Ca’ de Sass ai minimi dal 1997. I p/e invitano agli acquisti ma tutto cambia se gli analisti tagliano le stime. Per Consob pochi gli short
Questa volta a far crollare le banche italiane ci hanno pensato quelle francesi. La pioggia di vendite che, complici i rumor di un possibile downgrade del rating del Paese di Oltralpe, ha riguardato le «cugine» francesi si è abbattuta come un uragano anche sull’Italia, grazie all’effetto contagio cui i mercati negli ultimi tempi ci hanno ormai abituati. «Il problema – commenta un analista specializzato in banche che preferisce mantenere l’anonimato – è globale e non riguarda più soltanto l’Italia. Sotto attacco ora c’è la Francia, domani chissà. Quel che serve, e al più presto, è una soluzione europea».
Così, ieri, in una Piazza Affari in profondo rosso, Intesa Sanpaolo ha accusato una flessione a doppia cifra pari al 13,72%, dopo essere finita più volte in asta di volatilità. Le azioni di Ca’ de Sass hanno terminato a 1,132 euro, sui livelli minimi dal lontano 1997. Valori che, per il titolo del gruppo guidato da Corrado Passera, non si erano visti nemmeno in occasione dei picchi raggiunti dalle due fasi di crisi precedenti (nell’ottobre del 2002 le azioni erano scese fino a 1,29 e nel marzo del 2009 fino a 1,22 euro). Non solo: la chiusura di ieri esprime un prezzo di Borsa pari a poco più di un terzo del valore di libro, ossia del valore contabile dei beni della società (si veda tabella in pagina). Quanto al rapporto prezzo/utili (p/e), che, in generale, al di sotto di 10 volte indica che una società in Borsa è sottovalutata, quello di Intesa al 2011 è di appena 6,7 volte. Un livello che al primo sguardo potrebbe far gridare all’occasione, ma che potrebbe anche diventare fuorviante. È quel che accadrebbe se gli analisti, proprio a causa delle incertezze legate alla congiuntura, ritoccassero al ribasso le previsioni di profitti per la fine dell’anno, facendo così crescere il multiplo. Un problema di stime che, ovviamente, riguarda tutte le società e non soltanto Ca’ de Sass. Spostando il focus sull’altra principale banca italiana, Unicredit, che ieri in Borsa è affondata del 9,37% scendendo sotto la barriera psicologica di 1 euro a 0,967, il rapporto tra prezzo e utili 2011 è appena superiore rispetto a Intesa (7,22 volte), mentre quello tra prezzo e valore di libro è di poco inferiore a un terzo. Oltre alle azioni di Ca’ de Sass, anche quelle di Ubi Banca hanno chiuso la seduta di ieri con un calo a doppia cifra, nell’ordine del 10,17 per cento. I titoli della Popolare hanno raggiunto un rapporto tra prezzo e valore di libro pari ad appena lo 0,15, per un p/e al 2011 di 7,26 volte. Ma la società finanziaria che, tra quelle passate in rassegna da F&M e riportate in tabella, risulta la più appetibile sulla base del p/e è Milano Assicurazioni, che, dopo il crollo di ieri dell’11,27%, presenta un multiplo di 6,28 volte e un prezzo/valore di libro compresso a 0,17. Stesso rapporto tra prezzo e book value per la controllante Fondiaria-Sai, che pure ieri ha terminato in forte calo (-9,56%), con un p/e di poco superiore alle 8 volte.
Tra le banche, rosso intenso anche per Monte dei Paschi di Siena, in discesa del 9,78%, Banco Popolare (-9,3%) e Bpm (-8,91 per cento). Insomma, in Borsa si è consumata un’altra giornata al cardiopalma, che ha spinto la Consob non soltanto a intensificare il monitoraggio degli scambi, ma anche a riunirsi per esaminare l’andamento stesso dei mercati. E il risultato di tale analisi sembrerebbe confutare la teoria di coloro che sostengono che per sbloccare la situazione basterebbe vietare le vendite allo scoperto. Sì, perché la Commissione di vigilanza – secondo quanto riferisce una fonte finanziaria – avrebbe verificato che «le posizioni nette corte sono contenute in limiti fisiologici e che in sede di regolamento non si evidenziano scoperture». Il dato emerge dalle comunicazioni pervenute a seguito della recente introduzione dell’obbligo di comunicazione delle posizioni ribassiste oltre lo 0,2 per cento. Insomma, i mercati, e le banche in particolare, crollerebbero sotto il peso di vendite pure. Niente più, niente meno.