Prosegue senza sosta la lunga marcia di Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio verso una quota del capitale delle Generali che permetta loro nell’assemblea di aprile 2022 di sostenere le istanze del cambiamento da essi stessi più volte a parole propugnato, anche se finora con tante parole e zero numeri, rispetto alle strategie di Philippe Donnet, amministratore delegato del Leone in corsa per la riconferma. Sono invece solidi i numeri che i due arzilli miliardari stanno esibendo da quando hanno stretto un patto di consultazione tra loro e con Fondazione Crt e sono quelli delle azioni Generali acquistate quotidianamente. Al 9 dicembre scorso la quota di Del Vecchio era pari al 6,2343% e quella di Caltagirone al 7,75%, per cui il patto è rappresentativo (con la quota di Crt dell’1,47%) del 15,46%. Fondazione Crt non ha i mezzi per elevare ancora la sua quota (anzi, ha dato di recente in prestito titoli azioni Generali per arrotondare le sue entrate) per cui l’onere di una salita della quota superiore a quella di Mediobanca ed eventuali suoi alleati è tutto sulle spalle di Del Vecchio e Caltagirone. Ma in caso di showdown, quindi con la presentazione di una lista di candidati alternativa a quella che sarà approvata dal cda di Generali, quanti soldi ancora dovrebbero mettere in campo i due tycoon per avere chance di vittoria?

Si possono fare due conti. Dal 31 agosto 2021 in borsa sono state scambiate azioni Generali equivalenti al 24,5% circa del capitale sociale della compagnia. Nello stesso periodo il patto ne ha comprate per circa il 3,7% del capitale. Quindi in ogni giorno di borsa (escludendo quelli di blackout in cui le parti correlate non potevano acquistare azioni ai sensi del regolamento Consob) sono state scambiate azioni per lo 0,34% del totale del capitale sociale e i paciscenti hanno fatto mercato per circa il 17,8% dei volumi medi della seduta.

Se continuassero di questo passo, ovvero acquistando il 18% circa dei volumi di ogni seduta, e supponendo che il prezzo di borsa non si impenni e resti quello medio di novembre, circa 19 euro, il patto raggiungerebbe una quota del 20% a inizio aprile 2022. Se volesse poi salire fino alla soglia fatidica del 25%, a questo ritmo ci arriverebbe a fine agosto dell’anno prossimo. Se poi il mercato, fiutando l’affare, si accodasse negli acquisti facendo salire il titolo, quelle date si allungherebbero.

Rispetto a una settimana fa, quando le date ipotetiche erano molto più lontane, i tradere messi in campo dal dinamico duo hanno impresso una forte accelerazione agli acquisti. Tuttavia, se vogliono arrivare a sfiorare in tempo per l’assemblea la soglia del 25%, dovranno incrementare il ritmo della loro presenza sulle contrattazioni quotidiane dei titoli Generali a più di un terzo dei volumi medi di ogni giorno, molto di più dello sforzo attuale.

E in soldoni? Sempre ipotizzando un prezzo pari alla media di novembre, Del Vecchio dovrebbe investire poco più di 1 miliardo per salire dalla quota attuale al 10%. Caltagirone invece ne dovrebbe spendere meno perché la sua quota è attualmente più alta: 0,65 miliardi per arrivare al 10%. Però, poiché il patto incorpora anche le azioni della Fondazione Crt, per salire al 20% sarebbe necessario un investimento complessivo di 1,3 miliardi. Mentre per arrivare al 25% occorreranno 2,77 miliardi.

Tra l’altro, come già evidenziato su La Stampa, le modalità di acquisto di Caltagirone sono ben diverse da quelle di Del Vecchio. Quest’ultimo acquista come investitore alla vecchia maniera: compra cash e basta. Più articolata la modalità di Caltagirone: più del 65% dei suoi acquisti di titoli sono stati accompagnati dall’acquisto di una put per la maggior parte di tipo americano (facoltà di vendita esercitabile in qualsiasi momento) e della vendita di una call per la maggior parte di tipo europeo (diritto di acquisto di un terzo sulle sue azioni Generali esercitabile solo a fine giugno 2022), entrambe aventi come sottostante le stesse azioni. Quindi la manovra, definita collar, che gli è finora costata circa 31 milioni (dati dalla differenza tra l’esborso di 47 milioni per le put e l’incasso di 16 milioni dalla vendita delle call), in un certo senso sterilizza i rischi di perdita ma anche le opportunità di guadagno al di sotto o al di sopra di una quota che va da 17,5 ai 19 euro (i prezzi strike delle opzioni vendute o acquistate). Tale tecnica non è quella tipica di un investitore di lungo periodo che si vuole solo proteggere da eventuali discese del titolo (in quel caso Caltagirone si sarebbe limitato ad acquistare la put), ma piuttosto simile a quella di chi ricorre a un prestito titoli. Un 1,52% del suo 7,75% di Generali è impiegato così, con una tecnica buona per chi non ha interesse all’azione dal punto di vista patrimoniale ma solo al diritto di voto che incorpora. Tattica simile a quella del prestito titoli usato da Mediobanca per affittare un 4,42% della compagnia fino a fine aprile in modo da raggiungere un 17,22% dei diritti di voto. Si prospetta un finale da Verstappen-Hamilton. (riproduzione riservata)
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