di Anna Messia
Cattolica Assicurazioni diffida Banco Bpm dall’esercitare l’opzione per il riacquisto del 65% delle due joint venture bancassicurative Vera Vita e Vera Assicurazioni al prezzo di 355,77 milioni di euro. Allo stesso tempo minaccia una richiesta di risarcimento di oltre 500 milioni, adducendo anche i risultati commerciali delle due società inferiori alle attese, e dà alla banca guidata da Giuseppe Castagna un ultimatum di sette giorni lavorativi per fornire «adeguato, circostanziato, motivato e collaborativo riscontro» alla lettera inviata ieri sera alla banca in cui i legali della compagnia veronese smontano punto per punto la tesi del change of control. Si tratta della clausola prevista dalla accordi tra i due partner secondo la quale scatterebbe il diritto al riacquisto delle quote delle joint venture al prezzo prefissato di 355,77 milioni nel caso in cui Cattolica passi sotto il controllo di un altro gruppo assicurativo che al suo interno ha anche una banca. Ipotesi che, secondo la tesi di Banco Bpm, si sarebbe concretizzata nei mesi scorsi dopo che Generali (che controlla Banca Generali) sottoscrivendo l’aumento di capitale di 300 milioni della compagnia guidata da Carlo Ferraresi ne è diventata azionista con il 24,4%. Secondo il Banco, come reso noto al mercato il 15 dicembre, gli ampi accordi industriali firmati nei mesi scorsi tra Cattolica e Generali rappresenterebbero un controllo di fatto di Trieste su Verona, reso ancor più stringente dal veto assembleare e consiliare concesso al Leone su un ampio spettro di materie. Ieri è arrivata la risposta di Cattolica, che sottolinea che Generali non determina la maggioranza in assemblea, visto che tra l’altro la compagnia ad oggi è ancora una società cooperativa. La trasformazione in società per azioni, come noto, sarà operativa solo da aprile (quando la clausola del change of control sarà ormai decaduta automaticamente) e nel frattempo «Generali resta un voto capitario e, dunque, non si comprende come un solo voto sia sufficiente per orientare la volontà dell’assemblea ordinaria», ribattono da Verona, sottolineando che «in alcun modo, neanche per approssimazione» Generali ha «la maggioranza in consiglio». Non solo: «Quanto riconosciuto in via parasociale, e poi in parte tradotto in alcune clausole statutarie, non comporta neanche minimamente un’influenza dominante sulla gestione di Cattolica in capo a Generali, ma solo una rafforzata tutela della stessa come investitore assai rilevante», si legge ancora nella lettera inviata ieri e consultata da MF-Milano Finanza. Riguardo gli accordi industriali, «lungi dal dar luogo a concentrazioni od intese restrittive, rispondono a un reciproco interesse e non v’è norma o principio che impedisca a due imprese pur concorrenti di collaborare appunto nel reciproco interesse».

Palla al centro, quindi, ma con meno di una settimana di tregua, visto l’utimatum fissato da Verona. Giusto il tempo di far passare il Natale ma intanto, come anticipato da MF-Milano Finanza il 15 dicembre, Cattolica minaccia richieste di risarcimenti da capogiro ricordando che solo due anni fa aveva sborsato per quelle stesse compagnie 755,45 milioni e nel frattempo c’è stato anche un aumento di capitale di Vera per 32,5 milioni. Cattolica è pronta quindi a chiedere indietro la differenza di 452 milioni cui aggiungere i danni subiti in questi giorni per il calo del titolo in borsa e per i risultati commerciali inferiori agli obiettivi (Vera Vita, per esempio, a settembre era indietro dell’82% rispetto ai target 2020). (riproduzione riservata)

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