I DATI RACCOLTI NEL RAPPORTO SULLO STATO DELL’ECONOMIA DI DEMOSKOPIKA PER BCC MEDIOCRATI
di Luigi Chiarello
Quanto è costato il Covid-19 a ciascun italiano? In media 5.420 euro. Questa cifra si desume dal Fiscal Monitor del Fondo monetario internazionale, secondo cui l’Italia ha stanziato 1.858 euro pro-capite a fronte di un calo del Pil pro-capite, causato dalla pandemia, di 2.371 euro. Il che ha generato un saldo negativo a persona di 513 euro. Ma se si somma il calo del Pil pro-capite (2.371 euro) all’incremento di debito pubblico pro-capite generato dagli interventi messi in campo dal governo, pari a 3.049 euro, si arriva al risultato medio di 5.420 euro. Il dato emerge dal 17° rapporto sullo stato dell’economia condotto da Demoskopika per conto della Banca di credito cooperativo Mediocrati.

Il costo per l’Italia della crisi generata dalla pandemia viene stimato pari al 19,9% del Pil pro-capite; dunque, maggiore rispetto a paesi come la Germania (pari al 13%) e la Francia (17,4%). Nonostante ciò, l’Italia a gennaio 2021 risultava essere il paese che aveva fatto meno ricorso in assoluto alle misure di espansione, cioè all’indebitamento; queste, infatti, sul Pil 2020 hanno inciso per il 6,8%. Al contrario, paesi come la Germania, il Regno Unito o la Francia hanno stanziato risorse rispettivamente per l’11%, il 16,3% e il 7,7% del Pil.

Eppure, in Italia il rapporto debito/Pil è salito di 23 punti percentuali, contro i 10,4 della Germania, i 18,1 del Regno Unito e i 17,1 punti della Francia. Meglio. Complessivamente, nel 2020 il debito pubblico italiano ha raggiunto quota 2.569.258 milioni di euro. E, sempre secondo stime del Fmi, in rapporto al Pil è salito dal 134,6% del 2019 al 155,6% nell’ultimo trimestre del 2020.

La situazione sociale. Secondo l’Istat, alla fine dello scorso anno le famiglie italiane in condizioni di povertà assoluta erano circa due milioni; gli individui oltre 5,6 milioni. I nuclei familiari in condizione di povertà relativa, invece, erano 2,6 milioni. Emergono, tuttavia, differenze in relazione alle diverse aree del Paese.

Nel 2020 l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si confermava più alta nel Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%), ma la crescita più ampia si registrava in Nord Italia, dove la povertà familiare saliva al 7,6% (dal 5,8% del 2019). Infatti, se due anni fa, prima della pandemia, le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 sono arrivate al 47% al Nord contro il 38,6% del Mezzogiorno, con una differenza in valore assoluto di 167 mila famiglie.

Anche in termini di individui, tocca al Nord a registrare il peggioramento più marcato, con l’incidenza di povertà assoluta passata dal 6,8% al 9,3% (10,1% nel Nord-ovest, 8,2% nel Nord-est). Tirando le somme, nel 2020 erano oltre 2,5 milioni i poveri assoluti residenti nelle regioni del Nord (45,6% del totale, distribuiti nel 63% al Nord-ovest e nel 37% nel Nord-est) contro 2 milioni 259 mila nel Mezzogiorno (40,3% del totale, di cui il 72% al Sud e il 28% nelle Isole). In quest’ultima ripartizione l’incidenza di povertà individuale saliva nel 2020 all’11,1% (11,7% nel Sud, 9,8% nelle Isole), rispetto al 10,1% del 2019; nel Centro era pari al 6,6% (dal 5,6% del 2019).

L’impatto del Covid sul Pil. Nel 2020 il Pil del paese ai prezzi di mercato è stato pari a 1.651.595 milioni di euro correnti, con una diminuzione del 7,8% rispetto all’anno precedente. In volume, invece, è diminuito dell’8,9%: un crollo addirittura superiore alla crisi del 2008. Fra i Paesi del G20, l’Italia ha fatto registrare il terzo più elevato crollo del Pil reale a livello mondiale; peggio hanno fatto solo l’Argentina (-10,0%) e il Regno Unito (- 9,9%).

Le cause di questa debacle? Per l’Istat a influenzare la caduta del Pil italiano «è stata soprattutto la caduta della domanda interna, mentre la domanda estera e la variazione delle scorte hanno fornito un contributo negativo limitato». In più, l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni lo scorso anno è stato pari al -9,5%, a fronte del -1,6% dell’anno precedente. La pressione fiscale complessiva, invece, è passata dal 42,4% del 2019 al 43,1% del 2020; un aumento dovuto alla minore flessione delle entrate fiscali e contributive (- 6,4%) rispetto a quella del pil a prezzi correnti (-7,8%).
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