di Eden Uboldi

Quando non vi è la certezza scientifica, per provare l’insorgere di una malattia in seguito a un vaccino sono sufficienti indizi gravi, precisi e concordanti. Questo il principio enunciato ieri dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in merito alla causa C-621/15, che ha come oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Corte di Cassazione francese, sull’interpretazione dell’articolo 4 della direttiva 85/374 in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi.

Nell’agosto del 1999, il signor W., dopo la somministrazione di tre vaccini (prodotti da Sanofi Pasteur) contro l’epatite B, inizia a soffrire di una serie di disturbi. Nel novembre 2000 gli viene diagnosticata la sclerosi multipla. A partire dai primi mesi del 2001 la sclerosi multipla debilita W. tanto da non riuscire a esercitare un’attività professionale. Successivamente la malattia si aggrava fino a ridurlo a una disabilità funzionale del 90%. Nell’ottobre 2011 W. muore. Nel 2006 W. e tre suoi famigliari presentano ricorso contro Sanofi Pasteur richiedendo il risarcimento del danno causato, a loro dire, dalla somministrazione del vaccino in questione. Secondo i ricorrenti, la concomitanza tra le vaccinazioni e la comparsa della sclerosi multipla, l’assenza di questa patologia nella storia personale e familiare del sig. W sono elementi tali da far sorgere presunzioni gravi, precise e concordanti quanto all’esistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra l’inoculazione di quest’ultimo e l’insorgenza della malattia. Dopo fortune alterne, la causa giunge davanti alla Corte di Cassazione che, sospendendo il procedimento, chiede dalla Corte di giustizia Ue, se in base all’art. 4 della direttiva 85/374, (che stabilisce l’onere del danno, del difetto e della connessione causale tra difetto e danno a carico del danneggiato), il giudice di merito possa ritenere gli elementi presentati dai ricorrenti come presunzioni gravi, precise e concordanti, tanto da provare il difetto del vaccino e il nesso di causalità tra il vaccino e la malattia nonostante l’assenza di consenso scientifico su quest’ultimo punto.

Secondo la Corte europea, la direttiva è compatibile con un regime probatorio, che permette al giudice, in mancanza di prove certe e inconfutabili provenienti dalla ricerca medica, di affermare che vi è un difetto del vaccino e un nesso di causalità tra quest’ultimo e una malattia alla luce di un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti. Spetta al giudice rilevare se questi indizi sono idonei a giungere a questa conclusione, che deve essere la più plausibile a fronte delle argomentazioni presentate dalla controparte. In questo modo si mantiene l’onere della prova a carico del danneggiato, come dettato all’art. 4 della direttiva. La Corte di Lussemburgo, inoltre, osserva che limitarsi ad accogliere prove sostenute dalla ricerca scientifica renderebbe estremamente difficile o persino impossibile sostenere la responsabilità del produttore in moltissimi casi. In questo caso, la Corte sostiene che la vicinanza nel tempo fra le vaccinazioni e il sopraggiungere della malattia, la mancanza di famigliari affetti dalla patologia, la presenza di alto numero di situazioni affini (ovvero, l’insorgere della sclerosi in seguito alla somministrazioni di vaccini) possono costituire indizi tali da convincere il giudice a ritenere assolto, da parte del danneggiato, l’onere della prova.
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