Le proteste in Francia per la temuta stretta del sistema pensionistico riportano l’attenzione su quant’è indispensabile la previdenza integrativa. Che però anche in Italia registra poche adesioni. Ma, come dice un’analisi di Progetica, i fondi fanno la differenza
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La Francia in questo momento è luogo di duri scontri per la riforma delle pensioni che il presidente Emmanuel Macron vuole introdurre. Il progetto di legge è duramente contestato da sindacati e lavoratori, ma il primo ministro Edouard Philippe ha intenzione di farlo approvare in tempi brevi per portarlo in Parlamento alla fine di febbraio. Sarà una revisione dell’intero impianto normativo che punta a introdurre criteri di equità. L’età pensionabile resterà invariata a 62 anni, «un principio di libertà a cui vogliamo restare fedeli», ha detto Philippe. Ma «dobbiamo invitare i francesi a lavorare più a lungo». Il premier poi ha parlato di un’aliquota supplementare per i redditi superiori a 120 mila euro come misura di solidarietà sociale. «I nostri figli e i nostri nipoti non dovranno finanziare il deficit che abbiamo creato». E ha annunciato che con la riforma del sistema pensionistico, duramente criticato con gli scioperi degli ultimi giorni, «garantiremo una pensione minima di 1.000 euro al mese». «Una conquista sociale», ha aggiunto Philippe presentando il progetto di riforma sottolineando che i part-time «non saranno penalizzati» da questa scelta.
Ma i francesi protestano perché temono che possa essere scardinato un impianto ancora molto privilegiato rispetto ad altri sistemi previdenziali, primo fra tutti quello italiano dove da sette anni, con la riforma dell’allora ministro della previdenza Elsa Fornero, l’età della pensione era stata alzata a 66 anni (oggi 67 anni per la maggiore speranza di vita), introducendo il sistema contributivo per tutti al posto del più generoso retributivo che valeva per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996 (per questi il contributivo è applicato pro-quota dal 2012). E così i lavoratori italiani si sono trovati a fare i conti non soltanto con un traguardo alla pensione che si è allontanato di cinque o sei anni, ma anche con un assegno pubblico agganciato ai contributi versati e non più al ben più generoso metodo retributivo, che lo legava agli ultimi stipendi. In un mondo del lavoro che oggi è caratterizzato da carriere discontinue e spesso con stipendi bassi, diventa quindi essenziale rimpolpare la pensione pubblica che da sola rischia di non bastare più ad assicurare una vecchiaia più serena.
«La previdenza complementare si trova oggi a svolgere un ruolo sempre più importante come integrazione del primo pilastro, ma ha davanti a sé molte sfide e le si impone la necessità di evolvere per fornire una risposta adeguata ai bisogni delle persone e al quadro economico-previdenziale», dice Oreste Gallo, presidente di Cometa, il più grande fondo pensione negoziale in Italia (lavoratori dell’industria metalmeccanica e del settore orafo e argentiero) con 408 mila aderenti e un patrimonio totale di circa11 miliardi di euro.
Cometa ha individuato tre grandi temi sui quali lavorare per il prossimo periodo. Innanzitutto, gli investimenti nell’economia reale che in questa fase sono diventati un asset sui quali gli investitori istituzionali sono chiamati a fare più di una riflessione per variare i portafogli di fronte alla diminuzione di rendimenti interessanti nelle attività tradizionali come i bond. «Questi asset possono rappresentare una forma di diversificazione del portafoglio che può offrire rendimenti interessanti, a condizione che siano rispettati i requisiti dell’investimento previdenziale, e al tempo stesso contribuire al sostegno e al rilancio dell’economia nazionale», avverte Gallo.
Il presidente evidenzia che «è però importante costruire fin dalle basi un progetto che sia condiviso tra diversi player della finanza e del welfare, perché possa rispondere davvero alle finalità degli aderenti e alla missione previdenziale di un fondo. Inoltre, fondi come Cometa hanno in sé un capitale straordinario di competenze ed esperienze che può dare un contributo significativo al tema».
Proprio in questo periodo Cometa si sta confrontando con soggetti come Assofondipensione e Cdp per un progetto a riguardo. Il problema è che la previdenza complementare si trova a confrontarsi con tassi di adesione ancora bassi. Nel caso di Cometa, gli iscritti sono circa un terzo del bacino di riferimento potenziale. «È quindi fondamentale operare per un incremento della base aderenti in modo da estendere le tutele a una fetta sempre maggiore di lavoratori», spiega Gallo, «inoltre, incrementare le adesioni significa anche rafforzare l’efficienza e la stabilità finanziaria del fondo, condizione necessaria per avviare un percorso che guardi agli investimenti nell’economia reale».
Un aumento dell’adesione ai fondi pensione è necessario perché la coperta pubblica è corta. E di questo i lavoratori si rendono conto dato che vivono una fase in cui l’economia italiana stenta a riprendersi. «C’è stata una recente ricerca del Mefop, sui principali fattori di preoccupazione degli italiani in età lavorativa, che mi ha molto colpito: il 39% indica la perdita del lavoro, una quota analoga l’inadeguatezza delle pensioni e il 38% la salute», aggiunge Gallo.
Cometa ha elaborato assieme all’Inps una stima del tasso di sostituzione complessivo che il primo e secondo pilastro generano per i metalmeccanici. La stima per il primo pilastro è di circa un 60%. «Per Cometa abbiamo elaborato un modello specifico per valutare i tassi di sostituzione: per i trentenni che aderiscono, il valore medio atteso è di circa il 20%. Ciò significa che coloro che hanno aderito a Cometa ovvero il 30% del bacino complessivo dei metalmeccanici, avranno una pensione pari al 60% più il 20%, ovvero l’80% del salario, vale a dire che potranno disporre di un buon capitale per il domani», sottolinea Gallo. Il 70% restante invece dovrà far conto sulla sola pensione pubblica «e avrà di fronte un futuro di precarietà. Quella che chiamo una cronaca di una crisi sociale annunciata», evidenzia Gallo.
Il tema dell’incremento delle adesioni riguarda in particolare come intercettare le giovani generazioni, dove la quota di iscritti alla previdenza complementare è minore. Un passo avanti in questa direzione può venire, anche, dalle nuove tecnologie e questo rappresenta il terzo tema nel quale il fondo si sta concentrando. «È importante adottare un approccio aperto al digitale e all’innovazione tecnologica per raggiungere in primis il mondo dei giovani, intercettandone le esigenze e parlando linguaggi più vicini a loro. Oggi molte delle tecnologie disponibili sono orientate al lato della spesa, più che del risparmio. Ma proprio dalle nuove tecnologie a mio avviso possono anche arrivare le basi per la creazione di una vera e propria cultura del risparmio che rimetta al centro l’importanza della lungimiranza e di costruire la solidità del proprio futuro», conclude Gallo.
Intanto MF-Milano Finanza ha chiesto a Progetica, società indipendente di consulenza in educazione e pianificazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, di elaborare delle simulazioni su quanto occorre versare per ottenere, quando il traguardo della pensione sarà finalmente raggiunto, una copertura che permetta di contare sul 100% dell’ultimo stipendio. Dall’analisi appare chiaro il ruolo chiave che può avere il trattamento di fine rapporto (tfr) a fini previdenziali. Come ricorda Andrea Carbone di Progetica: «Il tfr è sicuramente un grande alleato, soprattutto per chi ha più tempo di fronte a sé, perché da solo permette di ridurre notevolmente la scopertura. Di conseguenza la percentuale del proprio reddito che va versato in previdenza integrativa, ipotizzando che il datore di lavoro ne versi altrettanta, è gestibile per 30-40-50enni, mentre sale notevolmente soltanto per gli over cinquantenni». Certo è importante anche la scelta che si fa in termini di fondo e di linea in cui investire. Infatti se si scelgono linee a rischio basso sale il livello di contributo individuale da versare e, viceversa, questo si riduce se si opta per linee di fondi a rischio medio-alto. Anche in questo caso il tempo è un alleato perché nel lungo termine gli asset più rischiosi remunerano meglio gli investitori, ma bisogna evitare la tentazione del market timing. Come ricordano da Fidelity International: «Ci vuole il giusto orizzonte temporale, bisogna dare ai risparmi tutto il tempo possibile per crescere, quanto meno dieci anni. Beneficerai anche dell’effetto capitalizzazione, quando l’interesse o il reddito sul tuo capitale iniziale comincerà anch’esso a fruttare e a crescere. Poi bisogna rimanere investiti anche se non mancheranno i periodi di volatilità. I ribassi dei mercati sono una caratteristica naturale dei mercati azionari. Durante queste fasi è possibile che le emozioni abbiano la meglio sulla razionalità, mentre è bene restare concentrati sugli obiettivi di lungo termine».
Da Fidelity International aggiungono: «No al market timing, resisti alla tentazione di modificare il tuo portafoglio in risposta ai movimenti temporanei del mercato. Il market timing funziona molto raramente nella pratica, mentre quasi sempre preclude gli investitori da eventuali guadagni. La regola d’oro è lasciare ai propri investimenti il tempo sufficiente per realizzare il proprio potenziale». (riproduzione riservata)

Forno (Laborfonds): restare fuori può costare caro

di Carlo Giuro

Come rilanciare la previdenza complementare, considerando la sua sempre maggiore importanza nell’architettura complessiva del sistema pensionistico dell’Italia? Una risposta arriva dal fondo pensione negoziale Laborfonds, guidato dal direttore generale Ivonne Forno. Domanda. Come nasce Laborfonds? Risposta. Laborfonds è un fondo negoziale territoriale i cui potenziali aderenti sono i lavoratori di aziende o enti che operano prevalentemente in Trentino-Alto Adige, più i loro soggetti fiscalmente a carico. Ma a differenza dei fondi negoziali nazionali, come ad esempio Cometa o Fonchim, rispettivamente il fondo pensione dei metalmeccanici e dei chimici, Laborfonds ha la caratteristica di essere intercategoriale. All’interno del contesto regionale Laborfonds raccoglie quindi lavoratori di tutte le categorie, sia del settore privato, sia pubblico: applichiamo più di 500 contratti collettivi. Se un nostro aderente si sposta o cambia datore di lavoro, sempre rimanendo nel contesto regionale, Laborfonds resta il suo fondo di riferimento. Prevedendo inoltre la possibilità di far aderire anche i soggetti fiscalmente a carico, dunque i figli, possiamo proporci alle famiglie della nostra regione e diventare il loro libretto di risparmio, creando un sistema di accumulo tra generazioni. D. I vostri numeri? R. Alla fine di ottobre i nostri aderenti hanno superato quota 123.800: siamo il quarto fondo su scala nazionale per patrimonio, con oltre 3 miliardi di euro, pur raccogliendo soltanto nella regione Trentino-Alto Adige. Il tasso di adesione, rispetto al potenziale, si avvicina al 50% ed è in costante crescita, nonostante la concorrenza da parte di altre forme pensionistiche complementari. Dati significativi riguardano l’adesione delle donne, perché da due anni il numero delle aderenti ha superato quello degli uomini, dei giovani under 30, le cui iscrizioni sono in aumento, e dei soggetti fiscalmente a carico cioè perlopiù dei figli. Peraltro le nuove generazioni sono quelle che più hanno bisogno della previdenza complementare. Si tratta di numeri importanti, frutto di iniziative poste in essere dal fondo anche attraverso i canali social. D. Come si struttura una forma pensionistica su base territoriale? R. La nostra operatività ha preso avvio nel 2000, nell’ambito del programma di previdenza complementare della Regione Trentino-Alto Adige denominato Progetto Pensplan, che rappresenta ancora oggi un unicum a livello nazionale in termini di sviluppo della cultura
previdenziale sul territorio. Nel 1997, in maniera lungimirante, la Regione Trentino-Alto Adige ha approvato una legge con la quale ha istituito una società, Pensplan Centrum, il cui obiettivo è di promuovere l’adesione alle forme pensionistiche complementari e di sviluppare un sistema di protezione dei cittadini e delle cittadine nei diversi momenti del ciclo di vita, nell’ambito di un welfare complementare regionale. Non a caso il nostro tasso di adesione alla previdenza complementare è doppio di quello a livello nazionale. D. Quale è il rapporto con il territorio anche in termini di investimento? R. A Laborfonds una cosa è sempre stata certa: la salute del fondo pensione deriva dalla salute delle aziende e del territorio nel quale operano. Riteniamo in parte di averlo realizzato con la partecipazione a due importanti progetti, per un commitment nell’ordine di 60 milioni di euro: il Fondo Strategico TrentinoAlto Adige, comparto di private debt che investe in minibond di aziende del territorio, effettua operazioni di direct lending, è
strumento di finanziamento delle imprese in aggiunta al canale bancario, e il Fondo Housing Sociale Trentino, veicolo immobiliare di housing sociale che realizzerà 516 alloggi locati a canone moderato alle famiglie residenti in Trentino. D. Come vi muovete sul tema dell’educazione previdenziale? R. Riguardo alla previdenza complementare, solo la consapevolezza del bisogno della stessa porta all’adesione alle varie forme pensionistiche. Anche la non adesione, l’essere passivi di fronte alle situazioni sono comportamenti che non sono neutrali, ovvero ad impatto zero. Nel caso della previdenza complementare, il lavoratore che non aderisce rinuncia alla contribuzione che il suo datore di lavoro è tenuto a versare a suo favore in base alle previsioni del suo contratto collettivo. Non aderire si
gnifica rinunciare a una voce della propria retribuzione. Nelle nostre presentazioni e assemblee nelle aziende cerchiamo di illustrare chiaramente qual è la differenza fra le varie forme pensionistiche complementari, ovvero fondi pensione negoziali, aperti e pip. Difficilmente parliamo dei rendimenti passati, al netto della diversa rivalutazione che il tfr ottiene se lasciato in azienda o conferito al fondo pensione; preferiamo parlare del diverso regime dei costi e dei vari benefici fiscali che si ottengono dall’adesione alla previdenza complementare, delle possibilità di modulare la propria adesione anche scegliendo una percentuale di contribuzione relativamente bassa. La grande differenza che c’è fra i fondi negoziali e le altre forme pensionistiche, quali i fondi aperti e i pip, è che, pur essendo tutti istituiti per creare una copertura previdenziale di secondo pilastro, le seconde sono prodotti previdenziali di tipo commerciale, mentre Laborfonds e tutti i fondi pensione negoziali sono associazioni senza scopo di lucro. Questa è la ragione
di fondo per cui i negoziali hanno un tenore dei costi decisamente più basso delle altre forme pensionistiche complementari. D. Che cosa suggerisce per sviluppare la previdenza complementare? R. Si dovrebbe capovolgere il meccanismo rispetto ad ora: da adesione esplicita ad adesione di default, salvo diversa volontà dei lavoratori. Si tratta di una questione strategica di cui la politica si dovrebbe occupare. Basta guardare i dati Inps, i tassi di sostituzione connessi al sistema contributivo, per arrivare alla conclusione che è necessario cambiare rotta prima possibile. Il risparmio previdenziale si costruisce con il tempo: se il tempo è tanto la posizione aperta al fondo pensione si riempie anche con il cadere di singole gocce, ovvero con i contributi periodici e il tfr. (riproduzione riservata)

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