di Paola Valentini
I family office sono al centro dell’attenzione e in questa fase le loro mosse sono molto seguite perché grazie alla flessibilità nel muoversi riescono a cogliere con rapidità occasioni che si presentano sui mercati. E nel settore entrano nuovi player, come la società di consulenza Deloitte che a maggio 2018 ha lanciato il brand Deloitte Private. Il gruppo ha deciso di sponsorizzare a livello globale The European Family Office Report 2021, ricerca di Campden Wealth, pubblicata nei giorni scorsi, che si basa sull’analisi statistica di 385 family office intervistati in tutto il mondo, di cui il 28% in Europa. La famiglia media europea ha una ricchezza di 2 miliardi di dollari Usa, mentre la loro ricchezza cumulata stimata ammonta a 216 miliardi di dollari (la ricchezza globale totale è stimata a 655 miliardi di dollari). In media il family office europeo ha un patrimonio in gestione di 1,5 miliardi di dollari e il patrimonio gestito complessivo è stimato a 162 miliardi di dollari (il patrimonio gestito totale dei family office a livello globale è stimato a 424 miliardi di dollari). Il settore più ricercato per gli investimenti, identificato dal 79% degli intervistati, è quello sanitario, seguito da fintech (63%), biotech (59%), intelligenza artificiale (58%) ed energie rinnovabili (57%). Il responsabile di Deloitte Private, Ernesto Lanzillo, offre il suo punto di vista sul settore, illustrando le strategie più adatte in questa fase per proteggere i grandi patrimoni custoditi nei family office, ma anche i rischi per i quali c’è più impreparazione.

Domanda. Come evolve la richiesta di servizi dei family office?

Riposta. La nostra esperienza conferma il focus sempre maggiore verso asset alternativi illiquidi come arte, investimenti sociali, start-up innovative, con una attenzione all’investimento, in parallelo ai private equity, in realtà imprenditoriali nel contesto di private deal. Da questo punto di vista, il segmento ha quindi necessità di supporto consulenziale per carenza di esperienza e competenza specifica in attesa del raggiungimento di una piena maturazione di professionalità. Secondo lo studio European Family Office Report 2021 di Campden Wealth, di cui Deloitte Private è sponsor, rispetto alle prospettive economiche future i family office europei sono ottimisti per il 2022. Sicuramente in Europa, e in particolare in Italia, ci aspettiamo opportunità di investimento e di azione dei family office nel contesto degli assi di sviluppo del Next Gen Eu.

D. Quali esigenze sono emerse con la pandemia?

R. In Europa, nonostante la pandemia, la ricchezza di tre famiglie su quattro è aumentata nell’ultimo anno: il 73% di queste ha riportato un aumento della ricchezza negli ultimi 12 mesi, con il 20% che dichiara un aumento come significativo. Per quanto riguarda i family office nessuno di loro risulta abbia riportato una diminuzione significativa di attività: il 58% ha visto un aumento degli asset under management, e per il 16% l’aumento è stato significativo, sempre secondo il report di Campden Wealth. Il contesto di emergenza ha comunque evidenziato nuove problematiche e criticità nelle scelte di gestione ed allocazione del patrimonio, ma ha sicuramente offerto importanti spunti per migliorare efficienza organizzativa e governance nonché la redditività e la diversificazione del patrimonio stesso. Nonostante le caratteristiche eterogenee dei family office, possono essere delineati alcuni filoni comuni di comportamento.

D. Quali?

R. In primo luogo emerge sempre di più la necessità di avere un approccio multidisciplinare e integrato nel seguire l’investitore inteso come imprenditore, persona fisica privata, famiglia e società holding od operativa. Il complesso e diversificato patrimonio di questi soggetti richiede sempre più il ricorso ad attività di analisi nonché la capacità di coprire in modo efficiente, a livello famigliare, aziendale e patrimoniale tutti i temi di cybersecurity. Secondo la survey Campden Wealth il 38% dei family office europei dichiara di aver subito un attacco informatico negli ultimi 12 mesi, questo è dovuto all’aumento del lavoro a distanza durante la pandemia. Tuttavia, meno di un terzo ha un piano di sicurezza informatica robusto. Ciò suggerisce che si potrebbe fare di più per salvaguardare sia i family office che le famiglie stesse contro le violazioni informatiche che potrebbero avere conseguenze di vasta portata.

D. Altri fattori?

R. Un ulteriore elemento è lo strutturale cambiamento delle politiche di investimento e di allocazione del patrimonio. I nostri clienti evidenziano che il principale obiettivo è bilanciare preservazione e crescita del patrimonio e in modo veramente residuale, alcuni clienti dimostrano una propensione al rischio più accentuata, con l’obiettivo di accrescere il capitale. Da un lato aumenta la presenza di asset alternativi illiquidi quali private equity, venture capital, co-investimenti, real estate e arte, a scapito delle asset class più tradizionali, dall’altro si manifesta sempre maggiore attenzione ai temi della sostenibilità. Il principale tema di investimento sostenibile è il cambiamento climatico. Stiamo assistendo al passaggio da una visione che distingueva fra patrimonio tradizionale e filantropia ad una consapevolezza del fatto che sostenibile sia la nuova normalità nella gestione dei patrimoni soprattutto in un’ottica multigenerazionale.

D. Il passaggio generazionale come viene affrontato?

R. E’ un aspetto cruciale: un terzo della nuova generazione ha già assunto il controllo del proprio patrimonio familiare e un altro terzo lo farà entro i prossimi 10 anni. Sebbene questo sia un segnale positivo, resta comunque il rischio di arrivare impreparati a gestire tale fase di successione. Attualmente, poco più della metà degli intervistati secondo Campden Wealth ha un piano di successione in atto, di cui solo il 51% di questi è formalmente scritto, mentre per il resto si tratta di piani scritti concordati informalmente (29%) o semplicemente concordati verbalmente (14%). Alla luce di ciò, solo il 28% si sente molto preparato per la successione, il 54% un po’ preparato e il 18% impreparato. Questo potrebbe spiegare perché la preparazione alla successione è indicata come il secondo maggiore fattore di rischio identificato dai family office europei, dopo i rischi d’investimento. (riproduzione riservata)
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