di Leonardo Comegna
Il prossimo anno gli assegni pensionistici resteranno fermi per via dell’andamento negativo dell’inflazione nei primi tre trimestri del 2020. Il provvedimento fissa in misura definitiva il tasso di adeguamento all’inflazione dei trattamenti erogati nell’anno 2020 rispetto al 2019 e indica, in via previsionale, la misura dell’inflazione da applicare dal 2021 rispetto all’anno precedente. Il decreto ha quindi fissato la rivalutazione per il 2020 in misura pari allo 0,5%, contro il dato previsionale dello 0,4% individuato nel Decreto del 16 novembre 2019, e ha fissato allo 0% il tasso previsionale di inflazione da applicare dal 1° gennaio 2021 sulle pensioni. A dire il vero, tale dato è stato registrato in negativo dello 0,3% ma il valore, per via del dl Poletti, ex ministro del lavoro, non può risultare inferiore a zero.

Conguaglio 0,1%. Nonostante l’andamento negativo dell’inflazione, dal 1° gennaio 2020 gli assegni subiranno un conguaglio a credito dello 0,1%, rispetto all’importo in godimento al 31 dicembre 2019, con l’attribuzione nello stesso mese di gennaio di un una tantum per recuperare la minore indicizzazione concessa provvisoriamente a inizio anno, rispetto al dato definitivo appena certificato (0,5% contro lo 0,4% per l’appunto). I suddetti aumenti troveranno applicazione sulle fasce di perequazione delle pensioni nelle misure già mutate con la legge n. 160/2019 dal 1° gennaio 2020. La novità, tradotta in cifre, significa che l’anno prossimo i pensionati vedranno mediamente crescere l’assegno tra uno e due euro lordi mensili (a seconda della classe dell’assegno), con un conguaglio una tantum, oscillante tra i 10 e i 26 euro, per il recupero della minore rivalutazione concessa durante l’anno 2020.

Effetto trascinamento. Vale la pena sottolineare che il blocco della rivalutazione non interessa solo le annualità in cui ha effettivamente operato il congelamento, ma si trascina in modo strutturale in tutti gli anni successivi. La mancata indicizzazione riduce la base del rateo di pensione su cui ogni anno si applica la perequazione e, quindi, l’importo messo in pagamento risulta ogni anno inferiore. Non bisogna dimenticare che dal 1992 tutte le rendite non sono più agganciate agli aumenti contrattuali dei lavoratori in attività, ma solo all’inflazione (e in modo parziale). (riproduzione riservata)

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