Marco Capponi
I litigi in famiglia sono praticamente all’ordine del giorno. Una regola che vale un po’ per tutti, anche per le dinastie dei super miliardari. Le baruffe tra Paperoni, siano essi genitori e figli, nonni e nipoti, fratelli o cugini, hanno però un effetto collaterale non indifferente: in ballo non ci sono soltanto qualche cattiva parola di troppo o un po’ di musi lunghi al cenone di Natale, ma l’unità e la compattezza di interi imperi industriali o finanziari.

Lo stesso vale per i family office, quelle società di servizi che gestiscono il patrimonio delle famiglie ultra-facoltose e fanno da centro di coordinamento per la gestione amministrativa e finanziaria delle grandi dinastie. Il Family Office Survey Report di Credit Suisse ha mostrato proprio questo aspetto: per più della metà degli oltre 300 family office intervistati (53%, si veda il grafico nella pagina a fianco) il maggiore fattore di complessità è quello di coinvolgere i membri della famiglia e gestire i passaggi generazionali, e per oltre un quarto (26%) la difficoltà più grande è rappresentata dalle relazioni tra i membri della famiglia.«L’indagine del 2022», spiega Thomas Ang, responsabile globale family office services della banca svizzera, «ha indicato che i family office devono ancora trovare una soluzione all’annosa sfida di gestire i conflitti generazionali: la preoccupazione principale dei manager è di trasferire agevolmente la ricchezza ai membri più giovani della famiglia, che potrebbero avere priorità e propensione al rischio diverse».Tra i partecipanti al sondaggio di sondaggio di Credit Suisse quasi un terzo (31%) non ha ancora coinvolto la successiva generazione nelle decisioni imprenditoriali, e di questa parte solo il 5% prevede di farlo nei prossimi tre anni. Insomma, la paura dei litigi e delle divisioni spinge ancora tanti Paperoni a restare saldamente in plancia di comando, finché la salute lo permette, per non rischiare che tutto quello che è stato costruito in tanti anni di fatica si disgreghi al primo soffio di vento.

Al tempo stesso, ci sono alcuni piccoli accorgimenti che possono essere messi in atto per far durare i family office nel tempo, anche quando i membri litigano e vogliono dividersi. MF-Milano Finanza lo ha chiesto al dottor Giovanni Bandera, equity partner responsabile del dipartimento Tax dello studio legale Pedersoli.

«Per durare nel tempo e resistere anche ai fisiologici periodi di crisi», spiega il legale, «il family office deve poggiare su tre pilastri fondamentali». Primo, identificazione di «pochi obiettivi, chiari e condivisi». Secondo, una governance che preveda ruoli e responsabilità «ben individuati e attribuiti, con un orizzonte temporale almeno di medio periodo, senza possibilità di stravolgimenti nel breve se non in situazioni patologiche». E terzo, l’adozione «di adeguati sistemi di controllo dell’attività svolta dai family office e di informativa verso tutti i membri della famiglia».

Tre pilastri non certo facili da mettere in atto, e infatti, secondo Bandera, per far sì che tutto vada a buon fine può esserci bisogno di un elemento preso da fuori: «professionalità competenti ma esterne all’ambito famigliare che possano avere, oltre a una funzione puramente professionale, anche un ruolo di equilibratori delle diverse istanze dei membri della famiglia», nonché una funzione «formativa per le generazioni più giovani», aggiunge il legale.

E poi c’è un ultimo ingrediente, quello forse più psicologico, cioè «individuare ambiti di operatività per i membri di una famiglia il più possibile coerenti con attitudini e capacità personali» di ciascuno. Non è scritto da nessuna parte, argomenta l’esperto, «che tutti debbano essere imprenditori: magari un membro della famiglia è più propenso al real estate, uno alla filantropia, un altro alla gestione della liquidità».

Ogni family office, ovviamente, ha una storia diversa dall’altro, ma per il legale dello studio Pedersoli ci sono alcune casistiche che possono rendere i litigi frequenti e potenzialmente esplosivi. «Ci sono due possibili strade», spiega. Primo, «la gestione di un family office avviene dopo un evento di liquidità, ad esempio la cessione dell’azienda». Secondo, la gestione del patrimonio «che includa l’attività imprenditoriale».

Il primo scenario è quello sulla carta più tranquillo perché, racconta Bandera, «i membri che sono sempre stati impiegati in azienda finalmente possono liberare desideri e ambizioni personali, senza gabbie». La seconda opzione è invece quella più a rischio, perché la guida della dinastia resta in mano allo storico fondatore, che potrebbe essere meno propenso a svincolare figli e nipoti dall’attività che ha permesso a tutti di raggiungere quella ricchezza e quel tenore di vita.

In realtà, Bandera individua anche una terza possibilità di attrito, e cioè che, «in caso di prime e seconde generazioni, possa avvenire anche che i figli facciano fatica a convivere in un contesto in cui i padri non lasciano le redini e non pianificano il futuro dell’azienda quando loro stessi non ci saranno più».

Oltre ai litigi e al rischio di disgregazione, un tema caldo nei rapporti famigliari è poi quello dello scontro generazionale, per il quale è opportuno, secondo il legale, «trovare un luogo dove ci possa confrontare e permettere a tutti di avere opportunità all’interno della famiglia». Il family office, appunto. Quello che l’avvocato dello studio Pedersoli ha notato, a titolo di esempio, è che «il passaggio generazionale», specialmente dopo il Covid, «si coniuga spesso con un differente approccio verso l’innovazione».

Un attrito che, se ben incanalato, può diventare un grande motore di sviluppo per le attività imprenditoriali, «magari spingendo sulla digitalizzazione dell’azienda o su nuove attività che abbiano un forte nesso con lo sviluppo tecnologico». Alcuni esempio? «La tecnologia applicata al settore agroalimentare: idroponico, coltivazioni verticali, alga spirulina, e così via».

Il tema vero, è in definitiva «la lotta per trovare il proprio spazio». I padri sanno che i figli rappresentano il futuro, e rivolgono «una forte attenzione alla formazione delle successive generazioni, e un impegno per far compiere loro esperienze all’infuori del gruppo imprenditoriale». Quando poi tornano in azienda, forti del loro bagaglio di esperienze e desiderosi di innovare, figli e nipoti si trovano però spesso a fare i conti con «vecchie generazioni che oppongono resistenza».E lo stesso, conclude Bandera, vale per gli investimenti. «Capita di frequente che la generazione al comando, che ha una consapevolezza legata all’esperienza, abbia una approccio più cauto: spesso ascolta, ma poi cerca di mitigare gli entusiasmi dei giovani cercando di conciliare il rapporto tra rischio e rendimento». Al family office sta il compito di aiutare a trovare l’equilibrio tra effervescenza e prudenza. (riproduzione riservata)
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