IL CASO
Sentenza n. 9315 del 3/04/2019 Corte di Cassazione
Autore: Fabrizio Mauceri
 ASSINEWS 309 – giugno 2019
Premessa 
 È comunemente risaputo che esiste una forte sinistrosità delle polizze RC diversi dei Comuni e Province determinata dalla grande mole di richieste danni che pervengono in seguito a incidenti e/o danni a veicoli o a persone causati dalla non ottimale manutenzione del manto stradale.
 Questi contenziosi sono spesso alimentati dalle compagnie medesime, che pur di eliminare il contenzioso sono spesso disponibili a indennizzare un quid rivalendosi poi sugli enti medesimi per le relative franchigie di competenza.
 Ma questi indennizzi sono sempre dovuti? Approfondiamo l’argomento e poi vediamo il caso di cui alla sentenza sopra citata.
Art. 2051 c.c. Danno cagionato da cosa in custodia
 Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito [1218, 1256, 2052]. Precisiamo che ai sensi di detta norma debba ritenersi custode il soggetto che ha il potere di vigilanza e di controllo sulla cosa stessa e tale potere può essere di diritto, ma anche solo di fatto.
 L’ipotesi contemplata dalla norma riguarda esclusivamente il caso in cui sia la cosa a produrre da sola un danno.
Nel caso infatti in cui il danno derivi dall’opera dall’uomo, si applica la generale previsione di cui all’art. 2043 c.c. e non art. 2051 c.c.. Dal dettato della norma si evincerebbe inoltre che sia piuttosto difficile per il custode della cosa la prova liberatoria e possiamo confermare che la giurisprudenza di primo grado è sicuramente su questa linea.
In cosa consiste insidia  e trabocchetto stradale  
 Sono tutte le situazioni di pericolo occulto della sede stradale a rivestire i caratteri dell’insidia o del trabocchetto. In parole povere stiamo parlando di buche, dislivelli, tombini, avvallamenti, pietre e altri ostacoli sul suolo pubblico (sia esso un marciapiede o una via percorribile dalle auto) che possono far cadere per terra le persone, causare danni ai veicoli od essere in parte causa di collisioni.
Affinché si possa parlare di insidia e trabocchetto stradale è necessario che il pericolo non sia facilmente visibile con l’ordinaria diligenza. E cosa significa ordinaria diligenza è la fonte dei contenziosi? Di certo non possiamo incolpare la pubblica amministrazione di quei danni che si verificano per colpa della distrazione del cittadino stesso.
Il caso 
 Un cittadino del Comune di Amalfi inciampava in un tombino in cui era presente un discreto avvallamento, con conseguenti danni fisici importanti. Ne seguiva un contenzioso che portava il danneggiato ed il Comune di fronte al Tribunale di Salerno per una richiesta di risarcimento dei danni fisici subiti.
 La domanda si fondava sulla responsabilità del comune per i danni provocati dalla strada che aveva in custodia in seguito all’insidia non segnalata riferita al tombino. Il giudice di primo grado dava ragione al ricorrente e condannava il Comune e quindi la sua compagnia di assicurazione all’indennizzo di circa 35 mila euro.
Il Comune ricorreva in appello non ritenendo giusta la sentenza di primo grado. Il giudice di secondo grado riformava il giudizio del tribunale di Salerno prosciogliendo il Comune e compensando le spese di giudizio tra i due contendenti. Il cittadino allora decideva di appellarsi a sua volta alla Corte di cassazione, nel tentativo di ripristinare la sentenza di primo grado che era stata a lui favorevole.
La sentenza n. 9315  del 03/04/19 della Cassazione  
 La suprema corte rileva che nel caso di specie il tombino ed il suo presunto avvallamento non hanno provocato direttamente un danno al danneggiato. Cioè non è stata la cosa a danneggiare direttamente la persona che è inciampata nel tombino (ipotesi disciplinata da art. 2051 c.c.), ma c’è stata piuttosto una interazione tra persona danneggiata (tramite una sua attività) e la cosa stessa.
E la cosa ha un peso diverso a seconda dell’incidenza casuale di questa interazione rispetto al danno finale. Si deduce dal dettato della sentenza della Suprema Corte che il comportamento del danneggiato può essere rilevante per impedire che il danno si verifichi o meno. Si precisa infatti che l’utilizzo di normali cautele in una giornata luminosa, senza particolari affollamenti, può normalmente impedire il verificarsi dell’evento.
 La sentenza, rigettando la richiesta del danneggiato, lo condanna anche al pagamento delle spese in toto.
Diritto 
 La richiesta di indennizzo del danneggiato e la sentenza di primo grado che dava ragione al ricorrente si basano su una errata interpretazione dell’art. 2051 c.c. e da un approccio errato nei confronti della collettività che dovrebbe farsi carico di tutte le rogne e disgrazie dei singoli, a prescindere dalle colpe di chi li ha generati.
Relativamente all’errata interpretazione dell’art. 2051 c.c. si fa notare che la sua statuizione sanziona un fatto ben preciso. Ossia che ci sia una cosa che danneggia qualcosa o qualcuno. Ad esempio, un pilone della luce che crolla su un’auto o una persona. Un albero che cade su una cosa o un essere umano. Un ponte che crolla uccidendo le persone che vi si trovano sopra e distrugge i veicoli.
 In questi casi trova applicazione la norma che afferma che il danno provocato dalla cosa genera la responsabilità del soggetto che ne ha la custodia.
Diverso è invece il caso in cui il danno è provocato non dalla cosa direttamente, ma dalla interazione dell’azione svolta dal singolo attraverso un comportamento determinante e la cosa stessa. In questo secondo caso bisogna andare con i piedi di piombo nell’affermare che esiste in automatico una responsabilità del custode della cosa a prescindere dal comportamento dell’agente.
 Nella maggior parte dei casi, infatti, tale comportamento è determinante.  Rispetto all’approccio culturale del fare ricadere sulla collettività ogni disgrazia rileviamo che già la collettività si fa carico giustamente del servizio sanitario nazionale che cura tutti a prescindere dalla causa del problema di salute.
Sempre la collettività si fa carico tramite l’INPS di erogare delle pensioni alle persone più sfortunate che hanno avuto gravi problemi di salute. La pretesa che la collettività debba farsi carico anche del risarcimento del danno provocato dalle sbadataggini dei singoli, ci pare decisamente eccessiva e priva soprattutto di un qualsiasi fondamento giuridico.
Conclusione 
 Abbiamo visto che in base alla giurisprudenza di primo e secondo grado molto spesso viene riconosciuta la responsabilità civile delle pubbliche amministrazioni relativamente ai danni subiti dai cittadini per la presenza di buche o avvallamenti sul manto stradale o sui marciapiedi.
 Tale giurisprudenza viene poi tendenzialmente ribaltata in secondo grado e in Cassazione.
Le compagnie molto spesso non aspettano le sentenze di secondo grado ed oltre e se possono chiudono il contenzioso molto prima con un quid.
 Questa prassi è tendenzialmente molto negativa perché finisce per trasferire alla collettività l’aumento di premi di assicurazione nell’ambito RC enti pubblici quando in realtà, resistendo nelle sedi opportune, si potrebbe invertire questa tendenza di abusare nelle richieste risarcitorie anche quando il diritto vantato è piuttosto labile ed aleatorio.