Eurolandia deve trovare una soluzione alla crisi entro mercoledì 26 ottobre Se si presentasse a mani vuote al G20 del 3-4 novembre, la moneta unica potrebbe collassare Ma con il contrasto tra Germania e Francia è forte il rischio di mezze misure. Che non servono 

di Marcello Bussi

Eurolandia sta dando di sé un’immagine «disastrosa». Lo ha dichiarato venerdì 21 ottobre il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, poco prima di iniziare la maratona di sei giorni che dovrà decidere i destini dell’euro. Tutto si sarebbe dovuto risolvere al vertice Ue di domenica 23, ma le divisioni tra Francia e Germania sulle modalità di potenziamento del Fondo salva-Stati (Efsf) hanno costretto a rinviare il finale di partita a mercoledì 26.

 

Ma potrebbero essere necessari i tempi supplementari perché, mercati permettendo, l’Europa ha tempo fino al G20 di Cannes del 3-4 novembre per presentare al mondo una soluzione alla sua crisi. Se quel giorno, però, l’Europa si presentasse a mani vuote davanti a Stati Uniti, Cina, India e Brasile è facile immaginare che rischierebbe seriamente di innescare il processo di dissoluzione dell’euro. Alla vigilia della maratona, Standard & Poor’s ha pubblicato un report in cui vengono illustrate le conseguenze di una ricaduta di Eurolandia in recessione, magari accompagnata da uno shock sui tassi d’interesse (che l’Italia già soffre, visto che il rendimento del Btp decennale viaggia intorno al 6%). I rating di Francia, Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo «sarebbero probabilmente abbassati di uno o due gradini». Per carità, non si tratta del nostro scenario base, precisa l’agenzia di rating.

 

Ma se si verificasse, l’attuale potenza di fuoco messa a disposizione dall’Ue e dall’Fmi «sarebbe insufficiente» a sostenere il totale delle necessità di Grecia, Irlanda e Portogallo e «fino al 30% di quelle di Spagna e Italia». «In queste condizioni di stress», si legge ancora nel report, «calcoliamo che ci sarebbe una carenza di 287 miliardi di euro» nella capacità di finanziamento di Ue e Fmi, pari a circa il 2,7% del pil dell’Eurozona del 2010. Dietro l’asetticità del report, si nasconde una bomba: insinuando il dubbio che la Francia possa essere declassata, Standard & Poor’s mina alla base l’Efsf.

 

Parigi è infatti il secondo contribuente e garante del fondo, quindi se perdesse la tripla A lo stesso succederebbe all’Efsf, che vedrebbe lievitare i costi di finanziamento.

A meno che non gli venga conferito lo status di banca, permettendole di rifinanziarsi direttamente presso la Bce. Non a caso è questa l’ipotesi caldeggiata dalla stessa Francia, ed esplicitamente condivisa da Spagna e Belgio. Ma dalla Germania e dalla stessa Bce è arrivato un no deciso perché, come ha spiegato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, il ruolo dell’Eurotower, che dal 1° novembre sarà presieduta da Mario Draghi, non è quello di «finanziare gli Stati». Berlino teme che un Efsf in grado di abbeverarsi senza limiti alla fonte della Bce renderebbe vani i richiami all’austerità fatti ai Paesi di Eurolandia dai conti pubblici più a rischio.

 

La ricetta lacrime e sangue, gradita dalla Germania, verrebbe inevitabilmente annacquata, facendo cosa gradita alla Grecia.

 Si è visto, infatti, che finora le misure di austerità imposte dalla Troika (Commissione Ue, Bce e Fmi) hanno precipitato Atene verso il quinto anno consecutivo di recessione. La contrazione del pil ha avuto come conseguenza il mancato raggiungimento degli obiettivi sui conti pubblici greci, portando così a nuove misure di austerità e innescando un circolo vizioso da cui non si capisce come si possa uscire. La proposta tedesca per rafforzare l’Efsf è invece quella di trasformarlo in un’assicurazione. La cancelliera Angela Merkel ha fatto proprio il piano ideato dal cfo di Allianz, Paul Achleitner, e dieci tra banche e assicurazioni europee hanno inviato una lettera al numero uno dell’Efsf, Klaus Regling, caldeggiando questa soluzione. Tra i firmatari della lettera spiccano Generali e Unicredit, oltre ad Allianz e Deutsche Bank.

In pratica l’Efsf assicurerebbe il 20% delle nuove emissioni di titoli di Stato dei Paesi in difficoltà. Ciò permetterebbe di accrescere la capacità dell’Efsf di concedere prestiti dagli attuali 440 a 3 mila miliardi di euro senza che venga chiesto ai contribuenti europei un euro in più. Una fonte ha tranquillizzato i malpensanti, spiegando che le compagnie assicurative non sarebbero coinvolte direttamente nel piano. Ma in quanto principali detentrici di titoli di Stato, beneficerebbero di un allentamento delle tensioni sui mercati obbligazionari. Questo sarebbe il loro guadagno. Il braccio di ferro tra i sostenitori di un Efsf banca e un Efsf assicurazione potrebbe risolversi in un compromesso. Come ha dichiarato il ministro delle Finanze austriaco Maria Fekter prima di iniziare la sei giorni europea, sono sul tavolo sette opzioni per potenziare il Fondo, «ma nessuna di loro è nettamente migliore delle altre». Come dire che saranno adottate solo mezze misure.

La sei giorni affronterà anche il nodo ricapitalizzazione delle banche e quello di un maggiore coinvolgimento dei privati nel piano di salvataggio della Grecia. Nel suo rapporto la troika Ue-Bce-Fmi ha affermato che con una svalutazione del 60% dei titoli greci, il Paese tornerebbe a un rapporto debito/pil del 110%. Mentre l’ad di Commerzbank, Martin Blessing, ha detto chiaro e tondo che per riportare la calma sui mercati la Grecia dovrebbe dichiararsi insolvente e ristrutturare il debito. Una cosa è certa: se continuano divisioni e incertezze a fallire sarà l’euro. (riproduzione riservata)