NORMATIVA

Un intreccio dai risvolti legali e contrattuali – SECONDA PARTE

Autore: Clemente Fargion
ASSINEWS 291 – novembre 2017

Le problematiche specifiche di fabbricati e beni strumentali

5 – Le difficoltà di rispettare le norme restrittive imposte dalla clausola valore a nuovo


La condizione che impone che il bene sostitutivo non offra all’assicurato un beneficio di utilizzo superiore a quello che riceveva dal bene compromesso dal sinistro, crea difficoltà di ordine differente a seconda del tipo di bene assicurato, ma grossolanamente possiamo suddividere la problematica fra:

  • macchinari, attrezzatura e arredi da un lato e
  • fabbricati dall’altro.

Per i macchinari il reperimento di un ente, seppure non dello stesso modello, ma avente pari prestazioni rispetto a quello distrutto dal sinistro, può rivelarsi un problema che si accentua con la vetustà del bene da sostituire. Ciò crea i presupposti di una stima del valore a nuovo non corretta, laddove l’azienda è costretta a rimpiazzare il bene distrutto e, in mancanza del medesimo modello, deve ripiegare su quanto le offre il mercato.

Per le attrezzature e gli arredi, che pure fanno parte della stessa partita dei macchinari, tranne che per l’attrezzeria minuta da officina, sulla quale non ci soffermiamo, dato che il suo peso sul patrimonio aziendale è di norma irrilevante, il problema si pone, in termini di prestazioni, ma non di rendimento economico, in merito alle caratteristiche dimensionali ed alla capacità contenitiva.

Possiamo dire che, in generale, questa categoria di beni accessori, inclusi nella partita macchinari, non presenta problemi di sorta a reperire un ente praticamente uguale a quello compromesso dal sinistro.

Per i fabbricati la problematica si rende assai complessa, per le ragioni che ora vedremo, ricordando che gli stessi problemi riguardano anche opere infrastrutturali, quali ponti, dighe, viadotti e gallerie.

Le costruzioni edili non sono soggette solitamente ad obsolescenza tecnica o commerciale, ma con il passare degli anni vengono introdotte via via delle norme tecniche sempre più evolute, che delle leggi emesse allo scopo, impongono di rispettare per la realizzazione delle opere edili.

Ciò comporta che se una costruzione deve essere rifatta, non potrà esserlo, se non nel rispetto delle norme di legge vigenti al momento in cui la ricostruzione deve essere realizzata, in luogo di una più vecchia, resa inutilizzabile a causa del sinistro e costruita con criteri verosimilmente diversi.

Dato che le norme tecniche di costruzione vengono aggiornate con una cadenza di 6/8 anni, si comprende come una vetustà, anche solo trentennale, di un opera edile può rendere molto problematica una ricostruzione che dovrà tenere conto non solo di qualcosa come cinque o sei aggiornamenti, con chissà quali rivoluzionamenti nei criteri costruttivi, ma anche della necessità di porre riparo agli effetti accumulati nel tempo a causa di sollecitazioni provenienti da fenomeni naturali, in primo luogo quelli di natura sismica.

Avremo modo di vedere, con maggior dettaglio, che le norme tecniche di costruzione impongono anche delle verifiche sullo stato della struttura e richiedere di conseguenza interventi che possono prescindere dai danni causati dal sinistro. Nel caso non se ne terrà conto nell’indennizzo, ma vi sono buone ragioni di credere che questo suggerimento sfondi una porta aperta.

Tornando al tema specifico delle modifiche da apportare ai sensi delle norme tecniche di costruzione, anche per quanto riguarda i fabbricati, seppure sotto altra forma, rimane il problema che al crescere della vetustà dell’immobile, si accentua il divario fra il valore a nuovo reale e quello calcolato a norma di polizza.

Per un fabbricato, avrebbe titolo per essere definita opera di miglioria una ricostruzione fatta in modo da avere un migliore sfruttamento degli spazi, oppure l’utilizzo di materiali di costruzione o di finitura di maggior pregio, rispetto all’originale o che comunque presenti delle modifiche che aumentino in qualche modo il valore dell’opera, ma non l’adeguamento di un fabbricato alle nuove norme tecniche di costruzione soprattutto se dettate da ragioni di sicurezza.

6 – Il valore a nuovo secondo i vari testi di polizza

Facendo riferimento alla tabella di benchmark riportata nella prima parte, osserviamo quanto segue:

Riguardo ai beni strumentali, il benchmark denota una identità di vedute e una versione unanime, secondo la quale il macchinario sostitutivo deve replicare le prestazioni e il rendimento economico che garantiva il bene sostituito. Può essere giustificabile la pretesa che il bene sostitutivo abbia prestazioni o rendimento economico non superiori rispetto all’originale, in relazione ai macchinari, soggetti ad un aggiornamento tecnologico che porta alla ricerca e al conseguimento di prestazioni più vantaggiose e performanti e, di riflesso, a mettere fuori mercato ciò che tale aggiornamento ha reso obsoleto, ma è auspicabile comunque che si arrenda di fronte all’evidente impossibilità a trovare sul mercato un ente che sia nuovo e obsoleto al tempo stesso.
È necessario tuttavia di distinguere:

  • il caso in cui l’acquisizione di un bene più performante non si è potuto evitare per mancanza di alternative,
  • dal caso in cui l’assicurato scelga la soluzione più performante rispetto ad una alternativa reale che avrebbe, invece, permesso di rispettare la disposizione data, magari ripiegando sul mercato dell’usato.

Solo nel secondo dei due casi sopra elencati, ci sarebbero gli estremi per poter individuare un comportamento dell’assicurato volto a trarre vantaggio dal sinistro, anche se la rinuncia all’alternativa dell’usato, lascerebbe piuttosto pensare ad una volontà di non rinunciare ad un vantaggio che gli spetterebbe da contratto.

Per quanto concerne i beni strumentali, vi sono alcuni testi (per lo più con riferimento ad enti elettronici) che ammettono la sostituzione del bene reso inservibile dal sinistro, con altro avente prestazioni superiori, nel caso non fosse reperibile uno nuovo di pari prestazioni e rendimento.

In altri testi, per contro, si esclude il pagamento del supplemento di indennizzo nel caso in cui il bene non fosse più in produzione, estendendo questo principio anche al danno parziale, nel caso non fossero più in commercio i pezzi di ricambio. Il vantaggio di questo accorgimento normativo, per così dire tranchant ed applicabile, come è facile intuire, solo ai beni strumentali, è che si taglia alla radice il rischio che l’assicurato possa trarre un beneficio del tipo di quello derivante dalle opere di miglioria, ma al tempo stesso volta le spalle a coloro che si accingessero a reperire una alternativa sul mercato dell’usato.

Anche questa norma compare su pochi testi e, a dispetto della levata di scudi che essa possa suscitare, va ricordato che lo stesso codice civile (Art. 1341), ammette l’esistenza di condizioni vessatorie, subordinandone tuttavia la validità alla firma addizionale e separata del soggetto che ne patisca gli effetti.

Vediamo ora gli aspetti inerenti i fabbricati e, più in generale, i beni immobili

La precisazione, riscontrata solo sul testo AXA, inerente la necessità di sostituire, in un fabbricato colpito da sinistro, eventuali materiali di impiego non comune con materiali equivalenti di uso corrente è una prova di quanto il mantenimento delle caratteristiche costruttive originali sia un principio che viene difeso solo con lo scopo di contenere l’importo dell’indennizzo, perché quando l’effetto economico si inverte, anche la regola segue la stessa sorte.

La precisazione inerente il mantenimento delle caratteristiche costruttive per i fabbricati, è data da tre Compagnie su un totale di otto il cui testo è stato sondato, considerando inoltre che una delle otto Compagnie scelte per il sondaggio (Assicurazioni Generali), prevede un testo che contempla la precisazione ed un altro testo che non la contempla, mentre il testo delle cinque Compagnie rimanenti non lo menziona, lasciandolo alla libera interpretazione delle parti.

Questa statistica, in termini numerici, si può tradurre in una frazione di 5,5 su 8, pari al 68,8% circa dei testi di polizza, fra quelli presi in considerazione, che non si prendono cura di specificare che il fabbricato, dopo il sinistro, debba essere ricostruito con le stesse caratteristiche dell’opera originaria. Naturalmente, questo dato non autorizza ad affermare che oltre i 2/3 degli assicuratori ammetterebbero una ricostruzione difforme dall’originale, in quanto i periti sono incaricati anche di sorvegliare sulle tentazioni dell’assicurato a farsi rimborsare le opere di miglioria, approfittando del sinistro.

Tuttavia, il dato di per sé mantiene un elevato interesse, laddove, in caso di ricorso al giudice di merito, è più probabile che, in assenza di questa precisazione sul testo, l’interpretazione del contratto sia data in favore dell’assicurato, ovviamente cum grano salis. Di fatto non è mai menzionata l’ipotesi, peraltro piuttosto frequente, che il fabbricato nuovo debba essere ricostruito nel rispetto di norme tecniche e di sicurezza che non fossero in vigore all’epoca in cui la costruzione originaria era stata realizzata.

La precisazione che le caratteristiche costruttive debbano essere le medesime dell’opera originaria, potrà essere opposta verbalmente all’assicurato che dovesse ricostruire il fabbricato dopo il sinistro, sulla base di una interpretazione, che sarà data, in via pressoché insindacabile, da parte del perito incaricato, il quale avrà buon gioco ad invocare la non risarcibilità delle opere di miglioria, a salvaguardia della sua missione di contenere il più possibile l’importo liquidabile. E ciò a dispetto della, ahimè, scarsa giurisprudenza esistente in materia, secondo la quale l’indebito arricchimento non è invocabile all’atto dell’applicazione del criterio del valore a nuovo, di per sé già derogatorio del principio indennitario.

Come si è accennato nella parte prima, sul mercato esistono testi di polizza che prevedono, ai sensi di una apposita condizione particolare, la rifusione addizionale per la realizzazione di opere di miglioria. Tuttavia, in generale, nella maggioranza dei casi, ove l’estensione non è prevista, questa definizione è esibita come uno scudo sul quale vanno ad infrangersi le velleità dell’Assicurato di aspirare ad un indennizzo più consono alle sue attese, senza con ciò disconoscere che le attese dell’assicurato, a prescindere da ogni ragione di ordine tecnico, sono spesso sopra le righe.

Non v’è dubbio che l’adozione di norme di costruzione più recenti renda l’opera migliore, sotto certi aspetti, rispetto a come era in origine, ma questo non autorizza a gettare nel calderone del termine opere di miglioria, dal collaudato potere calmierante sull’indennizzo, interventi dettati da esigenze di sicurezza indistintamente assieme ad altri, volti al solo miglioramento dello standard qualitativo dell’opera. Per capire più precisamente di cosa stiamo parlando, è opportuno dare uno sguardo alla natura delle norme tecniche di costruzione che vengono rese obbligatorie per legge da decreti attuativi emessi a cadenze pluriennali.

7 – Normativa di legge sulla sicurezza ed in general e sulla tecnica costruttiva degli immobili

Le norme contenute nel testo unico delle norme tecniche di costruzione, già approvato con il DPR 6 giugno 2001 n. 380 ed aggiornato con il DM 14 gennaio 2008. Il nuovo testo unico del 2017 che, dopo la notifica alla Commissione Europea, è ormai giunto all’ultima fase dell’iter che, stando alle ultime previsioni, dovrebbe portare ad una approvazione definitiva ed al susseguente decreto attuativo prima di fine anno.

Nelle more dei passi burocratici residui che ci consegneranno un nuovo testo unico, quello edito nel 2008 rimane il testo di riferimento, contenente la disciplina tecnica che deve presiedere alla costruzione degli immobili, tenendo conto di una complessa serie di misure precauzionali finalizzate al conseguimento della sicurezza generale dell’opera e, per quanto attiene l’edilizia abitativa, delle persone destinate a dimorarvi.

Le norme previste dal testo unico e nei relativi aggiornamenti, sono applicabili a tutto quanto concerne le costruzioni, dall’edilizia abitativa, alle infrastrutture, fino alle cosiddette opere d’arte (termine usato nella tecnica delle costruzioni per indicare opere come ponti, viadotti, gallerie e dighe), ma in questa sede ci occupiamo dell’edilizia abitativa.

La legislazione nostrana si è mossa spesso e in modo articolato per disciplinare la realizzazione di opere nel rispetto di norme di sicurezza e/o finalizzate al risparmio energetico. L’intelaiatura legislativa che sottende il complesso delle regolamentazioni cui oggi dobbiamo fare riferimento è ricapitolata all’art. 1 del D.M. del 14 gennaio 2008, integrato dalla circolare 02/02/2009 n° 617 – Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni” di cui al D.M. 14/01/2008.

Le leggi sulle quali si fonda il testo unico ancora in vigore, per le norme tecniche di costruzione, richiamate all’art. 1 del DM 14/01/08 che rende operanti le norme predette sono le seguenti:

La legge 5 novembre 1971, n. 1086 – sulle norme tecniche di costruzione delle strutture in calcestruzzo armato e in metallo;

La legge 3 febbraio 1974, n. 64 – che ha introdotto una serie di norme da rispettare per la realizzazione di opere edili in zone a rischio sismico rilevante Il DPR 6 giugno 2001, n. 380 – decreto attuativo del testo unico sulla normativa in materia di costruzioni edilizie precedente a quello del 2008. Il presente testo unico del 2008, entra a far parte delle norme di riferimento su cui il nuovo T.U. del 2017 stabilirà le ulteriori modifiche.

La legge 17 luglio 2004, n. 186 – che all’art. 5 prevede la redazione, da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici, di concerto con il Dipartimento della Protezione Civile, di normative tecniche, anche per la verifica sismica ed idraulica, relative alle costruzioni, nonché per la progettazione, la costruzione e l’adeguamento, anche sismico ed idraulico, delle dighe di ritenuta, dei ponti e delle opere di fondazione e sostegno dei terreni, per assicurare uniformi livelli di sicurezza.

Le norme previste dal testo unico riguardano non solo le modalità di costruzione, ma soprattutto le verifiche. Queste assumono una rilevanza di primo piano in merito a costruzioni preesistenti l’entrata in vigore testo unico vigente. A tal proposito, sono significative le verifiche dei cosiddetti STATI LIMITE, distinti in SLU (stati limite ultimi), che riguardano l’analisi delle condizioni estreme di carico delle strutture che, se superate comportano il crollo dell’opera, e SLE (Stati Limite di Esercizio), che rappresentano le condizioni estreme di utilizzo dell’opera, il cui superamento non comporta necessariamente il crollo dell’opera, ma ne compromette l’agibilità.

Le verifiche disposte dal testo unico sono finalizzate, oltre che ad accertarsi che la costruzione fosse stata eseguita nel rispetto delle norme tecniche in vigore all’epoca della sua realizzazione, anche ad analizzare gli effetti sulle strutture progressivi nel tempo, prodotti dal degrado per invecchiamento di alcuni materiali, ma soprattutto dall’attività sismica strumentale, fino alla data della verifica stessa e da queste rilevazioni possono scaturire obblighi di interventi di varia natura.

Per inciso, va detto che l’attività sismica cosiddetta strumentale, ovvero quella caratterizzata da scosse di intensità inferiore alla capacità umana di percezione, è praticamente quotidiana e le scosse di magnitudo inferiore a 2, possono susseguirsi anche a frequenze che possono variare da più volte in un giorno a più volte in un’ora, in ragione della classificazione sismica e dell’estensione dell’area di campionatura. L’attività sismica strumentale può avere degli effetti devastanti in termini della cosiddetta sollecitazione a fatica (*), di cui risentono particolarmente le strutture in acciaio od aventi elementi in acciaio anche a livello di armatura del calcestruzzo, ma possono attentare anche alla sicurezza degli elementi di giunzione fra strutture orizzontali e verticali.

7.1 – Le verifiche previste dal testo unico e le riperc ussioni sull a responsabilità del proprietario

Il testo unico prevede che l’attività di controllo, adeguamento e risanamento dell’opera sia presieduta da un progettista incaricato. In particolare, prevede delle verifiche di carattere generale (descritte ai punti 8.2 e 8.3), volte a controllare:

  1. se la costruzione riflette lo stato delle conoscenze al tempo della sua realizzazione;
  2. se possono esservi difetti di impostazione e realizzazione, palesi od occulti;
  3. se la costruzione possa aver subito sollecitazioni eccezionali, i cui effetti non siano completamente manifesti;
  4. se le strutture possano presentare i segni di degrado o modificazioni significative rispetto alla situazione originaria;
  5. se la costruzione, possa aver subito modifiche nella destinazione d’uso, tali da aver assoggettato la struttura a carichi anomali;
  6. se la costruzione abbia subito interventi anche non strutturali, ma suscettibili di interagire con elementi strutturali, generando su questi una riduzione della rigidezza o della capacità di resistere ai carichi ordinari rispetto a come erano in origine.

Da questi primi sei punti emerge la constatazione che le norme tecniche partono dalla verifica primaria volta ad accertarsi che l’opera fosse stata realizzata nel rispetto delle norme in vigore all’epoca della sua costruzione. Laddove dovesse emergere una difformità genetica di questo tipo, si potrebbe configurare una posizione di inadempienza pregressa del proprietario.

La verifica dell’esistenza di difetti di impostazione o di realizzazione investe la responsabilità del costruttore, ma non necessariamente quella del committente, che risulterebbe coinvolto solo a fronte della prova che la difettosità rilevata fosse correlata con una scelta che avesse privilegiato il contenimento dei costi al rispetto dei requisiti minimi accettabili in materia di qualità dell’opera, dei materiali e della modalità di esecuzione. Quanto qui affermato ha una sua indubbia validità etica, ma si svilisce dietro la constatazione che produrre una simile prova possa incontrare difficoltà quasi insormontabili.

I punti 3) e 4) riguardano gli effetti, spesso non palesi, sulla struttura prodotti da sollecitazioni eccezionali, come quelle che possono derivare dall’attività sismica, anche se non a carattere distruttivo, ma che come abbiamo visto, è presente a livello strumentale, in modo pressoché ininterrotto, o gli effetti del degrado. Si presume che un proprietario generico non sia tenuto ad avere conoscenze tecniche tali da essere consapevole di questi possibili effetti, a meno che le sollecitazioni eccezionali di cui sopra non derivino da un evento sismico di portata e rilevanza mediatica. Tuttavia, a suo carico sorgerebbero a pieno titolo gli obblighi ad intervenire, se da una ispezione emergesse l’esistenza di effetti del tipo descritto al presente paragrafo.

I punti 5) e 6) infine, investono in modo diretto la responsabilità del proprietario, che certamente avrà disposto volontariamente le modifiche ivi descritte, anche se affinché il proprietario sia consapevole delle conseguenze di cui al punto 6), occorrerebbe che questi abbia un minimo di preparazione tecnica, ovvero che sia stato adeguatamente informato dalle imprese incaricate degli interventi che hanno generato le situazioni di instabilità.

In questi casi, la responsabilità del proprietario è coinvolta, in misura che varia da caso a caso, ma certamente in concorso con l’impresa che avesse apportato le modifiche richieste ed in particolare il progettista incaricato, che erano tenuti a far presente le possibili conseguenze cui l’opera sarebbe andata incontro. Laddove non l’avessero fatto, potrebbero sorgere sospetti di scarsa preparazione, circostanza che richiamerebbe la culpa in eligendo del committente.

(*) dicesi sollecitazione a fatica lo sforzo cui è sottoposto un elemento strutturale per effetto di forze alternate, come avviene per una sbarra che venisse piegata alternativamente in due sensi opposti fino a spezzarsi. Il moto del sisma che, quando è di lieve intensità è solo vibratorio, agisce proprio in questo senso.