Online referti, dossier farmaceutici, certificati, esenzioni
Pagina a cura di Sabrina Iadarola

Accelerare il percorso di digitalizzazione del sistema sanitario: secondo quanto previsto dal documento «Strategia per la crescita digitale 2014-2020», l’anno in corso dovrebbe essere quello decisivo per la sanità italiana «online», con l’avvio di una serie di iniziative. Dallo sviluppo di servizi digitali a livello aziendale e regionale (dematerializzazione delle cartelle cliniche e dei referti, prenotazioni e pagamenti online, e così via) fino alla realizzazione dei Fascicoli sanitari elettronici (Fse) regionali interoperabili.

Le pubbliche amministrazioni (regioni e province autonome) finalmente possiedono lo strumento per rendere operativo e fruibile il «Fascicolo sanitario elettronico» (Fse), grazie al dm dell’Economia del 4 agosto 2017, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, attuativo dell’articolo 12 del dl 179/2012 (si veda ItaliaOggi del 23 agosto).

Sarà l’Ini (Istituto nazionale per l’interoperabilità tra i Fse) a gestire e controllare i dati regionali e, attraverso l’Anagrafe di consensi, i dati relativi a consensi (e relative revoche) sul relativo trattamento da parte degli assistiti.

Scopo dell’operazione è, soprattutto, la messa sotto controllo della spesa sanitaria attraverso l’analisi dei dati che affluiranno.

Ogni cittadino per accedere o per attivare il proprio Fascicolo sanitario elettronico deve rivolgersi alla propria regione di assistenza.

Sul sito fascicolosanitario.gov.it si riportano i link dei Fascicoli sanitari elettronici regionali già attivi, ovvero in Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Provincia autonoma di Trento, Puglia, Sardegna, Toscana e Valle D’Aosta. E le altre regioni? Restano in ombra, «in attesa di».

Dunque, fascicolo sanitario elettronico per molti, ma non per tutti. Se da un lato infatti molte regioni si sono effettivamente mosse nella realizzazione dei piani di sviluppo del Fse, dall’altro stentano a partire quelle iniziative sistemiche necessarie a dare concretezza ovunque agli obiettivi definiti dalla Strategia per la crescita digitale e dal Patto per la sanità digitale.

E ci sono Regioni che restano ferme sulla infrastruttura già esistente, ovvero la Tessera sanitaria nazionale. Dalla fotografia scattata dall’Osservatorio innovazione digitale in sanità del Politecnico di Milano, l’impatto di questo ritardo risulta evidente se guardiamo la spesa dedicata al digitale da parte delle aziende sanitarie: nel 2016, tale spesa è stata di 870 milioni di euro, con una riduzione del 6% rispetto al 2015 (930 milioni di euro).

Alla base di questa riduzione, secondo le direzioni strategiche delle aziende sanitarie intervistate dall’Osservatorio innovazione digitale, c’è la mancanza di risorse economiche (65%) e umane (50%) per l’innovazione digitale.

I tagli alla sanità che sono stati messi in atto negli scorsi anni e l’assenza di nuovi finanziamenti, che sarebbero dovuti arrivare dal Patto per la sanità digitale, hanno, nei fatti, bloccato lo sviluppo di azioni concrete di innovazione digitale.

Un danno per tutti, cittadini e amministratori, visto che in quella parola magica, «digitale», è riposta la effettiva previsione di risparmiare il 10-15% della spesa sanitaria. Un punto di Pil da recuperare eliminando carta, burocrazie, puntando su ricette e cartelle elettroniche e sistemi cloud. Ai quali dovrebbero adeguarsi regioni (qualcuna per ora resta a guardare), ma anche pazienti e medici.

Ad oggi infatti, guardando ai primi, solo il 32% accede già ad informazioni sulle strutture sanitarie via digitale, nel 22% dei casi prenota online visite ed esami, nel 18% accede ai propri referti. Nel 14% utilizza le mail per dialogare con il proprio medico. Guardando invece ai medici (soprattutto di medicina generale), ciò che caratterizza di più il progresso digitale della categoria è il ricorso a WhatsApp: per condividere documenti con i propri pazienti (ma solo nel 25% dei casi l’utilizzo è frequente), con altri operatori sanitari per consulti (utilizzo frequente nel 15% dei casi, nel 19% occasionale) o per la ricezione online di materiale di valutazione della salute dei pazienti (17% frequente, 15% occasionale e 29% mai, ma c’è interesse).

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