I primi segnali di ripresa arriveranno già il prossimo anno. Ma per innescare il motore dello sviluppo, il nodo da sciogliere resta quello delcredito alle imprese. Questo, in sostanza, il senso del doppio intervento di ieri, del premier Mario Monti e del ministro dell’Economia, Vittorio Grilli. «Il rapporto tra banche e imprese non finanziarie, l’accesso al credito, la vigilanza sull’attività bancaria: sono questi – ha spiegato Montiin un messaggio inviato alla XLIV Giornata del credito – i temi centrali del dibattito attuale, non solo in Italia ma in tutta l’Unione europea, poiché rappresentano uno snodo cruciale nel difficile percorso verso la ripresa economica». Ecco perché sono «certo – ha concluso – che il dibattito fornirà contributi significativi e utili stimoli all’azione degli operatori». Immediata la replica dell’Abi. «L’Italia continua a pagare un rischio Paese che non è adeguato – ha risposto il direttore generale dell’associazione bancaria, Giovanni Sabatini -. Il nostro spread riflette il rischio Europa, i timori, cioè degli investitori sulla tenuta della costruzione europea». Per il numero due dell’Abi «non c’é solo un problema di costo del credito dovuto allo spread, ma anche di quantità del credito; questo spiega perché da tassi di crescita media del 5-6% dello scorso anno passiamo allo zero». Sul tema è sceso in campo anche il presidente della FeBaf (Federazione Banche, Assicurazioni e Finanza), Fabio Cerchiai: «La crisi – ha detto – non ha intaccato la solidità del sistema finanziario italiano. La Vigilanza ha avuto un ruolo fondamentale nel consentire all’industria bancaria e assicurativa di affrontare questa crisi su basi solide. Qualche ammaccatura c’è stata però sulla redditività, ma il settore è solido ed è una garanzia per il Paese». Per Cerchiai, quello che serve ora, nella prospettiva di una ripresa stabile e duratura, è «una grande alleanza di sistema tra rappresentanze delle imprese per presentarsi uniti al tavolo delle scelte politiche fondamentali». In ogni caso, al di là del ruolo della finanza e degli istituti di credito, qualche segnale forte di ripresa dovrebbe comunque arrivare verso la seconda metà del prossimo anno. A confermarlo ieri è stato Vittorio Grilli. «L’attività economica – ha spiegato – dovrebbe riprendere a espandersi nel 2013, seppur con ritmi contenuti, per poi accelerare nella seconda metà dell’anno». Nel corso dell’audizione alla Camera sulla nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def) per il 2012, convocata dalle commissioni bilancio di Montecitorio e Senato, il ministro dell’Economia è anche intervenuto sul tema delle pertecipazioni statali. Il messaggio è forte e chiaro: i gioielli italiani non si vendono. In particolare, ha spiegato, «il problema delle garanzie di approvvigionamento energetico non consigliano in questo momento la dismissione delle partecipazioni in Eni ed Enel. Per qualsiasi partecipazione vale anche il calcolo tra flussi e stock, perché, come qualsiasi buon padre di famiglia, occorre fare questa analisi: conviene vendere o tenere la partecipazione a fronte di un flusso di dividendi importanti?». Sulla vendita di Ansaldo Energia (controllata di Finmeccanica), il ministro si è schierato invece sulla linea del collega, Corrado Passera, che caldeggia l’intervento di una cordata italiana per fronteggiare l’offerta dei tedeschi di Siemens (F&M di ieri). «Se la Cassa depositi e prestiti ha individuato nella sua autonomia Ansaldo Energia come una delle possibili aziende dove può essere costituito un interesse privato italiano certamente penso che sia utile». E proprio sull’ipotesi di una cordata italiana che possa contrapporsi all’offerta del gruppo tedesco, il ministro ha detto che «fa parte del ruolo strategico della Cassa vedere se ci sono aziende italiane importanti, tecnologiche, che hanno un mercato globale, che possano essere mantenute italiane».
Quanto al patrimonio immobiliare, Grilli ha sottolineato che «per attuare le grandi dismissioni di immobili bisogna chiedersi come va il mercato e dov’è la domanda. Queste cose si debbono tenere in conto», ha aggiunto, precisando che «la precondizione a tutto è avere un censimento completo del patrimonio pubblico, che è in larga parte negli enti locali, e purtroppo ad oggi soltanto il 53% degli enti locali ha risposto».