Con l’emendamento alla legge che vincola il 3% verso le pmi quotate, il nuovo flusso favorirà i collocamenti all’Aim. In questi due anni il segmento ha dimostrato di resistere meglio di altri agli scossoni del mercato
di Elena Dal Maso

Quasi 20 miliardi di euro (18,9) sono fluiti nei Pir da gennaio 2017 allo scorso settembre. Sull’Aim però sono arrivati pochi soldi, appena 327 milioni, perché i gestori hanno investito 6,14 miliardi nelle società di Piazza Affari del listino principale e dello Star, che hanno dimensioni decisamente maggiori e sono più liquide, e per 6,76 miliardi in obbligazioni, etf e strumenti derivati. Buona parte, poi, è finita in denaro e titoli di Stato (5,67 miliardi di euro). Lo ha stimato Ambromobiliare , la società milanese che ha realizzato 36 ipo su Aim delle 118 complessive (comprese le spac), secondo cui, con il vincolo aggiuntivo del 3% proposto dal deputato della Lega, Giulio Centemero, potrebbero arrivare altri 400 milioni di euro.
E così l’effetto Pir sull’Aim sarebbe più che doppio. «Sarebbe un notevole volàno per le pmi italiane e per Piazza Affari», spiega Alberto Gustavo Franceschini, presidente di Ambromobiliare (intervista qui accanto). I Piani individuali di risparmio, nati all’inizio del 2017, si sono affermati lo scorso anno come uno degli strumenti più apprezzati dagli investitori, anche grazie agli sgravi fiscali riconosciuti a chi li sottoscrive. Ora l’onorevole Centemero ha inserito un emendamento nella Legge di bilancio che introduce nei Pir un vincolo aggiuntivo: investire il 3% del capitale raccolto in titoli non negoziati nei mercati regolamentati, come appunto l’Aim.

Dall’entrata in vigore nel gennaio 2017 i Piani individuali di risparmio hanno raccolto 14,225 miliardi di euro, di cui 10,902 lo scorso anno e 3,34 miliardi (-38,6%) nei primi sei mesi del 2018. Secondo il Pir Monitor di Equita sim aggiornato a fine settembre, la previsione è raggiungere a dicembre 6,5 miliardi. A frenare la raccolta sono stati gli scossoni di borsa da febbraio a oggi, fra dazi e spread. Il leader nella raccolta dei Pir si conferma Banca Mediolanum , con il 21% della quota di mercato, davanti a Intesa Sanpaolo che ha il 19%. In termini di afflussi netti da inizio anno, il top player è però il gruppo guidato da Carlo Messina, in seconda posizione si trova Amundi (27%) e quindi Banca Mediolanum (16%), il cui fondatore Ennio Doris è stato fin dall’inizio un propugnatore dello strumento Pir.

«L’effetto Pir si è visto sull’Aim, se si considera che da gennaio a fine novembre abbiamo assistito a 26 nuove quotazioni, quattro business combination con spac quotate e cinque passaggi al mercato Mta», spiega Franco Gaudenti, presidente di EnVent Capital Markets. «Quest’anno l’Aim ha raccolto 1,3 miliardi in ipo, dei quali 1,2 attraverso la formula delle spac (special purpose acquisition company, ndr), che hanno fatto la parte del leone», prosegue. Oggi il segmento capitalizza 7,1 miliardi di euro alla fine di novembre.
Per Alberto Villa, capo della ricerca, e Andrea Randone, a capo della mid & small cap research di Intermonte, «anche se la raccolta dei Pir è molto rallentata da un anno all’altro, 10,9 miliardi nel 2017 contro 3,79 miliardi nei primi 11 mesi del 2018 a causa anche della forte volatilità dei mercati, l’afflusso netto resta sempre positivo. Questo grazie anche ai piani di investimento, i pac, che acquistano titoli periodicamente, mediando in tal modo il prezzo delle azioni». Quanto alla proposta di destinare una parte dei flussi all’Aim, «se passerà l’aggiornamento alla legge sui Pir, il 3% convogliato sull’Aim rischia di concentrarsi su un numero ristretto di società più grandi e liquide di altre. Però nel contempo induce i mercati a portare altre pmi a Piazza Affari e quindi favorisce la quotazione delle aziende», aggiungono i due esperti.

E sempre l’Aim ha dimostrato di avere maggiore resilienza rispetto agli altri indici di Piazza Affari. Secondo la banca dati di MF-Milano Finanza, da inizio anno l’indice Ftse Aim Italia ha ceduto il 9,5%, mentre l’indice Star (società ad alti requisiti) nello stesso arco temporale ha perso il 14,3% e il Ftse Mib ha lasciato sul terreno il 14,7%. A un anno, invece, l’Aim è in rosso per il 10,3%, lo Star ha perso il 14,4% e il Ftse Mib ha ceduto il 16,4%. Dall’avvio della legge sui Pir, invece, a gennaio del 2017, l’Aim è in guadagno del 10,8%, lo Star è positivo per il 15,5% mentre l’indice principale è ancora in rosso (-3,1%).

Come funzionano oggi i Pir? I piani individuali di risparmio, già presenti all’estero da anni (Gran Bretagna, Francia, Usa e Giappone) e qui dal gennaio 2017, sono uno strumento nato per incentivare la crescita delle pmi, quotate e non quotate, attraverso l’investimento in azioni, obbligazioni e anche conti correnti bancari. Esistono alcuni vincoli: il 70% di quanto raccolto deve essere destinato a strumenti finanziari (equity o debito) emessi dalle pmi italiane. Ma anche da imprese europee, purché abbiano una stabile organizzazione in Italia. Il restante 30% può essere destinato ad altri strumenti finanziari, anche ai conti correnti o ai conti deposito. Il 30% del primo 70% deve essere investito in titoli che non appartengono al Ftse Mib, quindi escluse le maggiori società di Piazza Affari. Questa quota (21% complessivo del fondo Pir) deve acquistare azioni di società che possono essere quotate sul Mta, sullo Star (dove però ci sono già robuste capitalizzazioni) o sull’Aim. La normativa non prevede ad oggi un vincolo speciale per le aziende dell’Aim, ma questo vincolo potrebbe arrivare a fine mese e trovare applicazione già dal gennaio 2019.

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