Mussari e Cerchiai uniti dalla convinzione che solo con mosse concrete e coraggiose si può uscire dalla crisi e avviare il rilancio. Banche e assicurazioni pronte a sacrifici in cambio di riforme strutturali 

di Luisa Leone

Un piano industriale per l’azienda Italia. Banche e assicurazioni suonano la carica per il mondo politico e imprenditoriale e lanciano l’idea di un vero e proprio piano strategico per uscire dalla crisi. Così ieri il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, e quello dell’Ania, Fabio Cerchiai, in occasione dell’Insurance Day organizzato da MF-Milano Finanza, hanno definito le azioni necessarie per spezzare il circolo vizioso che sta penalizzando fortemente il Paese sui mercati internazionali.

E non c’è più tempo da perdere, «bisogna recuperare credibilità al più presto, questo mese non quest’anno», ha ammonito Mussari, reduce da un direttivo dell’Abi cui ha partecipato anche il numero uno del settore assicurativo.

Obiettivo dell’incontro tra i vertici dell’associazione delle banche e delle assicurazioni era condividere idee da tramutare in azioni concrete per spezzare la spirale che imprigiona il Paese. Servono interventi «oggettivi, quantificabili. Facciamo un piano industriale per l’Italia e indichiamo non solo gli obiettivi che intendiamo raggiungere ma anche come pensiamo di ottenerli. Che poi è quello che fanno tutte le aziende, tutte le famiglie», ha detto Cerchiai. Le dichiarazioni d’intenti non sono più sufficienti, non basta dire «pareggio entro il 2013. Bisogna far capire che non è una vaga speranza ma l’obiettivo di un vero e proprio piano industriale per l’Italia.

Il mercato ci chiede riforme strutturali», ha aggiunto il presidente dell’Ania. Anche perché «l’ultima manovra, così com’è, è insufficiente perché opera solo sul fronte dei ricavi e tutte le aziende sanno che per una buona programmazione si deve tener conto anche delle uscite. E che bisogna sempre agire sulla spesa improduttiva per ottenere economie, non sugli investimenti». In questa manovra, invece, «non c’è alcun taglio della spesa corrente, che pure vale il 50% del pil. Anche le decisioni sull’aumento dell’Iva possono essere accettabili se mirate alla crescita degli investimenti, non lo sono però se l’esborso ulteriore richiesto ai cittadini sarà impiegato per far lievitare ancora la spesa». Fondamentale è mettere davvero mano alle riforme strutturali che da troppo tempo fanno da tappo alla crescita del Paese. «Con il governo si è parlato e si parlerà per capire se, anche a costo di sacrifici, si possano fare dei passi avanti insieme in questo senso», ha aggiunto Cerchiai.

È opinione unanime che, se si vuole davvero mantenere la promessa di azzerare il rapporto deficit/pil entro il 2013, bisognerà incidere anche e soprattutto sul lato della crescita. «Le stime di pareggio al 2013 sono già state messe in discussione, dobbiamo agire sui fattori che bloccano la crescita e frenano gli investimenti interni», ha detto senza mezzi termini Mussari. Perché non c’è dubbio che l’Italia sia più penalizzata di altri Paesi nella nuova ondata di crisi che sta investendo l’Europa.

Lo scotto che il Paese è costretto a pagare sul mercato internazionale va «oltre la logica dei numeri», ha sottolineato ancora il presidente dell’Abi. Guardando al 2012, per esempio, l’Italia potrà contare su un avanzo primario del 2%, poco meno della Francia e più della Germania, eppure il suo debito pubblico oggi sconta costi superiori persino a quelli della Spagna. «Gli spread che vediamo oggi non rispecchiano in alcun modo la situazione reale dell’Italia», secondo Mussari. Altri Paesi europei pur avendo una situazione macro decisamente peggiore di quella italiana sono meno penalizzati sul mercato del debito. Certo, per l’Italia un deficit al 120% del pil pesa in maniera consistente ma, anche in questo caso, a peggiorare il rapporto negli ultimi anni è stato «soprattutto il rallentamento del prodotto interno lordo», ha ricordato ancora il numero uno dell’Abi. «Chi in Europa ha affrontato prima i propri problemi strutturali, come la Spagna per esempio, riceve oggi un trattamento meno aggressivo da parte del mercato. La loro situazione è peggiore della nostra, ma il fatto che si siano incamminati verso un vero risanamento li premia in termini di affidabilità». Ed è proprio questo il nodo del discorso sia del banchiere sia del numero uno degli assicuratori: il Paese deve recuperare la credibilità perduta. Solo così potrà spezzare la spirale che l’avvita facendo crescere il costo del debito pubblico, rischiando così di renderne insostenibile il peso. «Il punto non è come si costruisce il piano industriale per l’Italia, per questo ognuno ha la sua ricetta. Il problema vero è la sua implementazione, che richiede responsabilità da parte di tutti, una questione non meno importante di quella legata alla credibilità». Insomma, secondo Mussari non è più possibile tollerare un’evasione fiscale da 120 miliardi l’anno, «una cifra astronomica». Non si può non rimettere mano al settore della sanità, pensando che le prestazioni, anche nelle strutture pubbliche, possano non essere più gratuite per i redditi più elevati. Non si può non ricercare una maggiore flessibilità nel mondo del lavoro, anche per quanto riguarda le pensioni. E tutte le misure dovranno essere poi commisurate a un benchmark europeo, come la Francia o la Germania, a seconda dei settori.

 

Per ottenere questi risultati, se la politica metterà mano alle riforme strutturali banche e assicurazioni sono disposte a fare anche dei sacrifici importanti, come hanno confermato gli altri relatori presenti all’evento (vedi pagina a fianco). Il numero uno di Poste Vita, Maria Bianca Farina, ha spiegato che se saranno create le condizioni adatte, il sistema assicurativo è pronto a caricare sulle sue spalle parte del rischio legato, per esempio, all’invecchiamento della popolazione. Il numero uno di Unipol, Carlo Cimbri, ha sottolineato ancora la necessità che banche, assicurazioni e imprese facciano sistema perché le risorse del Paese rimangano nel Paese. Mentre Emanuele Erbetta, ad di FondiariaSai, ha ricordato che le assicurazioni devono fare uno sforzo di realismo per adeguare i prodotti alle disponibilità e alle reali necessità dei cittadini in questo momento difficile per il Paese, anche a costo di vedere ridotte le loro provvigioni. (riproduzione riservata)