Pagina a cura di Antonio Longo
Il rilancio passa anche e soprattutto dalla digitalizzazione. La vendita di beni o servizi mediante un proprio sito di e-commerce, adottata prima della crisi Covid-19 dal 9,2% delle imprese italiane con 3 addetti e oltre (circa 90 mila imprese), è quasi raddoppiata e riguarda attualmente il 17,4% delle stesse. Si stima, quindi, che circa 170 mila imprese dispongano attualmente di siti web destinati al commercio elettronico. Inoltre, prima della crisi il 2,7% imprese utilizzava piattaforme digitali che operano come intermediari commerciali per l’offerta online di prodotti e servizi, con l’emergenza tale quota è salita al 6,5%, pari a circa 64 mila imprese. È quanto emerge dalla lettura della seconda edizione del rapporto dell’Istat «Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza Covid-19».

Anche il sistema dei pagamenti è influenzato dalla digitalizzazione. Infatti, dal 5,3% prima della crisi Covid, la quota di imprese che utilizzano sistemi di pagamento sicuro via internet è passata al 10,5%. Seppur il trend delineato sia positivo, gli analisti dell’istituto di statistica rilevano come l’utilizzo di canali di vendita online da parte delle imprese resti ancora piuttosto limitato a causa di alcuni fattori strutturali. In primo luogo, la maggioranza delle imprese non vende i prodotti o servizi ai consumatori finali, ma ad altre imprese, e quindi non trova utile esporre il catalogo prodotti su un sito web, proprio o di intermediari. In secondo luogo, la rete del commercio al dettaglio tradizionale presenta un radicamento nel sistema economico che deriva anche dalla propensione della clientela all’interazione diretta con il venditore. Tutto ciò nell’ambito di uno scenario dai contorni piuttosto preoccupanti: oltre due terzi delle imprese dichiarano riduzioni di fatturato, il 32,4%, con il 21,1% di occupati, segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività; il 37,5% ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito. Il 7,2% del campione, pari a circa 73 mila imprese che pesano per il 4% dell’occupazione, ha dichiarato di essere al momento chiuso. Tra queste realtà produttive, 55 mila prevedono di riaprire mentre 17 mila non prevedono una riapertura. Tra le imprese attualmente non operative, quelle presenti nel Mezzogiorno sono a maggior rischio di chiusura definitiva.

Più di un terzo del fatturato proviene da canali di vendita digitali. I canali di vendita digitali intermediano complessivamente, con riferimento all’anno che volge ormai al termine, il 36,2% del fatturato delle imprese italiane con almeno 3 addetti. La quota più rilevante riguarda la vendita diretta per via digitale o e-mail, stimabile in circa il 18,2% del fatturato totale. Segue l’e-commerce in senso stretto, con il 15,5% del totale, e la vendita via piattaforme, pari al 2,6% del totale. Le imprese, anche quelle più piccole, indicano una netta riduzione, nel confronto tra il 2019 e il 2020, della percentuale di fatturato realizzato attraverso i canali tradizionali non digitali a fronte di un incremento della quota di fatturato generato dai canali digitali. A livello aggregato, la perdita di quota dei canali non digitali è stimata in 2,1 punti percentuali, con cali superiori a 2,3 punti in tutte le classi di addetti esclusa quella delle imprese con 250 addetti e oltre. La composizione del fatturato digitale non è uniforme tra le diverse classi di addetti: le imprese di maggiore dimensione spingono sull’e-commerce mentre quelle più piccole ancora preferiscono modalità di interazione digitale con i clienti meno strutturate.

Uno sguardo all’immediato futuro. L’analisi condotta dall’Istat mette a raffronto anche i dati di preconsuntivo del 2020 e i dati di previsione del 2021, con il processo di sostituzione tra canali commerciali non digitali e canali digitali che prosegue ma con un rallentamento previsto in tutte le classi dimensionali. Il dubbio è, quindi, quello che potrebbe trattarsi non di una radicale trasformazione ma soltanto di un trend temporaneo. In ogni caso, l’adozione di canali commerciali digitali resta strettamente legata alle specificità settoriali. Infatti, l’e-commerce è più diffuso nei servizi turistici, come trasporto e ricettività, e nelle attività editoriali che includono anche la vendita di software. A seguire altre tipologie di servizi come le telecomunicazioni o le assicurazioni. Le vendite tramite piattaforma sono utilizzate, soprattutto, dai servizi editoriali e dall’industria delle bevande che comprende anche i produttori di bevande alcoliche e, segnatamente, di vino. Seguono altre attività, quali servizi postali, attività ricettive e servizi di trasporto. Per la vendita diretta o via e-mail spiccano, ancora una volta, i servizi turistici, comprese le agenzie di viaggio, insieme all’industria del tabacco e a quella delle bevande.

Triplicato l’utilizzo di applicazioni tecnologiche di comunicazione digitale. L’offerta al pubblico di servizi digitali complementari all’attività caratteristica delle imprese risulta in crescita, numeri Istat alla mano. In particolare, l’interazione con la clientela attraverso i social media, già presente nel 22,2% delle imprese, è stata introdotta o migliorata durante la crisi Coronavirus da un ulteriore 17%. I servizi digitali, come newsletter, tutorial, webinar, corsi, che erano forniti dall’8,1% delle imprese, sono stati rafforzati o introdotti da una quota rilevante e sono oggi resi disponibili dal 21,6% delle aziende. Hanno avuto una diffusione non irrilevante anche gli investimenti tecnologici per migliorare la qualità e l’efficacia del sito web, con l’effetto secondario di generare dati sull’utilizzo del web da parte della clientela, essenziali per un’ottimizzazione della gestione. Tali investimenti, che in precedenza riguardavano l’11,2% delle imprese, sono divenuti pratica comune per un altro 12,6%. Per quanto riguarda la comunicazione interna all’impresa, l’utilizzo di applicazioni di messaggistica e di video-conferenza è addirittura triplicato: dal 10,9% di imprese nella fase pre-Covid all’attuale 32%. Facilità d’uso e costi contenuti hanno sicuramente reso questi strumenti la base per lo sviluppo dello smart working. I server cloud e le postazioni di lavoro virtuali a livello centrale, già disponibili nel 9,8% delle imprese, ora riguardano il 27,1% del totale delle imprese, mentre le apparecchiature informatiche fornite ai dipendenti, considerate già adeguate dal 10,2% delle imprese, sono state oggetto di investimento per un ulteriore 18,2%. Anche le applicazioni software più specialistiche per la gestione condivisa di progetti, utilizzate in precedenza dal 6% delle imprese, hanno triplicato la loro diffusione con un +13,2%.

© Riproduzione riservata

Fonte:
logoitalia oggi7