EMERGE DA UNA RICERCA CAPGEMINI: C’È DIVARIO TRA OBIETTIVI A LUNGO TERMINE E AZIONI CONCRETE
di Fabrizio Milazzo
La sostenibilità sta entrando pian piano nel Dna delle imprese ed è parte integrante delle strategie di quasi due terzi (64%) di esse. Tuttavia, nonostante ciò e sebbene le imprese riconoscano l’importanza di misure a minor impatto ambientale, c’è ancora un ampio divario tra le ambizioni a lungo termine e le azioni concretamente messe in campo. La maggior parte dei dirigenti aziendali considera, infatti, la sostenibilità ambientale un obbligo oneroso piuttosto che un investimento per il futuro. I manager sono consapevoli di quanto sia urgente intraprendere iniziative per combattere il cambiamento climatico, ma l’impatto è stato finora limitato per mancanza di strategia globale, chiarezza sulle ragioni di business e implementazione coordinata.

È quanto emerge dal nuovo report del Capgemini research institute “A World in Balance – Why sustainability ambition is not translating to action”, in cui si evidenzia anche come l’implementazione di misure di sostenibilità sia in gran parte sottovalutata o male interpretata, tanto che solo il 21% dei dirigenti la ritiene chiaramente definita. La ricerca ha coinvolto oltre due mila dirigenti di 668 grandi organizzazioni con un fatturato annuo superiore a un miliardo di dollari, con sede in 12 paesi e attive in settori chiave. E si è concentrata sulle pratiche e le iniziative di sostenibilità ambientale, senza includerne gli aspetti sociali.

Le buone intenzioni non corrispondono alle azioni concrete. La sostenibilità è percepita dai dirigenti come una priorità assoluta per tutti i membri delle loro organizzazioni, ma esiste ancora un divario, come anticipato, tra gli obiettivi in tema di cambiamento climatico e le azioni intraprese. Infatti, meno della metà (49%) dei partecipanti all’indagine dispone di un elenco di iniziative per i prossimi tre anni e poco più di un terzo (37%) afferma che la propria azienda sta riconsiderando il proprio modello operativo. Come si legge nel report, gli investimenti in iniziative di sostenibilità per le aziende con un fatturato superiore ai 20 miliardi di dollari (poco più di 19 miliardi di euro) sono pari in media solo allo 0,41% del fatturato totale, mentre le imprese più piccole (con un fatturato tra 1 e 5 miliardi di dollari, ossia fino a 4,8 miliardi di euro) stanno investendo maggiormente (in media il 2,81%). Mentre gli investimenti medi in ricerca e sviluppo effettuati dalle aziende S&P 500 nel 2020 risultano del 4%. Dal rapporto emerge, inoltre, che molte aziende non hanno una visione complessiva e un adeguato sistema di coordinamento degli impegni di sostenibilità in tutte le loro attività e che i vari team continuano a operare in silos, comunicando poco tra loco. Per esempio, solo il 43% degli intervistati afferma che i dati relativi alla sostenibilità sono disponibili e condivisi in tutta l’organizzazione, mentre meno della metà delle aziende (47%) sta attivamente assumendo nuovi talenti con significative competenze in materia di sostenibilità.

La sostenibilità paga. I principali fattori che favoriscono le iniziative di sostenibilità sono la pressione esercitata da dipendenti attuali e potenziali (per il 60% dei dirigenti) e la necessità di anticipare la maggiore rigidità delle prossime normative (57%), mentre il 52% dei dirigenti afferma di prevedere un aumento dei ricavi in futuro. La maggior parte delle aziende non ha ancora intrapreso azioni perché teme le implicazioni economiche a breve termine: spesso la sostenibilità è, infatti, vista come un aspetto legato ai costi piuttosto che ai valori, in particolare nel panorama macroeconomico globale. Soltanto un intervistato su cinque (21%) ritiene che il business case per la sostenibilità sia ben chiaro, mentre il 53% afferma che i costi per intraprendere tali iniziative siano superiori ai potenziali benefici. Ma dalle evidenze che scaturiscono dal report si rileva che le organizzazioni che danno priorità alla sostenibilità stanno già superando, in termini di risultati, quelle che non lo fanno. Gli esperti sottolineano che, dal 2020 al 2021, l’11% delle aziende più avanzate in materia di sostenibilità, i cosiddetti “frontrunner”, ha registrato un aumento dei ricavi per dipendente dell’83% superiore rispetto alla media, mentre il 26% delle aziende meno avanzate del 13% inferiore. Nello stesso periodo, le aziende più avanzate hanno registrato un margine di profitto netto superiore del 9% rispetto alla media. Ciò, a giudizio degli analisti, non dimostra che la sostenibilità sia direttamente collegata alla redditività ma evidenzia che non è necessariamente un’enorme spesa e che le organizzazioni possono essere finanziariamente all’avanguardia e sostenibili allo stesso tempo. I “frontrunner”, per esempio, hanno messo in atto misure che portano benefici sia sul fronte finanziario che su quello della sostenibilità, come sistemi intelligenti per ridurre il consumo energetico, programmi di riduzione dei rifiuti o incentivazione del lavoro da remoto per ridurre le emissioni. Nel report si precisa che si definiscono frontrunner le aziende che dimostrano la maggiore maturità in processi della catena del valore, tra cui approvvigionamento, ricerca e sviluppo, progettazione e innovazione dei prodotti, produzione e logistica, nonché il modo in cui coinvolgono il personale nella loro visione di sostenibilità e l’uso della tecnologia a favore della sostenibilità stessa. «Molte aziende comprendono la necessità di implementare iniziative di sostenibilità, ma devono allinearsi su una strategia chiara e su obiettivi a breve termine per raggiungere risultati concreti che permettano alla società di non superare i limiti del nostro pianeta», evidenzia Andrea Falleni, amministratore delegato di Capgemini in Italia, «se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5°C dobbiamo agire ora e il cambiamento deve partire dall’alto. Le aziende devono rivedere i propri modelli di business per creare prodotti e servizi sostenibili. Si tratta di un investimento per il futuro: con l’aumento delle normative e delle pressioni da parte della società civile e, di conseguenza, un maggiore controllo da parte di consumatori e investitori, le aziende che non riescono a soddisfare i loro obiettivi di sostenibilità corrono il rischio di diventare obsolete o inadeguate nei prossimi anni».

Gli investimenti in tecnologia per limitare l’impatto ambientale. Le aziende sono più consapevoli dell’impatto ambientale della loro tecnologia e fanno leva su nuovi strumenti per raggiungere i loro obiettivi. Più della metà dei dirigenti (55%) coinvolta nello studio afferma che la propria azienda è consapevole della quantità di anidride carbonica emessa dalla propria tecnologia (strumenti digitali, app, sistemi IT e data center), percentuale che raggiunge il 63% nel settore della produzione industriale e il 61% in quello dei prodotti di consumo e dell’energia. Per raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità, il 60% delle organizzazioni afferma di utilizzare l’intelligenza artificiale e l’automazione, in particolare nel settore dell’energia (72%), mentre oltre la metà delle aziende a livello globale (55%) sta investendo in tecnologie digitali come AR/VR (ossia realtà aumentata / realtà virtuale) o strumenti di collaborazione per ridurre gli spostamenti dei dipendenti. Come evidenziato nelle conclusioni del report, le imprese rivestono un ruolo fondamentale nella mitigazione degli impatti dannosi per l’ambiente. La sostenibilità richiede una trasformazione a livello aziendale e le organizzazioni devono rivalutare la loro intera catena del valore sotto un punto di vista differente rispetto al passato. In particolare, le imprese di tutto il mondo sono chiamate ad invertire la rotta e a sposare modelli di business a basse emissioni di carbonio e a impegnarsi in un’economia rigenerativa, in quanto la biodiversità e l’economia sono profondamente interconnesse.
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