GLI SCENARI DEL RAPPORTO PMI 2022 DI CERVED: TREND CAPOVOLTO DA GUERRA E CRISI ENERGETICA
di Roxy Tomasicchio
La fine del tunnel sembra sempre più lontana per le Pmi italiane. A inizio 2022, infatti, lo scenario di ripresa post-pandemia è cambiato bruscamente per effetto della guerra russa-ucraina e per la crisi energetica. Tanto che sempre più imprese saranno a rischio chiusura: l’indice di rischio potrà salire portando le piccole e medie imprese in area di sicurezza a ridursi dall’attuale 46,7% al 35,7%; quelle rischiose a crescere dal 5,7% al 7,5% e quelle vulnerabili dal 13,9% al 20,8%. Quanto ai fatturati, potranno esserci contrazioni in media dell’1%, provocando una vera e propria recessione nel 2023, causata dalla riduzione dei consumi (-0,6%) e dalla stagnazione di investimenti (+1,6%) ed export (+1,9%), con effetti molto più pronunciati nei settori ad alta dipendenza dal gas e dall’energia.

Queste le stime di Cerved che, nel Rapporto Pmi 2022, ha ipotizzato due scenari: uno cosiddetto “worst”, il peggiore, cioè il più pessimistico, in cui le variabili negative sono portate agli estremi (aumento delle tensioni belliche; interruzione della fornitura di gas dalla Russia; inefficace utilizzo di risorse del Pnrr; salita dei tassi con conseguente maggior costo del debito e quindi flessione di domanda e produzione). Il secondo scenario è, invece, “baseline”, ossia base e quindi gli elementi negativi si stabilizzano. E in tal caso le previsioni sono più rosee e si prevede una crescita dei fatturati reali anche nel 2023, con un Pil sostanzialmente in linea con quello di fine 2022 (-0,2%), con dinamiche positive per gli investimenti (+4,1%), ancora sostenuti dai fondi del Pnrr e dall’edilizia, e dall’export (+3,2%) guidato dal tasso di cambio particolarmente favorevole. I consumi delle famiglie subiranno una battuta d’arresto (-0,2%), a causa del forte aumento dei prezzi e della contestuale stagnazione del livello dei redditi. La perdita di potere d’acquisto verrà in parte compensata con il ricorso ai risparmi accumulati soprattutto nel 2020.

Rischiosità elevata. Proprio quando sembrava che le imprese potessero lasciarsi alle spalle la crisi da Covid c’è stato un ribaltamento di scenario, dovuto allo scatenarsi del conflitto e allo shock energetico. Analizzando il rischio di default per macrosettori, nello scenario peggiore si nota che nell’industria e nei servizi le quote di imprese in area di sicurezza calano rispettivamente di 13,8 e 11,6 punti percentuali (da 58,7% a 44,9% e da 45,4% a 33,8%). È l’industria a registrare il maggior numero di aziende che entrano in area di rischio (+5,1% se si considerano i debiti finanziari), mentre nei servizi crescono quelle in area di vulnerabilità (+8,5%, e +12,8% considerando i debiti finanziari). Contenuto è invece l’impatto per il settore delle costruzioni.

Questo quadro è frutto del cosiddetto Cerved group score (Cgs), che si basa su una componente strutturale, frutto anche di un’analisi dei bilanci, e su una componente comportamentale (analisi statistica dei segnali di mercato, regolarità dei pagamenti e così via). Dal confronto tra il Cgs al 31/12/2019, alla vigilia dello scoppio della pandemia, e quello calcolato sui dati disponibili alla data di chiusura del Rapporto, emerge la resilienza delle Pmi italiane. Non solo. Le politiche di sostegno messe in atto dai governi hanno contribuito a ridurre i contraccolpi della crisi. Pur ipotizzando che questa politica attiva prosegua, la crisi attuale avrà impatti evidenti: secondo il Cgs forward looking, nello scenario worst, come anticipato, si assiste a una riduzione di oltre il 10% delle Pmi in area di sicurezza, a un aumento di quasi il 2% delle Pmi rischiose e di quasi il 7% di quelle vulnerabili. La distribuzione dei debiti finanziari ha tendenze più marcate: la quota di debiti finanziari in capo a Pmi con una valutazione in area di sicurezza si riduce del 15% (scendendo al 27,4%), a fronte del 36% circa in capo a Pmi vulnerabili o a rischio. I debiti finanziari a rischio si riportano su valori al di sopra dell’8%, superando i livelli pre-Covid nello scenario worst.

La variabile dimensionale continua a rappresentare un fattore chiave nella determinazione del profilo di rischio. Infatti, la crisi impatta in maniera significativa su tutte le dimensioni di impresa, ma le grandi riescono a contenere meglio l’urto della nuova congiuntura, mentre le piccole e le medie risultano più esposte ai nuovi shock legati a energia e inflazione. Le medie imprese evidenziano la riduzione più significativa dell’area di sicurezza, sia per numero di aziende (oltre i 13 punti nello scenario worst) sia per debiti finanziari (oltre 16 punti), mentre le piccole mostrano la crescita più marcata dell’area di rischio e vulnerabilità in termini di imprese (8,7 punti) e debiti finanziari (14,3). Le grandi imprese registrano invece l’aumento più contenuto, complessivamente, dell’area di vulnerabilità e rischio, che nello scenario worst, raggiunge il 16,9% per numero di imprese e il 19,7% per debiti

Pur se in misura minore rispetto all’emergenza Covid, anche la crisi attuale ha una fortissima componente settoriale. Gli impatti sono molto differenziati a seconda del macrosettore in cui operano le imprese e legati a una molteplicità di fattori: la dipendenza diretta dal gas e dall’energia e/o da materie prime a essi collegati, la capacità di trasferire a valle gli aumenti dei costi e l’elasticità della domanda. L’industria sconta la maggiore dipendenza dal gas e la difficoltà a ribaltare gli aumenti dei costi sui prezzi di vendita, con inevitabili compressioni dei margini. I servizi sono invece penalizzati da una più accentuata ciclicità della domanda con effetti amplificati dalla maggiore fragilità delle imprese. Nell’industria e nei servizi la contrazione della quota di imprese in area di sicurezza arriva, nello scenario worst, rispettivamente ai 12,5 e 11,6 punti. I servizi sono il settore che registra il maggior aumento della quota di imprese in area di vulnerabilità (+8,5 p. nello scenario worst, e +12,8 p. considerando i debiti finanziari). L’industria registra invece gli aumenti più marcati delle imprese in area di rischio, soprattutto in termini di debiti finanziari (+5,1 p.). Particolarmente contenuto, invece, l’impatto per il settore delle costruzioni (-3 p.), che continuano a beneficiare di un contesto complessivamente positivo. Le costruzioni si confermano il settore con i minori impatti in entrambi gli scenari: la quota di imprese a rischio, nello scenario worst, aumenta soltanto di 1 p. (3,8 p. il corrispondente aumento dei debiti finanziari). Più consistente l’aumento della quota in area di vulnerabilità (2 p. per numero di imprese e 5,6 p. per debiti finanziari)

Traiettorie diversificate per i fatturati. Nello scenario base, stando al rapporto Cerved, che ha analizzato 160 mila piccole e medie imprese italiane, i ricavi reali faranno registrare una crescita annua del 2,2% nel 2022 e dell’1,8% nel 2023. A far segnare la percentuale di incremento maggiore sarà il settore agricolo (+6,7%), seguito da costruzioni (+4,7%) e servizi (+4,5%), a debita distanza l’industria (+2,5%). Mentre, nell’ipotesi più pessimistica, la crescita si fermerà al 2,1% nel 2022 per poi passare al segno meno nel 2023 (-1%). Il calo sarà comune, nel 2023, a tutti i settori, a eccezione delle costruzioni.

Imprese zombie in crescita. Ulteriore effetto del peggioramento della congiuntura è il riacutizzarsi del divario tra le cosiddette imprese “zombie”, cioè non in grado di operare secondo le normali condizioni di mercato, e il resto del sistema. A oggi ne risultano attive 13.851 (3.759 in più rispetto al 2021, quando erano calate di 6.708 unità), in particolare nei servizi e dell’industria. I dati del primo semestre 2022 mettono in evidenza che le incidenze di gravi ritardi nei pagamenti e le quote di rischio sono molto più elevate tra le imprese zombie, con un divario in crescita rispetto al 2020-21: infatti, pagano in media 10 giorni dopo i termini concordati, contro i 6,8 giorni del resto delle Pmi, e la quota di gravi ritardi si attesta sul 4,5%, contro il 2,8% delle aziende sane.

Allo stesso modo, mettendo a confronto gli indici di rischio delle imprese zombie con quelli del resto delle Pmi, si confermano forti divergenze in termini di esposizione e di andamenti. A differenza del resto delle imprese, le zombie nel 2021 fanno registrare un peggioramento degli indici di rischio, con la quota di rischiose che si mantiene su valori ampiamente superiori al 2019 (15,8% contro 10,2%), contrariamente al resto delle Pmi (4,8% nel 2021 contro 5,4% nel 2019). Anche gli effetti della nuova congiuntura si riflettono maggiormente sugli indici delle zombie, che nello scenario worst evidenziano oltre un quinto di imprese a rischio (21,7%), contro il 6,2% del resto delle Pmi, e una quota di sicure e solvibili nettamente inferiore (38% contro 74,9% del resto delle Pmi). Le 13.851 Pmi imprese zombie presentano una quota di debiti finanziari a rischio del 16,6% nettamente più alta rispetto al resto delle Pmi (5,5%), con un dato in forte crescita rispetto al 2021 (+7,1 p.)
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