Secondo l’Aon Risk Maps nel 2021 il 60% dei Paesi nel mondo è stato colpito da diverse forme di disordini civili e la “ripresa green” è a rischio a causa dell’impatto economico della pandemia

Aon plc ha pubblicato l’edizione 2021 del rapporto “Risk Maps”. Lo strumento analitico mostra come la pandemia abbia allo stesso tempo contribuito a celare ed acuire nel biennio 2020-2021 i rischi legati al terrorismo e alla violenza politica. La portata dell’intervento dei governi, la disuguaglianza economica e il malcontento dell’opinione pubblica per le misure adottate nella gestione della pandemia continueranno a giocare un ruolo determinante nello scenario globale contemporaneo, sempre più instabile.

Le Risk Maps di Aon, realizzate in partnership con Continuum Economics e Dragonfly, prendono in esame nello specifico i rischi politici, di terrorismo e di violenza politica su scala globale.

Andrea Parisi, amministratore delegato e direttore generale di Aon S.p.A., ha commentato: “Gli effetti della pandemia continuano a pesare sull’economia a livello globale, con forti impatti sulle aziende di tutto il mondo che da oltre un anno e mezzo si trovano a fronteggiare mercati instabili e un numero crescente di rischi che mettono a repentaglio la continuità del business. Tra questi le difficoltà nel reperimento di alcune materie prime, che si ripercuotono su produzione e commercio. Inoltre, l’accresciuta instabilità politica in Medio Oriente che mina l’equilibrio geopolitico mondiale, porta con sé il rischio concreto di innescare una severa crisi economica oltre alla tragedia umanitaria”.

Terrorismo e violenza politica

Nel 2020 i periodi di lockdown e le restrizioni ai viaggi hanno avuto l’effetto di attenuare considerevolmente gli attacchi terroristici e gli episodi di protesta violenta, con una percentuale di Paesi esposti ad atti terroristici e sabotaggi scesa al 45%, ma con incidenti di questo tipo in forte ripresa in seguito al progressivo allentamento delle restrizioni. Nel complesso si registra una diminuzione degli attacchi terroristici a livello globale, anche se la pandemia è stata anche un’opportunità per attivisti ed estremisti di lavorare sulla creazione del consenso e sfidare gli ordini stabiliti e le forme di governo attraverso azioni di protesta violenta. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno registrato un forte aumento dei disordini civili e dei rischi di insurrezione.

La violenza jihadista è complessivamente aumentata del 20% nel 2020

La maggior parte degli atti di violenza jihadista si sono verificati in zone di conflitto come l’Iraq, la Siria, l’Afghanistan e il Mali, la cui stabilità dipende largamente dall’azione internazionale di supporto militare e politico. L’impatto della pandemia su questi Stati cosiddetti “fragili”, ha rappresentato un fattore da tenere in considerazione.

In questo contesto, la rapidità con cui i Talebani hanno catturato Kabul il 15 agosto ha verosimilmente colto di sorpresa l’amministrazione Biden e costretto gli Stati Uniti ad accelerare l’evacuazione dei loro effettivi. Sebbene gli Stati Uniti e la NATO abbiano lasciato aperta, in linea teorica, la possibilità di ristabilire una qualche relazione diplomatica con il Paese, permangono forti perplessità sulla capacità del nuovo governo talebano di superare quelle politiche repressive e di violazione dei diritti umani – in particolar modo dei diritti delle donne – che avevano caratterizzato la loro prima ascesa al potere negli anni ‘90.

Il rischio politico

Il rischio politico è complessivamente aumentato nel corso del biennio 2020-2021. Sette Paesi hanno registrato un deterioramento del livello di rischio politico, mentre in nessuno si sono avuti miglioramenti, tra le altre, per le seguenti ragioni: il significativo aumento dell’inflazione nei mercati emergenti nel corso di quest’anno; la battuta d’arresto dei progetti legati alla sostenibilità a causa della pandemia; la crescita del divario dei redditi pro capite tra mercati sviluppati e Paesi emergenti, ulteriormente alimentato dai ritardi delle campagne vaccinali in questi ultimi.

Una ripresa sostenibile a rischio

Le istituzioni internazionali, con l’Unione Europea in testa, stanno ponendo l’accento sull’opportunità di ricostruire meglio di prima in scia alla pandemia, e soprattutto in modo più sostenibile. Le ragioni economiche di una ripresa green si basano in primis sulla creazione di posti di lavoro e su costi energetici più bassi.

Tuttavia, le politiche fiscali espansive che stanno consentendo di affrontare la crisi determinata dal COVID-19 hanno fatto sì che alla fine del 2020 meno della metà dei firmatari l’Accordo di Parigi siano stati in grado di rispettarne le disposizioni fondamentali per raggiungere l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali.

Le catene di approvvigionamento dei mercati di frontiera sono sempre più vulnerabili

Il rischio di interruzione della supply chain, esacerbato dal cambiamento climatico e da condizioni meteorologiche estreme, rappresenta un problema crescente per i mercati di frontiera, dove il COVID-19 ha portato saldi di bilancio più ampi, un’inflazione più alta e un indebitamento crescente. Questi Paesi corrono così un rischio maggiore di rimanere indietro nell’implementazione di politiche di mitigazione del cambiamento climatico. L’aumento dei prezzi delle materie prime e l’inflazione possono in questo senso venire in aiuto nell’alleviare il peso del debito dei mercati emergenti, le cui economie sono spesso incentrate sulle materie prime.

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