Annus horribilis/2. Mifid II obbliga reti e banche a inviare agli investitori entro febbraio un rendiconto che riepiloghi le performance (in molti casi deludenti) e le commissioni pagate dal cliente per gestione e consulenza
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Partono in un momento sicuramente non favorevole i nuovi rendiconti periodici voluti dalla Mifid II che i risparmiatori riceveranno entro febbraio del 2019. Una vera rivoluzione perché questi prospetti dovranno per la prima volta riportare accanto ai risultati ottenuti da ciascun prodotto finanziario nell’anno, anche tutti i costi, in dettaglio, sostenuti dal cliente per l’investimento, e non più soltanto in percentuale, come avviene oggi, ma anche in assoluto, cioè in euro. Quindi il risparmiatore si potrà rendere conto di quanto hanno incassato gestori e consulenti in relazione alla cifra che gli hanno fatto guadagnare (o perdere). Infatti secondo la Mifid II deve essere chiaro quanto il costo abbia influito sulla redditività degli investitori. Non si può escludere, quindi, che ci siano consulenti che abbiano guadagnato più dei clienti visto che i mercati finanziari quest’anno sono andati anche peggio del terribile 2008 quando scoppiò la crisi finanziaria globale (si veda altro servizio).

«L’obbligo di far chiarezza sui costi dei servizi è una delle novità principali della normativa, che cerca di porre fine alla particolarità che da sempre caratterizza l’industria del risparmio gestito, anche e soprattutto in Italia. Quest’industria infatti, era rimasta tra le poche in cui i fornitori di servizi potevano in una certa maniera mascherare il costo addebitato ai clienti dietro strutture complesse e articolate. La Mifid II invece ora obbliga a esplicitare tutti i costi in valore assoluto e non solo in termini percentuali», sottolinea un’analisi di Moneyfarm. Secondo la quale tutte le ricerche basate sul comportamento dei consumatori hanno dimostrato che gli investitori al dettaglio comprendono più facilmente i valori monetari rispetto alle percentuali. «Piccole differenze dei costi espressi in percentuale possono tradursi in grandi differenze dei costi sostenuti dall’investitore al dettaglio espressi in termini monetari», prosegue Moneyfarm. I costi dovranno essere comunicati in modo esplicito e dettagliati in tutte le varie voci. Secondo quanto riporta un consulente che vuole restare anonimo, in questa fase le società di gestione non hanno ancora pronto lo schema dei costi da fornire entro febbraio 2019 e si stanno prendendo tutto il tempo concesso per adeguarsi. Tra gli operatori serpeggia, infatti, molta preoccupazione su come dettagliare i costi ai clienti visto che, come già detto, quest’anno le performance sono state negative e in generale ben pochi i prodotti hanno fatto meglio del benchmark di mercato. D’altra parte la Mifid II chiede che siano riportate le singole voci di costi, ma lascia libertà sul format e sulla modalità di rappresentazione dei dati. Il quadro regolamentare non stabilisce in termini categorici, per esempio, se il rendimento deve essere evidenziato tenendo conto sia delle commissioni, sia degli oneri fiscali. Quindi gli intermediari stanno studiando format che aggregano le commissioni di gestione e di consulenza proprio per addolcire la pillola al cliente. E qui si evidenzia un altro problema, dato la difformità degli schemi ostacola il confronto tra intermediari, mentre un mercato efficiente deve far leva su regole uniformi, evitando così una eccessiva discrezionalità degli operatori. In questo contesto toccherà a chi è a diretto contatto con i risparmiatori, ovvero i consulenti finanziari, spiegare i nuovi prospetti.

A complicare tutto ci sono i segnali d’insoddisfazione che già si registrano da mesi nell’industria del risparmio gestito, come dimostra la frenata dei flussi. In base alla mappa di Assogestioni, la raccolta nei dieci mesi di quest’anno è stata di 12,89 miliardi di euro. Un valore molto debole rispetto allo stesso periodo del 2017 (87,3 miliardi). «Oggi il quadro normativo che disciplina il nostro settore è definito e, anche se alcuni passaggi sono ancora da chiarire, abbiamo acquisito una consapevolezza: il mondo della consulenza finanziaria si deve preparare alla sfida della competitività», ha dichiarato Maurizio Bufi, presidente dell’Anasf, l’associazione nazionale dei consulenti finanziari.

La sfida si giocherà infatti sul campo della contrazione dei margini prevista per il 2019, come ha spiegato una ricerca condotta da McKinsey per Anasf. «La riduzione dei margini che ci aspettiamo dovrà essere distribuita su tutta la catena del valore e i protagonisti dell’industria devono prepararsi fin da ora», ha commentato Bufi. Cosa significa farsi trovare pronti? «Dobbiamo tutti, consulenti finanziari, reti di consulenza, società di gestione del risparmio, puntare all’innalzamento della qualità del servizio perché questa sarà la risposta più efficace per mantenere e incrementare la redditività. Dal lato degli operatori, la qualità non può che essere accresciuta attraverso le conoscenze e le competenze che possiamo mettere a disposizione del mercato e dei risparmiatori», ha aggiunto il presidente Anasf. E c’è chi si sta preparando da tempo ad affrontare i clienti. Equita sim, in un report dello scorso maggio sottolineava i punti di forza del del business model del Gruppo Mediolanum , «in particolare la capacità di affrontare in modo proattivo le nuove sfide, come Mifid II, e di gestire la psicologia dei promotori e dei clienti in modo che continuino a investire anche durante le fasi negative di mercato». Sul fronte della Mifid II, continua Equita , «quasi tutte le reti hanno scelto di dare informativa il più tardi possibile, quindi ad inizio 2019. Banca Mediolanum ha invece deciso di spingere i promotori a incontrare subito i clienti con lo scopo di dare evidenza ai costi e spiegarne la ratio». Dall’altro lato la sim osserva che Banca Mediolanum si è mossa per ridurre i costi a carico del cliente (262 punti base nel 2017), cercando di minimizzare l’impatto sul proprio bilancio: «Stimiamo che per il cliente il costo dei fondi diminuirà di circa 40 punti base».

Intanto in occasione dell’evento ConsulenTia 2018, organizzata da Anasf, Fabio Cubelli, condirettore generale e responsabile area coordinamento affari di Fideuram, ha dichiarato: «Con Mifid II saranno premiati consulenti e aziende che saranno in grado di erogare e di far apprezzare al cliente un livello di servizio adeguato al prezzo pagato. Fare consulenza di qualità significa essere vicini al cliente con professionisti qualificati, competenze specifiche e strumenti sofisticati». Lo scoglio vero per le reti è che ancora più del 50% dei risparmiatori italiani non è in grado di comprendere in cosa consista il servizio di consulenza in materia di investimenti. Il dato è emerso dall’ultimo Rapporto della Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane. «Tra gli elementi che orientano nella scelta dell’esperto, sia questi un consulente o funzionario bancario, si annoverano le indicazioni dell’intermediario di riferimento, la fiducia, i prodotti offerti e le competenze. Nel 37% dei casi gli investitori sono convinti che la consulenza sia gratuita, mentre il 45% dichiara di non sapere se il consulente viene retribuito», si legge nel Rapporto. Che sottolinea anche che «il 50% circa non è disposto a pagare per il servizio. La disponibilità a pagare si associa con la cultura finanziaria, l’orientamento al lungo termine, definito come capacità emotiva di sostenere perdite nel breve e l’abitudine a monitorare gli investimenti». Un monito per chi oggi sta preparando i rendiconti. (riproduzione riservata)

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