VALENTINA CONTE

 

Rendere i clienti consapevoli, educarli ai temi più ostici dell’economia, alfabetizzarli alla gestione del gruzzolo risparmiato, rassicurarli quando le bufere incombono sui mercati. Compiti che, nonostante i tempi bui e incerti, o forse proprio grazie ad essi, ancora affascinano tanti giovani, attratti dalla professione di promotori finanziari.
I dati più recenti sembrano restituire aria fresca ad una categoria che dopo il boom dei primi anni Duemila sembrava destinata ad una sterile contrazione. Gli iscritti all’albo erano 66 mila nel 2002. Oggi se ne contano 56 mila, ma l’età media è alta: più di un terzo ha 50 anni, i ventenni non sfiorano neanche il 3%. A sorpresa, però, alle prove d’esame per accedere alla professione dell’ultimo biennio (20092010), quasi quattromila su 9.400 aspiranti avevano meno di trent’anni. E, altra sorpresa, un terzo donne e un terzo laureati. Segnali di certo inediti. Ma allora perché il transito nella professione è così breve per molti di loro? Tra il secondo e il terzo anno, difatti, la metà di quanti hanno superato la prova abbandonano. La professione attrae, ma non trattiene. Soprattutto nella fase iniziale, non così remunerativa e di certo ardua nella costruzione di un valido e promettente portafoglio clienti.
«Un dato preoccupante che blocca il ricambio generazionale, essenziale per invertire la piramide, e che cerchiamo di capire e interpretare per poi agire», ammette Maurizio Bufi, da qualche mese presidente dell’Anasf, l’Associazione nazionale promotori finanziari, 13 mila soci, un terzo di tutti gli iscritti all’Albo e oltre la metà dei promotori di società aderenti ad Assoreti. «Da una parte, abbiamo un mercato molto selettivo, ben più di quanto non lo fosse dieci anni fa», prova ad analizzare Bufi. «Ci lasciamo alle spalle un decennio difficile, caratterizzato da tre o quattro gravissime crisi finanziarie, che ha innescato una selettività, diciamo così, naturale. A questa si è aggiunta l’ulteriore sfida lanciata ai giovani. Via via i clienti sono diventati più esigenti e assetati di informazioni e consulenza di qualità, ben più che di prodotti. Entrambi questi fattori hanno comportato un inevitabile sfoltimento nel numero degli operatori e si sono bruciate risorse. Di conseguenza, la professione è invecchiata».
Gli sforzi, tuttavia, per uscire dall’imbuto sembrano solo all’inizio. L’esame di ammissione, intanto, da quando l’Albo non è più gestito dalla Consob ma da un apposito organismo (Apf, Albo dei promotori finanziari), e cioè dal 1° gennaio del 2009, è totalmente informatizzato, impenetrabile, neutrale, con quesiti rigorosi su materie complesse, dalla matematica finanziaria all’economia degli intermediari finanziari. Al punto tale che la percentuale di promossi nel primo anno, il 2009, è stata di appena il 18%. Poi cresciuta al 33% nel 2010 e al 39% nella prima sessione di quest’anno. Gli aspiranti promotori hanno ora a disposizione una parte dedicata del portale dell’Apf, dove trovare spunti per la preparazione, come prima tappa verso un vero e proprio sistema di elearning, di tutoraggio intelligente. Un segnale di cura speciale per i giovani che segnalano un interesse così alto a questa professione. «L’evoluzione dei mercati, la scelta più ampia tra prodotti finanziari hanno reso attraente la professione e nello stesso tempo l’hanno cambiata, trasformandola in attività importante, sensibile, sociale», racconta Giovanna Giurgola Trazza, presidente di Apf. «Oggi c’è bisogno di pianificazione, di incontrare le persone, capirne le esigenze, prima ancora di allocarne le risorse messe da parte. Il risparmiatore è attento e sempre di più decide di accantonare anche per garantirsi una vecchiaia più serena. Ecco perché il promotore finanziario deve essere una figura professionale alta. Certo, il primo periodo per un giovane è complicato. Ma noi, come Albo, stiamo cercando di capire il fenomeno dell’abbandono e depurarlo delle patologie».
La crisi globale in atto lambisce solo in parte i promotori. La raccolta netta dei primi otto mesi del 2011 è stata positiva e pari a 3,5 miliardi. «I mercati sono andati male, ma i fondi comuni di investimento diversificano i risultati e alla fine l’andamento è stato migliore di quello dei mercati stessi», prosegue Giurgola Trazza. «Così l’investitore ha gestito meglio l’ansia del periodo. In fondo, il promotore è colui che non fa vendere a prezzo di saldo o comprare nei rally». Nervi saldi e dedizione bastano a convincere i giovani a continuare? «Nella fase di start up il giovane ha bisogno di sostegno e supporto anche dalla società mandante per cui opera, banca o Sim che sia. D’altronde la domanda è alta, poiché tutte le società dicono di voler ampliare la rete di promotori finanziari e sono tutte in utile, alcune anche quotate. Ma i giovani occorre anche sostenerli economicamente, almeno all’inizio», propone Maurizio Bufi, presidente Anasf. «Se non vogliamo che sia un mestiere “familista” – il figlio che fa il mestiere del padre – allora dobbiamo lavorare tutti insieme – noi, l’Albo, le associazioni delle società mandanti, la Consob – per contrastare l’abbandono della professione. Ad esempio, reintroducendo un periodo di praticantatotirocinio che sostenga e supporti il giovane promotore, elevandone le competenza. Esisteva, quando nacque l’Albo nei primi anni ’90. Poi fu abolito. Ma vent’anni fa il promotore in erba incontrava meno ostacoli».