In caso di danni, a rispondere è il custode dell’immobile
di Gianfranco Di Rago

Per il danno da infiltrazioni risponde chi ha la custodia dell’immobile, a prescindere dal titolo di proprietà. L’obbligo di custodia si presume in capo a chi utilizzi il bene, salvo che quest’ultimo eccepisca e dimostri che detta obbligazione, per accordo delle parti o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione determinatasi di fatto, sia rimasta a carico del soggetto che gli ha conferito il potere di usarne e che quindi ha conservato l’effettiva ingerenza, gestione e intervento sul bene.

Lo ha chiarito la seconda sezione civile della Corte di cassazione con la recente sentenza n. 30941, pubblicata lo scorso 27 dicembre 2017.

Il caso concreto. Nella specie la società conduttrice in leasing di un’unità immobiliare destinata ad autorimessa e interessata da infiltrazioni provenienti dal cortile sovrastante conveniva in giudizio tre diversi condominii, in relazione a tre edifici confinanti e autonomi, per sentirli condannare, in persona dei rispettivi amministratori, al ripristino dell’immobile danneggiato. Il tribunale interessato della domanda accoglieva la stessa, ma limitatamente a uno dei due condominii, condannandolo a eseguire una serie di opere di ripristino per l’eliminazione delle cause delle infiltrazioni.

Detto condominio aveva però proposto appello avverso tale sentenza, sostenendone la nullità per contrarietà a una precedente decisione passata in giudicato e contestando nuovamente la fondatezza nel merito della domanda avanzata dalla società, chiedendone il rigetto. Si costituiva allora in giudizio quest’ultima, chiedendo a sua volta la reiezione dell’appello e, in via incidentale, la condanna anche degli altri due condominii, nonché la revoca della condanna alle spese pronunciata a suo carico dal tribunale in favore di questi ultimi, in quanto ritenuti estranei alla vicenda. Anche questi due condominii si costituivano in giudizio, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.

I giudici di secondo grado, in parziale accoglimento dell’appello principale, ponevano a carico della società il 20% delle spese necessarie all’effettuazione dei lavori alla cui esecuzione era stato condannato il primo condominio e condannavano quest’ultimo a rifondere per intero alla stessa le spese dei due gradi di giudizio, obbligando la predetta società a rimborsare soltanto nella misura del 75% le spese legali sostenute dagli altri due condominii parte del giudizio. La corte di appello, in particolare, aveva ritenuto infondato il motivo di appello riguardante la pretesa nullità della sentenza di primo grado per contrarietà a un precedente giudicato formatosi tra le stesse parti, sulla considerazione che quest’ultimo riguardava esclusivamente l’accertamento di una situazione di comproprietà dell’area cortilizia tra i vari condominii parte del giudizio.

Nella sentenza appellata, al contrario, il tribunale aveva ritenuto la responsabilità di uno soltanto dei predetti condominii non sulla scorta del titolo di proprietà del cortile sovrastante l’autorimessa, bensì della custodia di tale area, quindi in base all’art. 2051 c.c., in quanto in corso di causa era emerso che soltanto a detto condominio era riferibile il transito veicolare che aveva causato il degrado della pavimentazione del cortile e, dunque, compromesso l’impermeabilizzazione sottostante. Secondo i giudici di merito, poiché il danno lamentato dalla società che conduceva in leasing l’immobile sottostante al cortile era stato causato dalla cattiva custodia del medesimo, era naturale che lo stesso dovesse essere rimborsato a cura e spese del danneggiante, a prescindere dall’appartenenza di esso. La sentenza di secondo grado era quindi stata impugnata dinanzi alla Suprema corte.

La decisione della Cassazione. La Suprema corte, nel prendere in esame il ricorso stilato dal condominio, ha in primo luogo escluso che nella specie la corte di appello non avesse preso posizione sull’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per asserita contrarietà con un precedente giudicato poiché, al contrario, aveva ritenuto espressamente che il precedente giudizio avesse avuto a oggetto esclusivamente la situazione di comproprietà dell’area cortilizia, laddove il tribunale, ai fini della pronuncia sulla responsabilità per danni del condominio ricorrente, aveva valorizzato la situazione di custodia di fatto del bene, anziché il titolo di proprietà, in applicazione di quanto previsto dall’art. 2051 c.c.

I giudici di legittimità hanno quindi evidenziato come ai fini della configurabilità di tale forma di responsabilità sia sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con il bene che abbia dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula un effettivo potere sul bene, e cioè la disponibilità giuridica e materiale di esso, che generalmente compete al proprietario, ma anche al possessore o al semplice detentore.

La seconda sezione ha però evidenziato come la disponibilità che l’utilizzatore ha del bene non comporti sempre necessariamente il trasferimento in capo a questi dell’obbligazione di cui all’art. 2051 c.c., che deve infatti essere esclusa in tutti i casi nei quali, per uno specifico accordo delle parti o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione determinatasi di fatto, chi ha l’effettivo potere di ingerenza, gestione e intervento sul bene, nel conferire all’utilizzatore il potere di utilizzarne, ne abbia conservato la custodia.

Da detto principio, si legge nella sentenza in questione, derivano due corollari: che, se non è detto che l’utilizzazione concreta di una cosa comporti anche l’obbligo di custodirla (con le conseguenti responsabilità), è però vero che è onere di chi contesti tale correlazione provare che nel caso concreto, per uno dei motivi di sopra, vi sia scissione tra utilizzazione e custodia, e quindi che, in assenza di tale prova, la disponibilità del bene in capo all’utilizzatore e gli obblighi di custodia siano biunivocamente connessi.

Nella specie il giudice di primo grado aveva rilevato, sulla base di quanto emerso in corso di causa, che il danno all’immobile sottostante era stato causato dalla cattiva custodia del cortile da parte di uno solo dei condominii convenuti in giudizio (e comproprietari dell’area), ovvero dal difetto di manutenzione di essa, poiché il transito veicolare che ne aveva rovinato la pavimentazione e la sottostante impermeabilizzazione era addebitabile esclusivamente ai condomini di detto edificio e ai loro aventi causa.

La Suprema corte ha quindi evidenziato come nel corso del giudizio di appello il condominio condannato in primo grado, nell’opporsi alla domanda della società attrice, si fosse limitato a contestare che nella sentenza impugnata non fosse contenuta l’affermazione di un proprio utilizzo esclusivo dell’area cortilizia, senza però contestare la propria veste di custode della stessa, deducendo anzi in proposito che la medesima funzione avrebbe dovuto essere riconosciuta anche in capo agli altri due condominii evocati in giudizio.

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