di Marco Capponi
C’è un’emergenza nell’emergenza sanitaria o, peggio, un paradosso: curarsi è diventato per molti italiani un bene di lusso al quale troppo spesso bisogna dire di no. Il dato, quanto mai allarmante, arriva dall’ultimo rapporto di Intesa Sanpaolo Rbm Salute in collaborazione con il Censis, che parte da una riflessione: il sistema sanitario pubblico è vicino al punto di saturazione, e senza il contributo di strumenti privati come fondi e polizze rischia di non garantire le cure indispensabili a migliaia di persone. Di fronte all’insorgere di malattie croniche più di un italiano su due (il 52%) è costretto a rinunciare alle cure private e il 27% ricorre a prestiti e credito al consumo. Al 2019 la spesa sanitaria privata pro-capite media è pari al 3,31% del reddito disponibile, ma passa al 7,17% per gli over 60. Per le persone non più autosufficienti il valore è del 9,77%: gli analisti definiscono questa incidenza «catastrofale». E mentre i cittadini che hanno stipendi elevati possono considerare la spesa sanitaria privata come residuale (0,69% per ingressi superiori ai 100 mila euro), per i più poveri il peso è insostenibile: nella fascia reddituale tra zero e 15 mila euro si sale al 3,52%. «La spesa sanitaria privata», si legge nel report, «colpisce gli anziani e le persone con più fabbisogno di salute, e dall’analisi del paniere denota un carattere regressivo».

Come uscire da questo scenario? La spesa intermediata tramite strumenti di previdenza sta giocando un ruolo molto importante. Negli ultimi quattro anni, a fronte di redditi stabili, l’ammontare medio dei premi rimborsati dalla sanità integrativa è passato da 408 a 455 euro, interessando soprattutto i lavoratori dipendenti (53%). E se in Lombardia e nel Lazio il ricorso alle polizze sanitarie è ormai quasi una prassi (rispettivamente il 57% e il 40% dei cittadini sono assicurati), in Sardegna, Umbria, Calabria, Valle d’Aosta e Trento non si arriva neanche al 5%. Per le persone meno abbienti ricorrere alla spesa intermediata significa ridurre le spese di tasca propria di valori fino al 48%.

Il Covid-19 ha portato alla ribalta il tema, costringendo a ripensare il modo stesso in cui vengono fornite le cure: durante la pandemia un italiano su tre ha dovuto rinviare le prestazioni sanitarie, e in un contesto simile le buone pratiche sul fronte del vaccino stanno risolvendo solo una parte, quella forse meno impellente, del problema. Secondo gli analisti la situazione richiede la creazione di sinergie tra settore pubblico e privato. In particolare, nota Nicola Fioravanti, responsabile della divisione assicurativa di Intesa Sanpaolo, «lo studio evidenzia come per rafforzare la tutela della salute sia necessario favorire una maggiore collaborazione tra sanità pubblica e privata, garantendo nel contempo, attraverso la sanità integrativa, una maggiore opportunità di accesso anche alle cure erogate al di fuori del Servizio Sanitario Nazionale». Una chiamata all’azione, in sostanza: oggi più che mai serve un «secondo pilastro sanitario complementare». (riproduzione riservata)

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