APPROVATA LA DIRETTIVA EUROPEA CSRD: DAL 2024 PIÙ INFORMAZIONI SULL’IMPATTO DELLE ATTIVITÀ
di Vincenzo Dragani
Ampliamento, dal 1° gennaio 2024, sia per il novero delle imprese chiamate a pubblicare annualmente i dati relativi al proprio impatto ambientale e sociale sia per la quantità delle informazioni che anche le aziende già obbligate al reporting di sostenibilità dovranno comunicare.
Le novità arrivano con il via definitivo del 28 novembre 2022 da parte dell’Ue alla direttiva che riscrive le norme eurounitarie relative all’obbligo di dichiarazione societaria delle “informazioni di carattere non finanziario”.

Con l’approvazione della direttiva, ora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, si aggiunge anche un tassello alla lotta contro il greenwashing (ambientalismo di facciata), per contrastare in modo adeguato il quale occorrerà tuttavia attendere la definizione di una parallela direttiva, già allo studio dell’Ue, sulla riformulazione della più ampia disciplina Ue contro le pratiche commerciali scorrette.

Fin dalla sua traduzione sul piano nazionale, la neodirettiva sul reporting di sostenibilità impegnerà le imprese che adottano un “sistema 231” per arginare la propria responsabilità amministrativa ad aggiornare il relativo modello organizzativo ai nuovi standard informativi richiesti.

Il contesto normativo. La neodirettiva sulla rendicontazione di sostenibilità (meglio nota come Corporate sustainability reporting directive o direttiva Csrd) si inserisce nel frastagliato quadro normativo Ue sugli obblighi di trasparenza degli enti in relazione all’impatto della loro attività in termini ambientali, sociali e di governance (parametri meglio noti con l’acronimo “Esg”, dall’inglese environmental, social and governance).

Sul punto l’esordiente provvedimento prevede l’aggiornamento degli atti Ue di riferimento, tra cui la direttiva 2013/34/Ue sui bilanci d’impresa, che dopo le modifiche arrecate dall’omologo atto 2014/95/Ue (c.d. Non financial reporting directive o direttiva “Nfdr”) impone già una dichiarazione Esg a società di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico.

La rivisitazione del quadro normativo Ue indurrà il Legislatore italiano ad aggiornare il dlgs 254/2016, che in attuazione della direttiva sulla dichiarazione non finanziaria del 2014 obbliga già dal gennaio 2017 alcune imprese a comunicare dati sul proprio impatto ambientale.

Il nuovo reporting sulla sostenibilità. Emblematico dell’ampliamento dei dati che le imprese, alla luce dell’approvata neo direttiva sulla rendicontazione Esg, dovranno in futuro rendere pubblici è il cambio della loro denominazione, la quale dalla diplomatica formula di “Informazioni di carattere non finanziario” passa alla più coerente nomenclatura di “Informazioni sulla sostenibilità”. Gli specifici dati che le imprese dovranno comunicare (e l’eventuale strutturazione dell’informativa da pubblicare) saranno stabilite dalla Commissione Ue tramite propri atti recanti i principi di rendicontazione di sostenibilità, il primo dei quali è atteso per il 30 giugno 2023.

Ma la scaletta dei futuri contenuti della dichiarazione è già dettata dalla neodirettiva, che così li articola in relazione ai tre fattori: in merito a quelli ambientali, dovranno essere presenti dati su mitigazione e adattamento a cambiamenti climatici, uso delle risorse ed economia circolare, inquinamento, biodiversità ed ecosistemi; per quanto attiene invece ai fattori sociali, dovranno essere comunicate informazioni su parità di trattamento, opportunità, genere e retribuzione, nonché su formazione e sviluppo di competenze, inclusione delle persone con disabilità, misure contro violenze e diversità, nonché su condizioni di lavoro, rispetto di diritti e libertà; in relazione, infine, ai fattori di governance dell’ente andranno dichiarati dati relativi a ruolo, competenze e capacità nelle questioni di sostenibilità degli organi di amministrazione, gestione e controllo della società, etica aziendale e benessere degli animali, attività di lobbying, rapporti con clienti, fornitori e comunità interessate dalle attività d’impresa. Le relazioni sulla sostenibilità, chiede la neodirettiva, dovranno essere accessibili gratuitamente al pubblico (anche attraverso i siti web delle imprese) e verificate (come tra l’altro già prevede il dlgs 254/2016) da parte di soggetti indipendenti.

Soggetti obbligati e tempistiche di adeguamento. La direttiva amplia (come accennato) anche il novero dei soggetti che dovranno comunicare le proprie “informazioni sulla sostenibilità”.

Il quadro dei soggetti interessati ai rinnovati adempimenti risulta così essere così composto: dal gennaio 2024 l’obbligo scatterà per le grandi imprese che costituiscono enti di interesse pubblico già obbligati alla pregressa “dichiarazione non finanziaria”; dal gennaio 2025 l’adempimento riguarderà invece anche le grandi imprese non già soggette alla dichiarazione di cui sopra; dal gennaio 2026 (procrastinabile al 2028 dal singolo soggetto dietro motivazione) l’obbligo interesserà le piccole e medie imprese con valori mobiliari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati dell’Unione; dal gennaio 2028 sarà infine il turno delle imprese di Paesi terzi che generano ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 150 milioni di euro nell’Ue e che hanno impresa figlia o succursale nel territorio della stessa.

Conseguenze sul modello 231. Il recepimento nazionale del rinnovato quadro normativo eurounitario sull’Esg porterà tutte le imprese interessate che già adottano un sistema 231 a provvedere al suo aggiornamento. Infatti, già l’attuale dlgs 254/2016 sulla “dichiarazione non finanziaria” chiede di descrivere nella stessa, in relazione ai temi ambientali e sociali, quanto in merito previsto dai modelli aziendali di gestione e organizzazione delle attività dell’impresa, ivi inclusi i modelli di organizzazione e di gestione ex dlgs 231/2001. E il plausibile aggiornamento del dlgs 254/2016, nel tradurre sul piano interno le esigenze di maggiore analiticità delle informazioni sulla sostenibilità imposti dalla neo direttiva Ue, non potrà che traslare sulle imprese tale richiesta anche in relazione alle previsioni dei modelli 231.

E sul greenwashing. Nell’ottica della neodirettiva, il rafforzamento della rendicontazione di sostenibilità dovrebbe rendere oltremodo consapevoli tutti i componenti del sistema economico.

Secondo il provvedimento in itinere, i risparmiatori potranno effettuare investimenti con una più chiara visione degli impatti su ambiente e società, organizzazioni non governative e parti sociali saranno in grado di impegnarsi più proficuamente nel dialogo con le imprese, partner commerciali e clienti orienterebbero in modo maggiormente preciso le proprie scelte, responsabili politici e agenzie per l’ambiente indirizzerebbero più proficuamente le azioni di intervento, le imprese meno virtuose sarebbero stimolate ad innalzare le performance.

Tra le ambiziose finalità dell’esordiente neo direttiva sul reporting di sostenibilità vi è anche, come si legge nella parte motiva, quella di evitare il greenwashing, termine con il quale si identifica la strategia di comunicazione adottata da aziende ed enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività o prodotti cercando di occultarne il reale impatto ambientale. In merito si ritiene però che un’efficace azione di contrasto al fenomeno potrà essere inaugurata solo con l’approvazione dell’attesa e parallela proposta di direttiva Ue che mira ad inserire negli elenchi delle pratiche commerciali ingannevoli le condotte che impediscono ai consumatori di compiere scelte di consumo sostenibili.

Lo schema di provvedimento in questione, allo studio dell’Ue dal marzo 2022, tipicizza infatti delle precise condotte di greenwashing, tra cui: le promozioni che possono indurre in errore su impatto ambientale e sociale, durabilità e riparabilità di un prodotto; le dichiarazioni ambientali relative a prestazioni non dimostrabili o solo parzialmente veritiere; il pubblicizzare come vantaggi caratteristiche invece considerate pratica comune nel mercato; l’omissione di informazioni sui metodi di comparazione utilizzati nel confronto di sostenibilità tra prodotti; l’esibizione di marchi di sostenibilità non basati su sistemi di certificazione riconosciuti; il presentare come tratto distintivo dei propri prodotti requisiti, invece, imposti per legge nel mercato Ue.

Una volta approdate nella direttiva 2005/29/Ce sulle pratiche commerciali sleali e tradotte dal Legislatore italiano nel relativo Codice del consumo (dlgs 206/2005), tali formalizzande figure di greenwashing permetteranno l’applicabilità alle imprese scorrette (obbligate o meno al neo report di sostenibilità) della snella procedura sanzionatoria a tutela dei consumatori prevista dallo stesso Codice, procedura per la quale l’Autority nazionale di riferimento può dopo idonea istruttoria esercitare poteri inibitori e infliggere sanzioni amministrative fino a cinque milioni di euro.
Fonte:
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