Le scelte che saranno fatte nei prossimi 18-24 mesi determineranno quali banche emergeranno e quali resteranno indietro. Esordisce così quest’anno la Global Banking Annual Review di McKinsey, il report che la multinazionale americana della consulenza dedica alle tendenze in atto nel sistema creditizio mondiale. «Se la pandemia non ha avuto quei drammatici effetti finanziari che qualcuno aveva inizialmente previsto, ne ha certamente avuti di altri: il digital banking ha accelerato la propria crescita, l’uso del contante è diminuito in modo drastico, il risparmio è cresciuto, lo smart working si è affermato e le questioni riguardanti l’ambiente e la sostenibilità sono in cima alle priorità di clienti e regolatori», scrive McKinsey. Un’analisi insomma che fornisce lo sfondo ideale per leggere in profondità i piani industriali previsti per questi mesi, a partire da quello di Unicredit.

La banca oggi guidata da Andrea Orcel ha alle spalle un periodo complesso a cui la pandemia ha aggiunto ulteriori elementi di criticità. Dopo quattro aumenti di capitale che in dieci anni hanno bruciato 27,5 miliardi (poco meno dell’attuale capitalizzazione, che si attesta a 28,7 miliardi), dal 2017 il titolo della banca milanese non si è più risollevato. Anzi, complice lo choc pandemico, ha lasciato sul terreno quasi due terzi del proprio valore portandosi nell’autunno scorso ai minimi storici di 6,4 euro. Va detto che il destino di molte altre banche non è stato particolarmente diverso. Il market-to-book value (cioè il rapporto tra capitalizzazione e patrimonio), spiega il report di McKinsey, è oggi motivo di preoccupazione per il settore. «Le banche quotano in media una volta il book value contro le tre volte delle altre industrie e le 1,3 volte degli altri intermediari finanziari», commenta la società di consulenza. Non solo. Il 47% degli istituti a livello globale quota a meno del capitale iscritto a bilancio, rimpinguato peraltro di 2.800 miliardi di dollari negli ultimi 13 anni. In questo contesto il rischio che McKinsey vede all’orizzonte è quello di una progressiva divergenza tra i pochi gruppi che sapranno innovare e remunerare di più e quelli che invece sono destinati a rimanere sempre più indietro.

A zavorrare le valutazioni è in primo luogo la bassa redditività ed è proprio da qui che prende le mosse il piano presentato giovedì 9 dicembre da Orcel (che peraltro dovrà essere indennizzato dal Santander per circa 68 milioni, come deciso dai giudici di Madrid). Nella strategia i ricavi supereranno i 17 miliardi nel 2024, con un utile netto oltre 4,5 miliardi e un rote stimato sopra il 10%. Viste le assunzioni conservative sull’andamento dei tassi, la crescita dovrà avvenire soprattutto nelle attività capital light come il risparmio gestito o le polizze su cui in passato Unicredit aveva indubbiamente perso smalto. Come emerso nelle scorse settimane, particolare attenzione è andata alle alleanze commerciali in essere. «Nell’ambito del nuovo piano strategico al 2024», ha spiegato il ceo durante la presentazione, «la banca varerà un modello di partnership semplificato, specialmente nel settore Danni, e prevede di ottenere una maggiore efficacia commerciale con l’assunzione di specialisti e di offrire una gamma di prodotti arricchita con una gamma completa di soluzioni». Il business assicurativo rientra nelle attività della fabbrica prodotto Individual Solutions, per cui si prevedono ricavi a quota 3 miliardi nel 2024, con una crescita media annua del 5%. L’altra fabbrica prodotto, Corporate Solutions, avrà oltre 5 miliardi di ricavi 2024 (+4% medio annuo), con un focus particolare sullo sviluppo delle attività di advisory e capital markets, il cui fatturato salirà dell’11% medio annuo a quota 500 milioni.

Le tradizionali fonti di ricavo dovranno però confrontarsi sempre di più con le nuove tecnologie a cui, non a caso, il piano Unicredit dedica ampio spazio. Già nei mesi scorsi del resto non era sfuggita al mercato la nomina di Jingle Pang, la banker cinese ex Ping An Technology a cui il ceo ha convintamente affidato le redini della neonata divisione Digital come group digital&information officer. L’obiettivo nel medio termine è quello di trasformare Unicredit in una piattaforma con un’offerta integrata che possa competere non solo con gli intermediari tradizionali (tra cui lo spagnolo Bbva, appena entrato nel mercato italiano con un’offerta interamente digitale), ma anche con le fintech le cui quote di mercato sono in rapida crescita. Per queste iniziative il piano mette sul piatto 2,8 miliardi totali, prevede 2.100 assunzioni nette nel Digital & Data e avvia quattro progetti chiave: User Experience, New Digital Offering, Payments value Chain e Cyber Security. Negli obiettivi di Unicredit la strategia dovrebbe creare un valore cospicuo per i soci, con la distribuzione di 16 miliardi tra dividendi e riacquisto di titoli. Annunci che venerdì 9 hanno riportato le azioni ai livelli del febbraio 2020, recuperando così la scivolata della pandemia e ponendo le premesse per un ulteriore recupero che, se le promesse saranno onorate, potrebbe aprire una nuova fase nella storia del gruppo. (riproduzione riservata)
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