di Anna Messia
La remunerazione degli amministratori delegati delle grandi banche e delle principali compagnie di assicurazione quotate a Piazza Affari è del 30% più alta rispetto a quella dei ceo di grandi aziende che operano in altri settori. Il dato emerge dalla 20esima edizione del rapporto annuale di Assonime sulla corporate governance. La retribuzione effettivamente percepita dagli amministratori delegati lo scorso anno è stata in media di 2,8 milioni per le società più grandi, 1,8 milioni per quelle di dimensioni medie e 600 mila euro per le piccole compagnie. Cifra che sale a 3,5 milioni se ci si concentra esclusivamente sulle società finanziarie. «Per banche e compagnie di assicurazione si registra un minor peso della componente variabile, come raccomandano le autorità di vigilanza», ha spiegato Marcello Bianchi, vicedirettore di Assonime, aggiungendo che lo scorso anno c’è stata una generalizzata diminuzione della quota variabile (-30%) collegata all’andamento dei titoli. Insomma, banchieri e assicuratori hanno guadagnato di più non solo perché hanno forti responsabilità nella gestione dei loro business finanziari ma anche perché la loro remunerazione è meno dipendente dalle fluttuazioni delle quotazioni azionarie delle società che gestiscono. Non solo; ci sono anche significative differenze a seconda della struttura del controllo societario: nelle società prive di un azionista forte i ceo guadagnano in media il 10% in più nelle piccole società e l’incremento retributivo raggiunge il 50% nelle società di medie dimensioni e addirittura il 75% nelle large company. Questo perché se i manager sono anche proprietari dell’impresa si assegnano una remunerazione più contenuta, visto che il loro guadagno è legato al buon andamento dell’impresa.

La buona notizia che emerge dalla fotografia scattata da Assonime alla corporate governance delle società quotate a Piazza Affari è che non c’è alcun «gender gap» nella remunerazione dei manager e degli amministratori. Le donne insomma vengono pagate come gli uomini nei loro incarichi. La cattiva notizia è che continua a essere piuttosto rarefatta la presenza di donne negli incarichi esecutivi, limitata al 7% tra i presidenti e al 5% tra i ceo. Mentre nei cda, dove le donne sono prossime alla percentuale minima delle quote rosa fissata a fine 2019 (40% del totale dei consiglieri), è molto frequente il fenomeno dell’interlocking «rosa», con più di metà degli 82 amministratori che sono donne che ricoprono tre o più incarichi in differenti consigli di amministrazione.

Nei suoi oltre 20 anni di vita il maggior successo del codice di corporate governance è rappresentato comunque dal peso e dalla qualità raggiunta dagli amministratori indipendenti (introdotti proprio con il codice del 1998), che sono privi di legami che possano condizionarne l’autonomia di giudizio. Figure che occupano ormai circa la metà delle poltrone dei cda e la quota sale al 60% per le società del Ftse Mib. Attraverso i comitati specializzati costituiti all’interno dei board gli indipendenti guidano il processo di gestione dei rischi, le policy di remunerazione, le operazioni con parte correlate o la scelta dei candidati nei cda quando lo statuto assegna al consiglio uscente il compito di formare una sua lista, sottolineano da Assonime. Viene osservato che anche guardando a queste figure ci sono differenze di remunerazione tra settore finanziario e settore industriale: gli indipendenti di banche e assicurazioni guadagnano il doppio rispetto a quelli di altre società.

La sfida per il futuro è applicare il nuovo codice sulla corporate governance che partirà a gennaio 2021, metterà al centro la sostenibilità e adatterà le regole di governance alla dimensione delle società rendendo tra l’altro vincolante dare trasparenza sui piani di successione: ad oggi solo 64 società hanno indicato che cosa fare in caso di improvviso abbandono del ceo. Erano 29 nel 2016 e 54 nel 2019. Ora tocca a tutte. (riproduzione riservata)
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