ETTORE LIVINI

Un po’ di soldi per il purosangue di Jonella. Qualche milione per la pubblicità gestita dalle aziende di Giulia. Stipendi da supermanager. Più una serie da brividi di assegni a setteotto cifre per comprare fattorie valutate come miniere d’oro, alberghi in perenne passivo, arredi d’ufficio e preziose (?) consulenze.
La crisi di Fonsai affondata da un miliardo di perdite nel 2010 non nasce solo dai guai del core business assicurativo. Il buco nei conti, dati alla mano, ha anche un’altra spiegazione: il fattore Ligresti. La vorticosa girandola di operazioni infragruppo che in cinque anni ha trasferito dalle casse della galassia quotata in Borsa alle tasche dell’inossidabile ingegnere la bellezza di 525 milioni, trasformando Fondiaria e Milano Assicurazioni in una sorta di bancomat pronto uso per le casseforti della famiglia di Paternò.
Lo scopo di questa partita di giro iniziata in sordina nel 2005 e decollata per volumi tra il 2008 e il 2010 è stato chiaro sin dall’inizio: puntellare i conti delle holding personali della dinastia siciliana, messe alle corde dalla crisi del mattone e da una serie di diversificazioni non proprio azzeccate. Obiettivo, tra l’altro, fallito. Sinergia, capofila dei business di Ligresti, è stata costretta per ben due volte a rinegoziare la sua esposizione con i creditori esposti per oltre 300 milioni e una terza è ancora in corso malgrado l’«aiutino» delle assicurazioni di casa.
Solo tra 2009 e 2010, come riportano i dati in bilancio alla voce rapporti con parti correlate, le due compagnie hanno pompato verso i piani superiori della catena di controllo oltre 280 milioni. Mentre dal 2005 ad oggi il bilancio dareavere tra famiglia e aziende quotate a Piazza Affari segna un saldo positivo ovviamente per i Ligresti di 367 milioni. Un fiume d’oro alimentato in buona parte dai loro soci di minoranza (ma non dal punto di vista numerico: Sinergia in realtà controlla attraverso tre livelli di scatole cinesi solo il 20,6% di Fondiaria e il 12% della Milano) costretti adesso oltre alla beffa il danno a mettere mano al portafoglio per ricapitalizzare le due assicurazioni.
Il mattone d’oro. La parte più corposa delle partite infragruppo di casa Ligresti è legata, come tradizione di famiglia, al mattone. Fondiaria e Milano negli ultimi anni hanno affidato alla Imco e alle sue controllate, aziende che fanno capo direttamente alla famiglia, buona parte dei business immobiliari del gruppo. Nel 2005 hanno acquistato per 93 milioni gli immobili di via Lancetti a Milano, poi hanno finanziato la Avvenimenti e Sviluppo Immobiliari per 102 milioni per un’operazione a Roma, in via Fiorentini, si sono impegnate a rilevare dalle casseforti di casa un hotel con centro benessere a San Pancrazio a due passi da Parma. Tutte operazioni, naturalmente, segnalate con puntualità nei bilanci e accompagnate come prevede la legge da apposite valutazioni di periti.
Il timing di queste operazioni è stato sempre chirurgico. Quando un paio di anni fa la Imco si è trovata con un buco nei conti a pochi giorni dalla chiusura del bilancio è arrivato puntuale il salvagente della Fonsai: la compagnia ha messo mano al libretto degli assegni e rilevato dall’ingegnere alcuni indispensabili terreni a Bruzzano e a Cormano oltre a un bell’albergo a Varese. Cosa c’entrino questi blitz con il corebusiness di un’assicurazione non è chiaro. È certo però che i 15 milioni di plusvalenze garantiti così ai Ligresti hanno consentito di spegnere, almeno temporaneamente, la spia rossa dell’allarme finanziario.
Un deal fotocopia è andato in onda nel 2009 quando la Milano ha rilevato dalla Imco la Hdef Isola per 15,5 milioni regalando un altro po’ d’ossigeno alla controllante.
Il knowhow dei piani alti di casa Ligresti non si limita però al trading immobiliare. Prova ne è che le due società quotate in Borsa si sono affidate a Imco e alle sue controllate anche per una serie di servizi collaterali. Poco meno di 10 milioni sono finiti alla Europrogetti per le consulenze legate all’area Castello di Firenze, 30 milioni sono stati girati per i lavori su una struttura sanitaria a Firenze. Non solo: una volta costruite case e ospedali, poi, c’è bisogno di arredarle. E, guarda caso, i fornitori sono di nuovo aziende private dei soci di riferimento. Fondiaria si è comprata nel 2010 2,5 milioni di arredi dalla Icein e 2,2 milioni di mobili per ufficio dalla Imco quando forse sarebbe stato più semplice (e con ogni probabilità più economico) fare un salto all’Ikea.
Affari in fattoria e in hotel. Uno degli accordi più controversi tra i vari piani della galassia Ligresti è quello relativo alla tenuta agricola Cesarina. A fine 2008 Sinergia si è trovata in debito d’ossigeno finanziario. Che fare? Niente paura. L’ingegner Salvatore si è ricordato di questi mille ettari di paradiso nel parco di Marcigliana, in Lazio, dove si pigia olio e produce latte. Poco importa che il business fosse (come è ora) in perdita per due milioni l’anno. I panni sporchi si lavano in famiglia e Sinergia ha girato a Fonsai per 80 milioni di euro la megafattoria. Grazie, naturalmente, alla solita dettagliata perizia sul valore dell’immobile rurale stilata da apposito esperto indipendente.
Il troppo però è troppo. E in quell’occasione l’Isvap, l’istituto che veglia sulla solvibilità del comparto assicurativo, ha acceso il semaforo rosso: «Il prezzo è troppo alto», ha sancito e l’affarone (per chi è evidente) è saltato, costringendo pochi mesi dopo Sinergia a chiedere ai creditori bancari una moratoria sul suo debito.
Nella stessa occasione sono state poste le basi per una delle più disastrose (per i soci Fonsai e Milano) partite infragruppo dei Ligresti. Quella di Atahotels, la società di gestione alberghiera controllata da Sinergia e affidata dall’ingegnere al figlio Gioacchino Paolo. Storia del 2008. L’acquisizione della catena è «un’opportunità per il gruppo in un settore trainante dell’economia nazionale» sentenziarono allora convinte in un comunicato diffuso a tutto il mercato Fonsai e Milano firmando senza batter ciglio un assegno da 30 milioni per rilevare dalla cassaforte rispettivamente il 51% e il 49% del presunto gioiello dell’hotellerie nazionale. Difatti: prima l’Isvap le ha obbligate a ridurre il prezzo d’acquisto a 25 milioni perché quello iniziale era giudicato di nuovo troppo favorevole (ça va sans dire) ai venditori. Poi, pochi mesi dopo, è iniziato il calvario. Subito sono emersi buchi per 20 milioni in sei mesi, poi la necessità di un aumento di capitale da 12. Poi, un annetto dopo, è spuntata un’altra voragine da una cinquantina di milioni che si è tradotta in altri 30 milioni di contabilizzazioni in perdita. Se Atahotels fosse stata ancora in pancia a Sinergia, per la cassaforte di famiglia sarebbe stato il crac. Invece alla fine a saldare il conto sono stati i poveri piccoli azionisti delle due compagnie.
Ricchi premi e cotillons. A riempire i portafogli di casa Ligresti negli ultimi anni hanno contribuito anche i lauti stipendi pagati loro dalle
aziende di famiglia. Dal 2005 al 2010 Giulia, Jonella e Gioacchino hanno incassato una busta paga complessiva da oltre 60 milioni di euro emolumenti pari al triplo della media degli assicuratori europei. Anche l’anno scorso, con i titoli alle corde in Borsa e una voragine da un miliardo nei conti di Fondiaria, i tre moschettieri della famiglia siciliana hanno ricevuto una bella gratifica da 8,3 milioni di euro complessivi.
Ma i compensi sono solo la punta dell’iceberg della pioggia d’oro che hanno incassato direttamente. Fondiaria Sai ad esempio ha staccato nel 2010 un assegno da 6,7 milioni per consulenze tecnico amministrative legali a parti correlate. Banca Sai, oltre ad aver finanziato per 19 milioni Sinergia, ha garantito prestiti personali per 3 milioni di euro a singoli amministratori. Qualche spicciolo – nel corso degli anni – è finito pure nelle aziende personali dei figli di Salvatore. Gilli Communications, una società di Giulia, ha fatturato un paio di milioni per le campagne pubblicitarie della Dialogo, una controllata del gruppo Fonsai, mentre Laità, la società proprietaria di Toulon, il cavallo di Jonella, è stata misteriosamente gratificata dalle assicurazioni quotate di un pagamento di 1,4 milioni.