LE NOVITÀ DELLA MANOVRA SULLE VALUTE VIRTUALI: PLUSVALENZE TASSATE COME PRODOTTI FINANZIARI
di Fabrizio Vedana
Plusvalenze tassate come per i prodotti finanziari, introduzione di un’imposta di bollo, rivalutazione con pagamento del 14% e sanatoria sugli asset detenuti illecitamente all’estero. Per effetto del nuovo testo normativo viene superato il precedente orientamento dell’Agenzia delle entrate che assimilava la criptovaluta alla valuta estera applicando la tassazione del 26% in presenza di prelievi da una giacenza superiore ad euro 51.645,69 per più di 7 giorni lavorativi continui.

L’articolo 31 prevede che le plusvalenze e gli altri proventi derivanti da cripto-attività diventino tassabili con un aliquota del 26% e a prescindere da quante cripto-attività si possiedono; viene, infatti, introdotta una franchigia non legata alla quantità di cripto-attività possedute ma all’ammontare di plusvalenze e proventi realizzati che vengono tassati solo se risultano complessivamente superiori a 2.000 euro nel periodo d’imposta.

Le nuove norme introducono il principio di irrilevanza fiscale delle operazioni cosiddette crypto-to-crypto (qualcosa di assimilabile allo switch di fondi), ma solo se le cripto-attività hanno le medesime caratteristiche e funzioni.

La norma, così come proposta, appare di non semplice interpretazione. L’aggettivo utilizzato, “medesime”, rende, infatti, sostanzialmente vana la previsione; e anche se si usasse l’attribuito “analoghe”, in luogo di “medesime”, la previsione non funzionerebbe, perché già soltanto tra le oltre 17 mila criptovalute esistenti, moltissime non presentano caratteristiche e funzioni analoghe alle altre e certo non si può lasciare al giudizio discrezionale dell’interprete, stabilire l’effettiva somiglianza tra le diverse cripto-attività.

Se l’intento di chi ha scritto la norma era però di tracciare una linea di demarcazione tra criptovalute e i non-fungible-token (Nft), meglio sarebbe stato allora seguire l’impostazione della bozza del regolamento europeo Mica (markets in crypto-assets), di prossima emanazione, che parla di “crypto-assets that are unique and not fungible with other crypto-assets”.

Sempre l’articolo 30 estende poi la tassazione del 26% anche agli altri, eventuali, proventi realizzati mediante detenzione di cripto-attività.

Il termine detenzione sembrerebbe voler evocare fattispecie di staking, yield-farming, savings, ecc., che vengono quindi portate nei redditi diversi ad aliquota 26%, invece che nei redditi di capitale ad aliquota Irpef marginale come aveva affermato finora l’amministrazione fiscale.

Per cercare di capire meglio quali sono queste fattispecie soggette a tassazione è bene precisare che si parla di staking per riferirsi al blocco in un portafoglio di una determinata quantità di cripto-attività, per un certo periodo di tempo, al fine riceverne una ricompensa.

Si parla di yield farming per riferirsi a un modo per guadagnare crypto usando le proprie stesse crypto. In pratica si prestano i propri fondi ad altri attraverso programmi informatici conosciuti come smart contract ottenendone, come ricompensa, delle commissioni sempre sotto forma di crypto. Si parla, invece, di savings per riferirsi ai piani di prelievo periodico aventi cadenza giornaliera, settimanale, bisettimanale o mensile, attraverso i quali si acquista cripto-attività, un po’ come avviene nei fondi comuni di investimento con un piani di accumulo.

Lo stesso articolo 31 prevede poi la possibilità di optare, per le cripto-attività possedute per il tramite di un intermediario italiano, per il regime del risparmio amministrato o del risparmio gestito, cioè per l’applicazione delle imposte da parte dell’intermediario stesso (per esempio una società fiduciaria).

Del tutto nuova è poi la disposizione con la quale gli operatori su valute virtuali (lettere i e i-bis) vengono espressamente inclusi tra i soggetti che possono fungere da sostituti d’imposta sui redditi prodotti dalle cripto-attività. Per effetto di tale equiparazione gli obblighi di comunicazione all’agenzia delle entrate vengono estesi agli operatori italiani su valute virtuali.

Il governo conferma l’obbligo di compilazione del quadro RW per chi detiene cripto-attività, senza nessuna soglia minima (la soglia minima dei 15.000 euro, valida per i conti correnti esteri, non viene estesa alle cripto-attività) e senza peraltro avere cura di chiarire il criterio di valorizzazione da usare. Come già avviene per le attività finanziarie estere, anche nel caso delle cripto-attività, la loro detenzione per il tramite di un intermediario o di un operatore su valute virtuali comporterà l’esonero dalla compilazione del quadro RW.

Rivalutazione e sanatoria. Come sistemare il passato. L’articolo 33 introduce la possibilità di rivalutazione del valore fiscale delle cripto-attività possedute all’1 gennaio 2023, dietro pagamento di un’imposta sostitutiva del 14%. La rivalutazione può essere fatta al valore che le cripto-attività avranno all’1 gennaio e questa rivalutazione incide sulle eventuali plusvalenze realizzate dal 2023 in avanti.

L’articolo 34 introduce la possibilità di regolarizzare le cripto-attività per gli anni fino al 2021 incluso, ferma restando la necessità di dimostrare la liceità, anche ai antiriciclaggio, della provenienza delle somme investite. Lo 0,5% all’anno sul valore delle cripto-attività non debitamente dichiarate, più un 3,5 per cento sul medesimo valore per ogni anno in cui avessero prodotto redditi tassabili.

L’articolo 35 introduce poi una mini imposta patrimoniale sulle cripto-attività, sotto forma di imposta di bollo (per le cripto-attività detenute tramite intermediari italiani) o altra imposta (per le cripto-attività non detenute tramite intermediari italiani) prevedendo una aliquota dello 0,2% all’anno, applicabile sul valore delle cripto-attività. Se le cripto-attività sono detenute presso intermediari non residenti o archiviate su chiavette, pc e smartphone, in qualunque parte del mondo sarà il proprietario italiano a farsi carico direttamente del versamento dell’imposta sempre nella misura del 2 per mille da versare secondo le modalità e i termini delle imposte sui redditi. La citata disposizione crea una profonda disparità di trattamento fiscale fra coloro che detengono denaro sui conti correnti e versano l’imposta di bollo in misura fissa di euro 34,20 e coloro che detengono criptovaluta o in Italia o all’estero o nei propri wallet e subiscono un prelievo del 2 per mille, per effetto del superamento dell’assimilazione della criptovaluta alla valuta estera.
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