di Luca Frumento, consulente legale Anasf
Un investitore ha fatto causa al proprio consulente finanziario e alla banca di appartenenza sostenendo che taluni investimenti in perdita sarebbero stati eseguiti sulla base di ordini recanti firme false. Lo stesso ha quindi chiesto che venisse accertata la nullità di queste operazioni per violazione del requisito di forma scritta, di cui all’art. 23 Tuf (Testo Unico della Finanza), con conseguente restituzione degli importi versati. Accertata la falsità delle firme, i giudici di merito hanno condannato cf e banca, in solido tra loro, a restituire il conferimento.

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza della Prima Sezione Civile n. 23566 del 27 ottobre 2020, ha accolto il ricorso del consulente finanziario e ha annullato la sentenza di condanna, disponendo il rifacimento del processo. La Sezione Civile ha innanzitutto ritenuto, sulla scorta della propria consolidata giurisprudenza, che il requisito di forma scritta previsto dall’art. 23 Tuf ha riguardato il contratto quadro e non gli ordini di investimento, non soggetti a requisiti di forma, se non quella convenzionalmente stabilita nel contratto.
La Sezione Civile ha rilevato che il consulente finanziario non è parte del contratto di investimento, che riguarda solo cliente e banca, e dunque non è passivamente legittimato relativamente all’azione contrattuale di nullità. Ancora, non può essere chiesta al consulente la restituzione di un importo (il conferimento del cliente) che non ha mai percepito: «Appare non conforme a diritto la condanna, per il medesimo titolo, del consulente finanziario, il quale non ha pacificamente mai assunto la veste di parte contrattuale e non può nemmeno considerarsi accipiens degli indebiti pagamenti. Per un verso, infatti, il consulente raccolse gli ordini recanti le false sottoscrizioni e li trasmise alla banca per l’esecuzione, onde gli ordini di investimento di cui è stata accertata la nullità definiscono rapporti negoziali riferibili all’intermediario, e non al consulente, per altro verso, l’estraneità del ricorrente ai singoli negozi di investimento implica che la riscossione dei relativi pagamenti per l’acquisto dei titoli sia imputabile alla banca».
Questa pronuncia è destinata a costituire un aiuto, quale autorevole precedente, per il cf coinvolto in giudizio, di nullità dell’investimento (ma anche di annullamento e di risoluzione) proposto dal cliente. Occorre però precisare che questo non protegge il consulente dalla richiesta di risarcimento danni del cliente in quanto extracontrattuale e neppure dall’ipotetica rivalsa e manleva della banca perché basata sul diverso contratto di agenzia/lavoro di cui il consulente è parte. (riproduzione riservata)

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