Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali


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Capodanno 2021 di buon auspicio per i pensionandi. Infatti, in senso contrario alla tradizione, c’è una buona notizia: dal 1° gennaio non ci saranno aumenti dell’età di pensionamento. L’Istat ha infatti registrato una variazione irrisoria della «speranza di vita» (pari a 0,025), cioè tale da non produrre effetti modificativi ai requisiti anagrafici di pensionamento. Dopo cinque anni di continuo allontanamento dell’età per la pensione, fino a 11 mesi (5 mesi solo da gennaio 2019, che si sono aggiunti ai 4 mesi dal 2016 e ai due dal 2013), c’è una tregua di quattro anni, 2019/2022, durante i quali resterà stabile a 67 anni, come oggi, l’età per la pensione di vecchiaia e quella per l’assegno sociale (la prossima verifica ci sarà dal 1° gennaio 2023). E pensare che fino al 31 dicembre 2012 la pensione di vecchiaia si riceveva a 66 anni (uomini) o 62 anni (donne). La novità va a favore soprattutto di quanti spegneranno le 67 candeline negli anni 2021 e 2022, i quali non dovranno lavorare «qualche mese in più», come si potevano aspettare negli anni passati.
Un anno ancora di Ape sociale e di opzione donna. Non chiuderanno i battenti il prossimo 31 dicembre, perché la Manovra 2021 concede un anno ancora di vita, fino al 31 dicembre 2021. La prima misura (Ape sociale) si rivolge a chi compia, nel corso del prossimo anno (e a chi li ha già compiuti), i 63 anni d’età, dando la possibilità di mettersi a riposo prima del tempo, in attesa di maturare l’età per la pensione di vecchiaia (67 anni fino al 31 dicembre 2022), con il riconoscimento di un sussidio mensile il cui importo massimo può arrivare a 1.500 euro lordi (a carico dello stato). La seconda misura, anch’essa di prepensionamento (di anticipo, cioè, del riposo da lavoro) è opzione donna, che dà la possibilità d’incrociare le braccia alle lavoratrici, dei settori pubblico e privato, dipendenti o autonome, che entro il 31 dicembre 2020 hanno compiuto 58 anni d’età se lavoratrici dipendenti ovvero 59 anni d’età se lavoratrici autonome, in presenza anche di almeno 35 anni di contributi, che riceveranno la pensione calcolata con il sistema contributivo dopo una «finestra» di attesa di 12/18 mesi. Primo a potersene avvalere è il personale delle scuole, che dovrà decidere se presentare la domanda entro il prossimo 28 febbraio 2021.
Nella (rin)corsa al 110% attenti a non inciampare, tra i vari ostacoli di documenti e certificazioni, in un reato: e il primo monito va ai professionisti. Infatti, vista l’importanza che assumono nel procedimento, è necessario interrogarsi sulla natura delle varie attestazioni previste dal legislatore e sui possibili risvolti penali derivanti nel caso in cui queste abbiano carattere mendace. Le dichiarazioni previste per il bonus. La normativa descrive diverse dichiarazioni aventi natura certificativa o attestativa, quali l’Ape, attestato di prestazione energetica, indicata dall’art. 119 comma 3 decreto Rilancio, il visto di conformità, di cui al comma 11, e le asseverazioni previste nelle lett. a) e b) del c. 13 della stessa disposizione.
L’acquisto e la vendita di cripto-asset viene considerato semplice, un po’ come fare il trading on line ma per la maggioranza degli italiani i bitcoin restano soprattutto un mezzo di pagamento. Sono questi i risultati emersi dai sondaggi fatti in occasione del webinar «Criptovalute: inquadramento giuridico e fiscale. Dove depositarle e possibile ruolo della fiduciaria» svoltosi il 15 dicembre scorso e che ha visto la partecipazione in qualità di relatori, tra gli altri, di Ferdinando Maria Ametrano, co-founder e ceo di CheckSig, di Massimo Giuliano, membro del gruppo di esperti blockchain e distributed ledger technology del Mise e di Salvatore Tramontano, esperto di fiscalità e criptovalute.
Da venerdì 1° gennaio 2021 l’Unione europea, per la prima volta nella sua storia, sperimenta gli effetti di una riduzione del proprio territorio. L’accordo di recesso del Regno Unito del 31 gennaio 2020 aveva previsto una fase transitoria che termina, appunto, alla mezzanotte di San Silvestro. Un minuto dopo, la Gran Bretagna diventa un paese extracomunitario anche ai fini dell’Iva, mentre l’Irlanda del Nord continua ad applicare le regole Ue, ma soltanto per gli scambi di beni; pertanto, come anticipato da ItaliaOggi il 13 agosto scorso, all’Irlanda del Nord è stato attribuito, ai fini dell’applicazione dell’Iva comunitaria, il codice identificativo XI (direttiva 2020/1756 del 20 novembre 2020). Dal punto di vista dei principi sostanziali, nei rapporti tra imprese non cambia molto: le vendite di merci dall’Ue a Uk (eccettuata l’Irlanda del Nord) diventano esportazioni e non più cessioni intracomunitarie, ma rimangono esentate dall’Iva, mentre le vendite nella direzione opposta configurano importazioni e non più acquisti intracomunitari, pur sempre imponibili. Sul piano degli adempimenti, invece, è tutta un’altra musica, a cominciare dalle formalità doganali al passaggio di frontiera, per proseguire con la modalità di assolvimento dell’Iva all’importazione (pagamento in dogana anziché registrazione del debito in contabilità). Senza dire delle procedure di identificazione delle imprese Ue che effettuano operazioni in territorio Uk e viceversa, che in mancanza di un accordo dovranno essere riviste alla luce dell’inapplicabilità delle semplificazioni previste per le imprese Ue. Sotto questo profilo, anche le imprese extracomunitarie subiranno le conseguenze della Brexit: quelle che hanno scelto di identificarsi nel Regno Unito ai fini del regime semplificato «mini one stop shop», infatti, dovranno rinnovare l’identificazione in uno dei 27 paesi membri. Ma vediamo più in dettaglio cosa cambia dal 1° gennaio 2021 nei rapporti tra imprese.
Il rilancio passa anche e soprattutto dalla digitalizzazione. La vendita di beni o servizi mediante un proprio sito di e-commerce, adottata prima della crisi Covid-19 dal 9,2% delle imprese italiane con 3 addetti e oltre (circa 90 mila imprese), è quasi raddoppiata e riguarda attualmente il 17,4% delle stesse. Si stima, quindi, che circa 170 mila imprese dispongano attualmente di siti web destinati al commercio elettronico. Inoltre, prima della crisi il 2,7% imprese utilizzava piattaforme digitali che operano come intermediari commerciali per l’offerta online di prodotti e servizi, con l’emergenza tale quota è salita al 6,5%, pari a circa 64 mila imprese. È quanto emerge dalla lettura della seconda edizione del rapporto dell’Istat «Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza Covid-19».

  • Il decollo del 110% alla prova dei fatti tra modifiche 2021 e cessione crediti
  • Rischio-contenzioso in agguato dagli appalti alle asseverazioni
  • Investire nei Pir: tax credit contro le perdite
Rilanciare gli investimenti in piani individuali di risparmio a lungo termine (Pir). È questo l’obiettivo del nuovo credito di imposta in caso di perdite previsto da uno degli emendamenti alla manovra 2021 approvati dalla Camera. Introdotti nel nostro ordinamento con la legge di Bilancio 2017 ed oggetto di numerose modifiche, da ultimo con il decreto Agosto, i Pir sono uno strumento di risparmio gestito e mirano a veicolare le scelte delle persone fisiche verso l’economia reale e, in particolare, verso le imprese italiane di piccole e medie dimensioni. A fronte del mantenimento dell’investimento a portafoglio per almeno cinque anni, garantiscono la completa detassazione dal reddito, ordinariamente assoggettato ad aliquota pari al 26% (o 12,5% nel caso dei titoli di Stato), e l’esenzione dall’imposta di successione. L’accesso a questi strumenti si realizza attraverso investimenti qualificati effettuati tramite una vasta platea di intermediari, investimenti quali quelli in Oicr aperti e contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione e Fia (Eltif, fondi di private equity, fondi di private debt e fondi di credito).
  • Boom di clienti che non pagano: il creditore potenzia il filtro delle indagini
La crisi economica generata dal Covid-19 fa aumentare le insolvenze tra le aziende che utilizzano i crediti commerciali, vale a dire le dilazioni di pagamento concesse dai loro fornitori. Tanto che questi si preparano a cambiare l’approccio al credito. Le parole d’ordine sono più prudenza e più indagini investigative al momento della valutazione preventiva. E monitoraggio più stretto dei clienti una volta concesso il credito, prima di attivare la fase di recupero vera e propria. È il quadro che emerge dall’indagine sulla gestione del credito condotta da Abbrevia Spa insieme all’Associazione credit manager Italia (Acmi), che riunisce oltre 600 professionisti del credito che lavorano nelle aziende, perlopiù di grandi dimensioni e multinazionali.
  • Furto in «cassetta», sì al giuramento sui beni depositati