atomici che rispondano a esigenze puntuali degli utenti».

In un rovesciamento dei ruoli, insomma, la banca si fa terza parte per sfruttare le potenzialità dell’open banking. Potendo, peraltro, godere di un vantaggio rispetto alle big tech: la fiducia dei clienti. Non bisogna infatti dimenticare che nell’aprire i conti correnti la Psd2 comporta anche qualche rischio per la privacy dei titolari. «Nel bilanciamento fra tecnologia e privacy le banche sono un modello di riferimento perché l’elemento fiduciario appartiene al loro patrimonio genetico», sottolinea Dalla Riva di Intesa , «nel momento in cui si consente di trasmettere a terzi l’archivio dei movimenti bancari di un cliente, bisogna essere sicuri di poter contare su un’eguale attenzione non solo alla sicurezza, ma soprattutto alla gestione di queste informazioni che non sono merce. Alcuni scandali sulla privacy che hanno coinvolte soggetti non bancari dovrebbero spingere a qualche riflessione». Infine, rileva Cioffi di Bpm , rispetto alle big tech le banche dispongono «di una più vasta gamma di servizi finanziari che costituiscono un vantaggio competitivo» da valorizzare cogliendo l’innovazione dell’open banking. «La vera minaccia», conclude Noveri di Ubi, «arriverà dalle Big Tech quando e se il pagamento verrà utilizzato come porta di ingresso per offrire al cliente altri servizi oggi di competenza strettamente bancaria». (riproduzione riservata)

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